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Riccardo Farinelli
Dialogo

 
Riccardo FarinelliRiccardo Farinelli, I silenzi hanno gli occhi 2022. Piano Nobile Home Gallery



Riccardo Farinelli
Dialogo

Artext - Puoi parlare della tua recente mostra "Ti racconto una storia” al Piano Nobile Home Gallery di Pistoia, organizzata da Giulia Ponziani, cominciando proprio dal titolo e a ciò che rimanda ma anche la scelta collocativa delle opere negli spazi delle tre stanze?

Riccardo Farinelli - In questa mostra intendevo recuperare, fin dal titolo, una dimensione di piacevolezza, quella che fa stare svegli la sera ascoltando storie belle e interessanti, anche se, talvolta, sfugge il loro significato più profondo. Non volevo si dimenticasse che la narrazione, non necessariamente positiva e/o consolatoria, è parte rilevante dell’opera d’arte, la quale assume su di sé tutti i significati della finzione, nel senso del ri-creare attraverso la metafora la complessità degli atti che ci caratterizzano, aiutando a comprenderne meglio il senso.
Lo spazio di Piano Nobile Home Gallery, che Giulia mi ha messo a disposizione, l’ho trovato intrigante proprio perché, nel suo non essere galleria in senso stretto ma uno spazio privato che si apre all’accoglimento del lavoro degli artisti, mi permetteva una certa lateralità rispetto alle esposizioni classiche e di organizzare le mie opere affinchè queste si chiamassero, anche da una stanza all’altra, dimostrando senza dichiararlo che vi è fra loro un filo invisibile che le inanella. Proprio per raggiungere questo scopo, questo dialogo muto, ho pensato e realizzato alcune opere proprio per le stanze di Piano Nobile, dimostrando che lo spazio ospitante non è una entità neutra ma un qualcosa con il quale è utile entrare in dialogo.
Scoprire quale sia quel filo, direi che fa parte del gioco espositivo. Naturalmente può accadere che alcuni non se ne accorgano, presi dalla singola opera, il che non mi scandalizza visto che l’abitudine è appunto quella di considerare le opere singolarmente, ho però fiducia che per come ho organizzata la disposizione delle opere nelle diverse stanze arrivi comunque la segnalazione, magari sottopelle. L’opera “I silenzi hanno gli occhi”, pensata ed eseguita proprio in relazione alla stanza di ingresso, premette che lo sguardo non può essere distratto e che l’immagine d’arte è finzione, rappresentazione ma la sua magia sta proprio nel rimando a qualcosa di conosciuto, che la rende reale, anche se potrebbe evaporare da un momento all’altro.

Riccardo FarinelliRiccardo Farinelli, I silenzi hanno gli occhi, 2022, dettaglio

Artext - Il processo di sedimentazione, l'abilità pittorica della stratificazione trova nelle tue opere materia negli stili e le tecniche. Questo ha a che fare con una certa idea di tempo? Il sovrapporre diversi stati e livelli prospettici ed esecutivi, restituisce una visione armonica di punti di vista diversi?

