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  "REVENGE"
di Nico Vascellari
Oh well, whatever, nevermind
- Teresa Macrì -
 

Artext : 52' Biennale di Venezia.
Premio per la Giovane Arte Italiana
" Revenge " di Nico Vascellari

 Teresa Macrì
 Oh well, whatever, nevermind

 

- I- The Global Body -
La performance contemporanea ha una nuova epidermide: è polimerica e si dilata con microfoni e elettrodi incarnati. Il corpo è divenuto un atto sinestetico che cattura i sensi della collettività e li avviluppa platealmente.

Questa è la distanza che la performance ha preso dalla body art Sixties-Seventies. E’ un passing fondamentale, poiché ha superato quella sorta di soliloquio attuato dai bodisti tradizionali che ruotavano, autocentricamente, intorno al proprio corpo umiliato, leso, offeso e mortificato ed ha annullato la ferrea dicotomia artista/pubblico, attivo/passivo poiché altre forme di performing act sono baluginate nell’epoca dell’interattività globale. La fisicizzazione ha reso centrale un corpo che è divenuto ieratico nel suo sculpting process e lo ha reso così ammaliato di se stesso da elevarsi a iconico.
Il corpo contemporaneo è audace perché non si castra e non si autopunisce come in passato. Alla sofferenza bodista ha privilegiato il piacere illusionista. E’ un corpo-avventura perché è il risultato di un training progettuale e di una conquista che abiura quel corpo vendicatorio che era una resa a se stesso. E’ un corpo narcisistico, che si ripara dal caos dell’esistente attraverso la sua progettata perfezione. E’ un corpo che non si autosublima nel nichilismo. E’ un corpo che rifiuta il sangue. E’ esso stesso universo simbolico.
E’ metafora dell’eccesso esistenziale: di immagini, di informazioni, di input, di imposizioni subliminali, di catastrofi epocali, eccesso di convenzioni, eccesso di conflitti. E un corpo chimerico e quindi in continuo abbandono alla libido. E’ un corpo che si lascia dondolare nella esibizione più spettacolare, più multisensoriale e più tecnologica possibile.

Al corpo lacerato dei body artisti risponde con il body-dream dei sexy-symbol contemporanei, proiezioni spasmodiche dell’immaginario collettivo cablato dentro un transfert desiderante. E’ un global body, poiché si mette in gioco solo per rimandarsi all’altro nei termini in cui la capillarità mediatica e la tecno-sfera lo rendono più visibile, commestibile e adducente possibile. E’ un net-body, poiché vuole occupare l’infosfera e vive nel web.:

E’ un corpo curato, estetizzato, brandizzato, oliato, tatuato, massaggiato, riplasticato, ricostruito, svelato, ionizzato, liftato, anabolizzato, pixelato, clippato, trainato fino ad essere solo ed esclusivamente un oggetto del desiderio condiviso perciò planetario. Questa sua prorompenza ossessiva può perfino inabissarlo nel rischio di farsi fetish o stereotipo o dit-kat di un irrefrenabile condizione di imagine-victim….
Il corpo attuale, proprio perché performativo, è diventato sempre più pellicolare e sfaccettato, ha diradato moralismi biotecnologici, biosintetici, biomorfologici e si è proiettato come un feticcio planetario. Il corpo è physical attraction collettiva, desiderio oggettuale, pulsione soggettivizzata. Chip, protesi, make-up, nanotecnologia incarnata, body-building, chirurgia plastica ci trasportano in una epoca in cui realtà e il suo simulacro si compenetrano feticisticamente.

La performance dunque è biosferica e satellitare perché si irradia nell’etere. Non è più l’espressione corporea di una corrente artistica, ma si è tradotta in un prismatico performing act generalizzato, poiché scivola attraverso le catwalks di moda come una carezza di seta, assedia il palco dei live concert come una scossa elettrica. Il superamento della pratica performatica artistica come “zona rossa”, privata e invalicabile, trasborda nel performing act plurisensoriale come sconfinamento fisico, spaziale e attitudinale.
Il performing act è un meccanismo sinaptico i cui impulsi corporei si ritrasmettono attraverso tutto ciò che è eventualismo multiscenico e in cui il performer tende a neuro-fisicizzarsi col mondo. In realtà non è la performance tradizionale che si è squamata bensì l’universo comunicativo, rendendo plasmabile il proprio desiderio di captare l’attenzione globale. Concettualmente, dunque, la pratica performatica è trasmigrata dal suo site specific ad un site unspecific ibrido in cui si avvicendano mille plateaux, immateriali e materiali... [ continua ]


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