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Palazzo D’Accursio
Virginia Zanetti
Be a Poem

 
Virginia ZanettiVirginia Zanetti, Be a Poem, Firenze, 2020.

Be a Poem, titolo che deriva dalla serie più recente realizzata dall’artista e che si riferisce alla possibilità di ogni individuo di agire in modo creativo e incisivo nella trasformazione della società, diventa un’occasione per presentare al pubblico progetti passati e inediti di Virginia Zanetti, tra loro correlati nella creazione di un discorso comune: le serie in mostra sono Be a Poem (Villa Romana, Firenze, 2020), Para onde estamos indo? (Magic Carpet, Lisbona, Portogallo, 2019), Abissi (Manifesta 12, Palermo, 2018; Istituto Italiano di Cultura, Zurigo, 2019), I Pilastri della Terra (luoghi vari, 2016 – in corso).

Di responsabilità, arte e poesia
Matteo Innocenti
Curatore d’arte

Di certo la questione della responsabilità dell’agire, dapprima in forma individuale poi eventualmente condivisa e collettiva, riluce in un’epoca che da molto tempo viene definita come “critica”; il discorso comune concorda sul fatto che il nostro sia il tempo della crisi e che la crisi contenga in sé la misura del proprio superamento. Tutto vero, probabilmente, perché anche nei termini di un ragionamento meno ispirato ma più pragmatico se la crisi consiste in un processo che ci blocca e che trova la propria ragione di sussistenza nella fissità, allora l’opposizione a essa non può che avvenire attraverso una mossa in controtendenza, qualcosa insomma che richieda del movimento: azione e reazione.

La necessità di reagire agli impedimenti comprende però anche il rischio di omettere ciò che genera la situazione stessa di difficoltà. Mi pare che in generale, di fronte a fasi urgenti o drammatiche della storia contemporanea (e non solo), abbiano prevalso delle valutazioni più sbilanciate verso le cause circostanziate che verso quelle radicali. Giusto un esempio, in cui siamo ancora immersi, la pandemia; si stanno approfondendo i fattori scaturenti, eventualmente rintracciabili in un salto nella trasmissione del virus da una specie all’altra, però resta cosa rara ascoltare qualche parola o leggere qualche frase sulle condizioni opportune perché tale salto avvenisse. Cioè quello che purtroppo manca spesso alle nostre analisi è la ragione sostanziale che può aver scaturito un fatto, vale a dire la responsabilità associabile alle azioni stesse. Restringendo ancora: i comportamenti dell’essere umano scaturiti dalla complessità della propria natura.

Virginia ZanettiVirginia Zanetti, Para onde estamos indo?, performance, 2019.


L’arte (qui intendo gli artisti e le opere e non il sistema dell’arte) ci ha insegnato a interrogarci con domande sostanziali: come e perché siamo, in che modo ragioniamo e ci emozioniamo, quali sono le relazioni che ci legano, come costruiamo la società. Se anche talvolta viene messa in dubbio la sostanziale in/utilità dell’arte, c’è ancora e ci sarà sempre bisogno che essa ponga tali questioni, poiché è guardando quanto siamo, in un esercizio e sforzo continui, che possiamo assumere comportamenti di piena responsabilità. Non più la crisi che si incarna con ricorsività in eventi diversi, e rispetto a cui si cercano soluzioni specifiche, ma la crisi massima: la trasformazione che ogni individuo si sfida per operare in sé, in nome della propria felicità e di quella della società.
Cammino difficile, certo, ma definirlo impossibile vorrebbe dire rinunciarvi in partenza per codardia; invece abbiamo oggi possibilità (e rischi) come in nessun altra epoca della nostra storia.