RF - Mi sembra di aver imparato che un’opera, qualunque sia, per non essere banale, ovvero di segno debole, presuppone un pensiero, uno stato mentale non banale. Questo mette al sicuro da se stessi, nel senso che un’opera d’arte, per essere pienamente tale, deve parzialmente sfuggire dal controllo del suo autore. Il quale quindi deve imparare a coltivarsi, se vuole comporre qualcosa che abbia senso per sé ma anche per il riguardante. Voglio dire che si deve accettare il fatto che nel processo creativo tutto non è completamente razionalizzabile.
Anche per questo non abbandono le tecniche manuali, che affianco ad altre di tipo più concettuale, non tanto perché mi possa autogratificare notando un impossessamento e un progresso tecnico, quanto nella consapevolezza che un linguaggio (e l’immagine lo è) risulta più efficace quanto più se ne approfondisce la conoscenza. Naturalmente, è acquisito che la conoscenza anche in campo artistico non è solo tecnica, tuttavia ne è una componente.
Come lo è il tempo esecutivo. In questo senso sono sempre stato combattuto fra due modi, opposti fra loro: uno estremamente rapido, l’altro estremamente lento. In mostra sono visibili opere svolte in ambedue i modi. Il fatto è che talvolta accade di essere come fulminati da qualcosa, vederlo con estrema chiarezza e dunque la necessità di fissarlo immediatamente sul supporto, prima che scompaia. Ma accade anche che un’immagine risulti come sfocata nella mente e che dunque abbia bisogno di tempo per mostrarsi pienamente. Così il tempo arricchisce l’immagine, la fa diventare più densa di senso perché i pensieri di oggi non sono quelli di ieri e neanche quelli di domani. Tuttavia saranno tutti presenti nell’immagine, in quella certa sfumatura, in quel certo tratteggio, in quell’affondare oppure non affondare nell’ombra quella certa parte dell’opera.
Da un punto di vista del tempo esecutivo, certe mie opere sono eseguite e completate nel giro di un’ora, per altre un mese intero non è bastato. Anche perché, come dici tu, mi sento autorizzato dal tempo presente ad utilizzate tutte quelle tecniche che ritengo più utili per una determinata opera e la sua resa espressiva.

Riccardo FarinelliRiccardo Farinelli, Enigma, 2020


A - C’è una componente progettuale nel tuo lavoro?

RF - Nel mio lavoro d’artista di sicuro. Non potrebbe essere diversamente. Il che anche fa capire quanto sia vero quello che dicevo prima circa il ri-creare. Due sono le condizioni affinchè questo avvenga: osservare e comporre. Osservare, poiché dal non conosciuto non nasce niente, comporre perché il conosciuto suggerisce un racconto che va costruito attraverso decisioni successive e conseguenti circa ciò che deve stare nell’opera e dove deve stare nello spazio del supporto.

A - Indagare attraverso lo sguardo come soggetto - piegato ovviamente alle regole dell'Arte - può questa attitudine sviluppare un pensiero artistico non legato da pura estetica espressiva o idea di bellezza?

RF - Credo sia necessario dire che lo sguardo, anche per un pittore, non sia l’unica componente di conoscenza del mondo. Ci sono molti fatti che si svolgono in contemporanea capaci di suggestionare e aggiungere complessità a ciò che pure osserviamo. Ho conosciuto realmente gli alberi, ad esempio, solo quando da bambino ho speso del tempo per stare sotto le loro chiome al fresco d’estate, ho odorato gli aromi delle foglie, imparato che non sono tutte uguali, oppure quando ne ho ascoltato il fruscio quando mi arrampicavo su di essi inoltrandomi nel verde del fogliame. Per un pittore quindi la scommessa è quella di riuscire, in una unica immagine, a restituire la complessità sensoriale delle esperienze. L’estetica in fondo non è altro che il tentativo di rappresentare ciò che si è vissuto impastato con quello che si è immaginato.

A - Cosa vedi nell’azione artistica e nella pittura?

RF - Vedo prima di tutto una possibilità di dialogo non superficiale con gli umani miei simili. Ricordo molto bene quando, da bambino, sentivo tutta la pochezza del mio vocabolario verbale nel tentativo di comunicare quello che sentivo. Fino a che non ho scoperto il disegno e poi la pittura. In quel momento mi è sembrato si potesse davvero provare a trasmettere nella sintesi di una immagine la complessità di un sentire. Del resto gli uomini della preistoria, prima di inventare la parola, si sono messi a disegnare.

Riccardo FarinelliRiccardo Farinelli, Questo non è un ulivo, 2022


A - Che ruolo svolge il disegno, ha una sua autonomia o rappresenta un lavoro preparatorio alla pittura?
E il colore, con la sua luminescenza, che significato assume?

RF - Il disegno nel mio lavoro di artista svolge un ruolo importante se per disegno si intende quella espressione monocromatica capace di restituire la piena espressività di un gesto. Ma è anche costruzione rigorosa, nella messa a punto della quale l’impatto sensoriale con il supporto scelto dello strumento tracciante è un elemento importante.

Nell’uso del disegno credo di essere molto toscano, nel senso che lo utilizzo in tutte le sue potenzialità: come schizzo veloce quando devo fissare un’immagine, ma anche come prodotto finito del tutto autonomo, oppure come architettura indispensabile per le successive stesure di colore. Il colore per me viene sempre dopo, quello che vale davvero, ciò che mi emoziona è il disegno anche assunto come puro gesto, ancora senza forma. La mia gamma cromatica è sempre molto limitata, l’impressione finale deve essere quasi di un solo colore, anche quando per ottenere quel risultato sovrappongo infinite volte segni di più colori.

A - Come procede la tua pittura?

RF - Come dicevo, non ho una procedura unica, dipende. L’esecuzione può essere veloce ma anche lenta. Talvolta mi è successo di accantonare momentaneamente un’opera, di lasciarla non conclusa per molti giorni. Poi di riprenderla e concluderla nel giro di poche ore.

Riccardo FarinelliRiccardo Farinelli, Trittico dell'armonia assente, 2, 2021


A - Uno dei temi ricorrenti nella storia dell’arte è la natura morta.
Nella terza sala i trittici esposti propongono una riflessione sul destino comune degli uomini con gli animali.

RF - Ho sempre pensato che considerare il tema della natura morta come secondario e poco rilevante fosse sbagliato, addirittura un insulto alla intelligenza degli artisti. Aiuta una meditazione di questo tipo guardare le nature morte di un artista riconosciuto universalmente un grande nella storia dell’arte come Caravaggio: solo chi non sa leggere una immagine può dire che la sua “canestra di frutta” sia solo e soltanto una natura morta. Le meditazioni caravaggesche sulla vita e sulla morte, suggerite da quel tipo di opere, stanno un po’ alla base dei miei tre trittici, che mostrano animali uccisi ed appesi.
In uno dei tre appare anche un uomo, considerando che abbiamo forse scordato di essere animali pure noi e che, se ce lo ricordassimo, forse permetteremmo alle altre razze animali di vivere con maggiore dignità. È un po’ il tema dell’ultimo trittico: qui tre polli appesi sono dipinti in un piatto colore nero che ne valorizza la silhouette, poi letteralmente rivestiti d’oro zecchino in foglia. Il rimando al sacro mi sembra abbastanza evidente. Quei polli diventano una sorta di martiri e nella meditazione sulla loro condizione sta il riscatto finale: delle sacre icone sulle quali riflettere.

A - Cos’è per te la natura morta? Ha ancora senso trattarla come genere seppur con ironia?

RF - Non so se alcuni miei lavori, come i trittici dei quali si diceva, possano essere definiti nature morte, in un tempo quale è il nostro che marca uno stacco sempre più evidente dal mondo naturale e dove l’arte pare privilegiare l’aspetto concettuale. Certamente resta interessante a livello delle riflessioni che si possono fare; ad esempio come coniugare una propria istanza poetica con una certa ottusità del mercato, quella stessa ottusità che a suo tempo ha fatto la fortuna del genere “natura morta” e che ha messo gli artisti nella condizione di acuire la loro capacità di organizzare l’immagine in senso metaforico. Caravaggio, ma anche Jan Brueghel dei velluti, Chardin o Morandi, sono grandi esempi sui quali meditare.

Riccardo FarinelliRiccardo Farinelli, Con Munari, 1990. Centro Pecci


A - Il tema della creatività e della Fantasia ti ha trovato partecipe di una esperienza fondante per l'arte Italiana nella pratica di divulgazione del Contemporaneo. Nel 1988 Bruno Munari avvia e supervisiona il progetto Giocare con l’arte a Prato presso il Centro Pecci appena fondato, dove l’artista e designer dona anche l’idea progettuale per gli spazi dedicati alle attività educative. In parallelo alle proposte artistiche più avanzate presentate nel museo, nel 1992 Munari tiene il primo Laboratorio liberatorio a Prato, pensato per bambini e adulti. Puoi raccontare di questa esperienza?