Il titolo della mostra di Virginia Zanetti, Be a Poem, essere poesia o poema – titolo emblematico della sua ricerca – declina in modo personale questo “tema”. La mostra si sviluppa come articolazione tra quattro serie recenti, correlate tra loro da elementi formali e concettuali e soprattutto dal denominatore comune dell’azione personale che mira a un risultato collettivo. Ne I Pilastri della Terra le donne e gli uomini che assumono la posizione verticale piantando i palmi delle mani al suolo e svettando coi piedi in direzione del cielo, grazie alla dinamica di un semplice rovesciamento assumono l’aspetto di colonne a sostegno di ciò da cui per gravità sono sostenuti, così l’immagine si fa metafora evidente, eppure originale, del nostro potenziale. Avvicinandosi a un fenomeno globale – e purtroppo drammatico – quale l’immigrazione,

Abissi trasfigura la concezione della profondità come inabissamento (con linguaggio crudo ma realistico potremmo anche dire: annegamento) nel riferimento a una volta celeste, in cui a brillare sono le stelle sacre della tradizione, quegli incroci di linee a otto punte – l’ottavo è il giorno dell’eternità – che Giotto restituì in forma magistrale nel suo capolavoro padovano, la Cappella degli Scrovegni, e che qui sono state ricamate su una stoffa blu oltremare; un invito a resistere alla disperazione di un destino avverso e insondabile, un invito a riconoscere il valore della propria esistenza. L’azione del ricamo è centrale anche in Para Onde Estamos Indo? La comunità, come la caravella (invenzione portoghese), capace di utilizzare ogni tipo di vento – compresi quelli contrari – è riuscita a trasformare il settore economico del tessile, attraversandone la terribile crisi. Due vele hanno scritte su di sé alcune parole dense di significati e sono state portate nel punto di massima altezza a sventolare: ciò che non potrà essere ancora, può comunque venire evocato come ispirazione per il futuro. Infine Be a Poem, che dà nome al progetto intero; serie di frasi che tante persone, durante un’azione collettiva, hanno deciso di scrivere ricamandole sui propri capi di abbigliamento, a rappresentazione di un intimo pensiero da cui risuoni la complessa varietà del proprio essere.
Esempi vari, esempi possibili, exempla di azioni responsabili in nome dell’arte e della poesia.

Virginia ZanettiVirginia Zanetti, Abissi, Palermo, 2018


L’evento della libertà *
Giacomo Marramao
Filosofo

A Virginia,
alla sua arte come laboratorio del futuro

Solo un taglio, una decisione, può interrompere la disputa senza fine intorno all’idea di libertà: polo di un campo magnetico, ma al tempo stesso oggetto irraggiungibile dalle sembianze fantasmatiche.

In un presente segnato dal ritorno di retoriche securitarie, politiche della paura e cieco affidamento alle promesse di capi che presentano la sventura sotto le sembianze della salvezza, non basta più il richiamo alla libertà come sacro principio universale.
Occorre invece ripartire dalla libertà come dimensione storica dell’esperienza individuale e collettiva.

Non più, dunque, il “valore”, ma l’accadere della libertà. La libertà non è uno statico principio ma un evento. Ma se la libertà non è ma accade, quale figura è in grado di rappresentare il suo tempo? L’immagine temporale della libertà non è quella di una corrente, di un fiume in crescita.
Non vi è una “storia della libertà” come continuum interrotto da sporadiche “parentesi”. Ma piuttosto una costellazione discontinua di punti d’irruzione della libertà nella vicenda delle società umane. Il “No” all’oppressione da cui si sprigiona la spinta alla libertà irrompe in latitudini ed epoche in cui – secondo le leggi imposte dall’idea moderna di storia – non avrebbe dovuto darsi.

Lo aveva colto Marx, in una famosa lettera ad Engels, commentando con ammirazione la rivolta di Spartaco: assunta più tardi da Rosa Luxemburg come figura di un “tempo sospeso” in cui la scintilla della libertà coagula la ribellione contro l’ingiustizia anche in epoche o società precapitalistiche. Per questo un tale evento ha spesso il tratto dell’imprevedibilità. È una rottura che ci sorprende, perché ha luogo là dove non si pensava potesse accadere. La libertà non è dunque un valore trascendente. È un motore della storia. E tuttavia…

E tuttavia, come ci ha squadernato la spietata energia del secolo scorso, libertà e potere scaturiscono dalla medesima fonte. Ma diventano sentieri che si biforcano solo quando decidiamo di sottrarci al fuoco del potere, che si alimenta – come ammoniva nel tormentato fulgore del secolo del Rinascimento Étienne de La Boétie – della nostra “servitù volontaria”.

* Il brano è tratto da G. Marramao, Per un nuovo Rinascimento, Castelvecchi, Roma 2020.

Virginia ZanettiVirginia Zanetti, I Pilastri della Terra, performance, 2016-2021.

L’arte come virtù civica
Carla Bagnoli
Filosofa

I Pilastri della Terra sono persone che si pongono domande su come vivere e in questa ricerca sono disposte a lasciare la loro postura abituale, comoda, naturale, e guardare al mondo da un punto di vista altro, scomodo, instabile. In questo cambiamento di prospettiva, ciò che è invisibile diventa saliente, quel che davano per scontato – la terra sotto i piedi – diventa problematico. Il cambiamento di postura non cambia solo la direzione dello sguardo, ma anche la sua qualità. È un esercizio di attenzione che trasforma corpi capovolti in elementi viventi di sostegno. L’esercizio consiste nel prendersi la responsabilità di fare – di fare al meno quel che si può. Così chi fino ad allora si è affidato alla terra scivolando sulla sua superficie, chi ha solcato pesantemente il suolo o vi ha trovato un ancoraggio sicuro, chi ha marcato il passo, ora reclama la responsabilità di sostenere la Terra. Assumersi la responsabilità è un atto etico e politico rivoluzionario, che inizia proprio con una rivoluzione dello sguardo, con un atto nuovo di attenzione. E la responsabilità è qualcosa che si può pretendere e reclamare attraverso l’arte. L’arte ha questa funzione altamente politica, ci aiuta ad abitare il mondo da cittadini responsabili.

Virginia ZanettiVirginia Zanetti, Be a Poem, 2021 Veduta della mostra, Palazzo D’Accursio Bologna. Foto Leonardo Morfini

Virginia Zanetti
Fiesole 1981

I miei lavori hanno una funzione di trasformazione, inversione di stati o condizioni. Nella mia ricerca, l’Altro, in opposizione al Sé, costituisce il punto di partenza per esplorare idee di separazione e disarmonia, con lo scopo di consentire il riconoscimento del nostro legame con la comunità d’appartenenza e l’ambiente circostante. Azione e performance sono una parte fondamentale della mia pratica, sia come esperienza estetica, che come forza generatrice di opere fotografiche, scultoree, pittoriche o ambientali. Esse sono costruite come rituali o atti psicomagici, funzionali a riscoprire forme di coscienza sociale. Con la mia pratica cerco di far emergere l’essenza della comunità e l’ ‘”essenziale” dell’umano, adottando il potenziale critico della crisi, come stimolo per un continuo ripensamento della realtà.

Tra le motivazioni alla base dei processi di genesi delle mie opere, c’è il desiderio di comprendere il funzionamento della vita e le relazioni che la supportano, partendo da un’idea di non dualità tra i fenomeni e la forza che li sostiene. La mia pratica si basa su azioni collettive partecipate, attraverso cui cerco di catturare alcune visioni dall’inconscio collettivo, approfittando di coincidenze rivelatrici, circostanze casuali che manifestano un messaggio profondo. Nelle mie opere cerco di annullare ogni vincolo legato alle categorie. Forme materiali e immateriali si fondono quando l’atto performativo diventa oggetto e lo spettatore diventa artista attraverso una modalità di sviluppo collettiva.
Ogni mia azione cerca di far emergere un rinnovato senso dell’esistere e una rinnovata conoscenza affettiva, attraverso dinamiche relazionali e codici condivisi, per tentare di far divenire l’opera d’arte parte integrante dell’ambiente e della comunità per cui è concepita.

 


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