RF - Avevo già da qualche anno iniziato ad occuparmi fattivamente di divulgazione e formazione, sia da un punto di vista teorico, ovvero parlato attraverso seminari ,conferenze e docenze scolastiche, che operativo attraverso l’accoglimento di allievi nel mio studio. Questo perché, nella mia pratica d’artista, mi pareva di aver compreso che l’arte rischiava l’asfissia se non cominciava a considerare un pubblico diverso, più numeroso di quello frequentante le gallerie o i luoghi deputati. La decisione di lavorare al Centro Pecci e il lavoro svolto per due anni con Bruno Munari mi hanno permesso di dare maggiore continuità e rigore all’azione di formazione e divulgazione, la quale si fondava essenzialmente nello stimolare la creatività, ovvero curiosità e senso critico, di ciascun individuo, fosse un adulto come un bambino, suggerendo soluzioni tecnico-operative, stimolando la sperimentazione diretta, considerando che l’appropriamento individuale di un modo espressivo sia la strada migliore per fissarne la conoscenza, rintracciabile poi nel lavoro degli artisti. Il successo di quell’esperienza, durato ininterrottamente per 25 anni, mi ha definitivamente convinto che avevo ragione.

Riccardo FarinelliGiovanni Termini, Libera di scegliere se restare, 2020. Villa Rospigliosi a Prato


A - Attivismo e impegno sono motivi ed urgenze del tuo fare Arte. Di recente “ChorAsis” il progetto che ti trova curatore e organizzatore insieme a Claudio Seghi Rospigliosi degli spazi di Villa Rospigliosi a Prato, esprime la tua antica convinzione che l’arte abbia necessità di recuperare una funzione collettiva riconosciuta. Puoi raccontare degli artisti ospiti - Giovanni Termini, Serena Fineschi... e del loro dialogo con l'ambiente.

RF - Il progetto “ChorAsis” nasce da una domanda scaturita da una semplice osservazione: visto che si sente parlare spesso dell’Italia come il Paese della cultura e intuendo che questo può essere vero per gran parte, è possibile trovare modi, percorsi tali da evitare la banalità della sterile ripetizione di un concetto , rischiando di svuotarlo di ogni potenzialità attiva e positiva?
La risposta è venuta dal ricordo visivo delle colline toscane: le balze coltivate ad ulivi, viti e grano, i filari di cipressi lungo strade e viali, le ville disseminate con discrezione sul territorio quali presidi organizzativi di quello che sicuramente è stato un disegno, un progetto collettivo di grande portata, che ha coinvolto più generazioni. Tutto questo mi è parso si potesse definire un esempio rilevante di cultura. Guardare al paesaggio in questa ottica, mi è sembrato interessante, anche perché mette in comunicazione passato e presente e invita recuperare la memoria di quello che pure è da sempre sotto gli occhi di tutti.
Con la convinta condivisione di Claudio Seghi Rospigliosi, che ha messo a disposizione gli spazi esterni della villa che la sua famiglia ha alle pendici delle colline di Prato, è iniziato nel 2019, proprio con un mio progetto espositivo che parlava di ulivi dal titolo “Dalla soglia”, il progetto ChorAsis. Il contributo degli artisti che da allora si sono succeduti è stato importante proprio perché ha mostrato come uno spazio non neutro possa essere capace di stimolare progetti espositivi inediti, in grado di mostrare di quel luogo, attraverso l’ascolto e l’interazione, dettagli e sfaccettature spesso capaci di grande suggestione.
Come è accaduto ad esempio con “libera di scegliere se restare” di Giovanni Termini, dove la protesi scintillante della coscia ha permesso alla statua di Eros di recuperare autonomia, o “The Helpers” di Serena Fineschi, dove la semplice applicazione di aureole rosse ai busti posti sul muro di cinta del giardino all’italiana, li ha sottratti all’anonimato restituendo loro una funzione collettiva

Riccardo FarinelliSerena Fineschi, The Helpers 2021 Villa Rospigliosi a Prato


A - Esiste un equivoco linguistico che relega in parte il termine Arte Sacra a ciò che viene prodotto per la memoria di suffragio. L'ossessione del visibile che genera nel "Monumentum" estetiche di potere e presa sul reale collettivo.
Vuoi parlare del progetto “arte nei cimiteri” e di cosa ri-vela.

RF - Anche “Arte nei cimiteri”, come “ChorAsis” o “Arte di confine”, che provocatoriamente ruba spazio alla pubblicità urbana utilizzandone i modi, è un progetto che tenta una ipotesi di risposta al desiderio, che coltivo da sempre, di guadagnare all’arte quel pubblico che non frequenta i luoghi deputati quali gallerie, musei ecc. e se questo è vero in generale, lo è ancor di più quando ci riferiamo all’arte contemporanea la quale, per estremo paradosso, appare ai più come astrusa e incomprensibile.
Nel caso di “Arte nei cimiteri” ho inteso rimettere in connessione il grande dualismo Vita-Morte portando l’arte contemporanea dentro il cimitero di Chiesanuova a Prato. Ci tengo a precisare che in questo caso non ci troviamo di fronte a quella che generalmente si definisce “arte cimiteriale”, pensata per commemorare quel determinato individuo, ma come un corale quanto muto confronto fra il mondo dei defunti e quelli dei viventi, avente l’arte come porta, come diaframma capace di mettere in comunicazione universi apparentemente lontani, una sorta di Stargate alimentato e reso visibile dal lavoro e dall’anima degli artisti.
In questo modo non solo ho spiazzato il pubblico frequentante i cimiteri, decisamente più numeroso di quello delle gallerie, ma anche gli amministratori della città, ai quali dovevo necessariamente riferirmi (non si può intervenire impunemente in un cimitero…). Alla fine però il progetto è stato pienamente accolto, sia dal pubblico che segue con interesse l’avvicendarsi dei vari progetti site specific, che dall’amministrazione comunale. Con l’attuale progetto “Intangibile” di Gustavo Maestre siamo arrivati alla quinta edizione.

Riccardo FarinelliArte nei cimiteri, Gustavo Maestre 2022


A - Quale è il senso del tuo lavoro d’artista?
Quale la funzione del processo creativo ovvero del sentimento del dipingere di per sé, senza mimesi?

RF - Può forse apparire strano, ma ho sempre ritenuto che il mio modo di fare arte non c’entrasse niente con il concetto di mimesi. Almeno se per mimesi si intende il sovrapporre l’elaborato artistico alla realtà fino a confondere l’uno con l’altro. Questo ha caso mai a che fare con certo Iperrealismo. Mi pare di poter dire che l’arte non ha mai inteso essere tale, nemmeno quando, magari citando le parole dell’artista Pinco o del commentatore Caio, così sembrava ai più, riferendosi a momenti alti e illustri della storia dell’arte (ad esempio la statuaria classica Greca o il Rinascimento italiano e fiammingo).
In realtà nel primo caso, attraverso operazioni tecnico-artigianali di alta qualità, si intendeva alludere ad un extramondo, proponendone il valore nella dimensione visibile del presente e offrendolo così alla meditazione generale.
Nel secondo caso l’osservazione diretta della realtà e della Natura, indagata con grande acutezza di sguardo, aveva l’obiettivo di carpirne le “regole prime”, come ebbe a dire Leonardo, da utilizzare come guida per le azioni umane. La semplice sovrapposizione, la copia dalla realtà è un esercizio tecnico dopo tutto piuttosto sterile, mancandogli quel Pathos necessario che giustifica l’operazione artistica la quale racconta, attraverso l’immagine, la problematicità del proprio presente.
Se posso fare un esempio, i polli appesi dei miei trittici sono indubbiamente riconoscibili come tali ma dire che siano scambiabili con un vero pollo appeso, mi pare francamente un’argomentazione insostenibile. Qui il meccanismo connesso alla riconoscibilità è quello dello straniamento di tipo surrealista e, affinchè tale meccanismo risulti efficace, è necessario riconoscere i componenti della narrazione. Un esempio per tutti è in questo senso rappresentato dal lavoro di Renè Magritte, maestro indiscusso del surrealismo.

In buona sostanza penso si possa dire che per me l’atto del dipingere assolve al doppio compito di esprimere un desiderio cosciente di racconto e, allo stesso tempo, al piacere quasi dionisiaco della produzione di segni nello spazio, appaganti di per sé. La sintesi è l’immagine, sperando che risulti sempre efficace.

Riccardo FarinelliRiccardo Farinelli, Ti racconto una storia 2022, Piano Nobile Home Gallery


Riccardo Farinelli
Diplomato al Liceo Artistico e poi in discipline pittoriche all’Accademia BB.AA. di Firenze, si considera un ricercatore sia nello specifico artistico, indagando il senso e il significato del gesto creativo, che nella sperimentazione di percorsi di incontro con il pubblico. A questo scopo ha contribuito a fondare nel 1975 “studio 3” e nel 1980 “magazine”, studi-associazione di progettazione e organizzazione nel campo delle Arti Visive, sperimentando modi e luoghi nuovi e inconsueti per l’arte (esposizione quartiere 11, Prato, 1975, installazione al vicolo Gherardacci, Prato, 1976, azione di piazza “spazio-colore”, Prato, 1978, “civili richiami” e “memo”, installazioni e pittura, Palazzo Pretorio, Prato, 1982 e 1993). pittore e grafico ha esposto in gallerie di tutta Italia, preferendo farlo in compagnia di amici o in progetti sperimentali (i più recenti: “istantanea”, 2016, Carmignano; “sguardi”, 2018, Borghetto di Bagnolo; “arte di confine”, 2019 viale Galilei, Prato) infatti nonostante la lunga carriera sono poche le personali: Roma galleria La linea 1980, Milano Galleria La linea 1982; Prato, Dryphoto, 1993; Circoscrizione Prato Nord, 1997; nel 2019 “dalla soglia” a villa Rospigliosi, Prato e nel 2020 “non farò sogni effimeri” presso il cimitero pratese di Chiesanuova, attivando rispettivamente negli stessi anni i progetti “Arte nei cimiteri” e “ChorAsis”, progetti estetici stimolati dallo spazio ospitante. Al 2022 l’ultima esposizione personale “Ti racconto una storia”, presso Piano Nobile Home Gallery a Pistoia.

Inseguendo i significati della pittura, ha seguito professionalmente in qualità di disegnatore campagne archeologiche Etrusche e Preistoriche della Soprintendenza di Firenze e dell’Università di Siena dal 1972 fino al 1988, anno in cui inizia la collaborazione con il Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato, del quale sarà responsabile dei progetti d’arte rivolti al pubblico, conclusa nel 2014. segretario del sindacato degli artisti ha organizzato a Prato il direttivo nazionale che lanciò l’idea per un Centro di Documentazione per le arti visive (CID); ha partecipato, unico pittore, al Laboratorio di Progettazione Teatrale di Luca Ronconi (1977-78). Docente di pittura e storia dell’arte ha insegnato in scuole pubbliche e private, pubblicato articoli specialistici e testi scolastici (“ImmaginAzione”, Nuova Italia, 2000). Nel 2015 ha contribuito a fondare “Viaggi&Scoperte” , associazione di cultura e turismo, per la quale ha progettato e condotto laboratori misti arte-scrittura (Palazzo Datini) e percorsi inconsueti nel centro storico di Prato (i chiostri storici). Nel 2016 ha contribuito a fondare “AA ARTEeARTE”, associazione di scambio artistico e culturale Italia-Cina, per la quale ha curato esposizioni al Museo della Misericordia, all’Accademia dei Georgofili di Firenze e a Lan Wan Art Park, Qingdao (Cina). Ha organizzato e condotto numerosi corsi, seminari e cicli di conferenze (Genova, Palazzo Ducale; Venezia, Palazzo Papafava; Schio, Liceo artistico; Bolzano, Museion; Torino, Casa della Tigre, ecc.) fino ai più recenti “l’arte di comunicare l’arte” (2017-2018), seminario svolto presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze, “arte come linguaggio” seminario svolto presso l’Accademia di Belle Arti di Macerata (2019-2020) e “Modulazione di segni “ corso sul rapporto Arti visive-musica, svolto presso Liceo musicale Cicognini-Rodari di Prato (2022).

 

Riccardo Farinelli
Ti racconto una storia
Piano Nobile Home Gallery, Pistoia 19/3 - 16/4/2022
@ 2022 Artext

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