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Marina Abramović
The Cleaner

 
Marina Abramović


Conversazione Pubblica
Marina Abramović. The Cleaner
Palazzo Strozzi, Firenze.


Marina Abramović - Prima di tutto è meraviglioso essere in Italia. L'Italia è sempre stata estremamente importante per me sin da bambina. Di quando prendevamo, mi ricordo il treno di seconda classe per andare a Trieste a comprare le cose che non avevamo, allora da noi c'era il Comunismo, non avevamo soldi e ricordo che tornavamo ben contenti da questi viaggi. Poi ho iniziato a venire in Italia e a frequentare le sue bellezze artistiche.

Sono andata alla Biennale di Venezia e ho apprezzato anche venendo in Toscana la ricchissima cultura Italiana. Ed è qui in Italia che ho fatto le mie prime mostre e performance: Milano, Napoli, Firenze, Bologna ed è viaggiando che ho imparato l'italiano.
Devo dire che con l'Italia ho molto in comune perché come noi siete un popolo molto emotivo e drammatico, ma anche inventivo e pieno di coraggio, e questo è molto correlato al mio lavoro.

Per quel che riguarda la mostra a Palazzo Strozzi è una mostra che copre 50 anni del mio lavoro, un lungo periodo - dodici di questi passati con Ulay che è qui ospite d'onore, con il quale ho condiviso una storia d'amore e l'attività di lavoro che si è conclusa con la Grande Muraglia Cinese - che ha richiamato da un video virale milioni di persone su Internet, quando si è presentato durante "Artist is Present".  Vorrei anche dire che sono onorata di essere dopo secoli la prima donna che ha una retrospettiva a Palazzo Strozzi, ma spero di non essere l'unica e che ce ne saranno altre che esporanno, Italiane ed Internazionali.
Vorrei anche dire che questa mostra non si è fatta da sola. Vorrei ringraziare le tantissime persone che hanno partecipato al suo allestimento e preparazione.
Per cominciare .. che ha formato i ri-performer e gli artisti che partecipano e che eseguiranno alcune delle mie performance storiche, poi lo straordinario Giuliano Argenziano, Martin Norman e ovviamente Arturo Galansino per avermi invitato. Tutti gli sponsor.
Dopo aver ringraziato tutti vorrei ringraziare il mio amore che è in prima fila ed è Todd Eckert. E così ho detto veramente tutto.

Marina Abramović Marina Abramović The Artist is Present 2010, Photography by Marco Anelli.


OM - Vorrei tornare sul titolo della mostra "The Cleaner" per chiederle - dopo cinquanta anni di carriera che momento è questo per lei, da un punto di vista creativo e dunque che cosa ha supportato del suo particolare momento. E poi che cosa è per lei oggi la performance dopo tante esperienze e tanti artisti che si sono cimentati. Che valore ha ancora oggi?
E vorrei anche chiedere della performance più dura che lei ha fatto nella sua carriera, quella che per lei è costata più fatica di tutte, fisica e psicologica.

MA - Devo dire che ho fatto performance per tutta la vita e che la performance l'ho trovata dopo essermi cimentata con la pittura. E’ una forma d'arte vivente basata sul tempo e alla quale bisogna essere presenti per intero. Visto che è così specifica è molto difficile affrontarla da altre forme d'arte, come prima accadeva con l'installazione o la pittura. Negli anni settanta la performance era un po’ terra di nessuno. Nessuno la voleva accettare come forma d'arte veramente riconosciuta.
A me non piace lasciare andare o arrendermi, anzi quando qualcuno mi dice – No, per me è solo l'inizio. Ho sempre voluto lavorare con le performance e in questi cinquanta anni credo di aver reso la performance una forma d'arte veramente riconosciuta e credo che questo sia il mio speciale contributo ad essa. La performance è molto cambiata a partire dagli anni settanta, quando veramente si teneva davanti a poche persone, trenta, quaranta, sessanta al massimo e in luoghi che venivano considerati alternativi. Adesso la performance è riconosciuta come una forma d'arte ed è vista da centinaia di migliaia di persone.
Devo dire che la performance più difficile per me è stata probabilmente "Artist is Present" perché è durata tre mesi e quindi è diventata vita.

Marina Abramović Marina Abramović. The Cleaner, Photography by Alessandro Moggi.


QN - Vorrei chiederle riferendomi proprio a questa ultima affermazione sulla performance. Negli anni settanta era riservata a pochi, ad un gruppo di intellettuali che sapevano vedere, capire e veicolare un messaggio attraverso quello che vedevano.
Oggi con i nuovi Media questo discorso è completamente cambiato, stravolto. Tutto quello che vediamo in trenta può essere visto da tutto il mondo. Lei che dà questa importanza alla spiritualità, al trasmettere, trasmettere… - ci si trasmettere le cose guardandosi in faccia. Lei si siede e qualcuno si mette di fronte a lei - Come trova l'impatto dei Social Media e della possibilità della rete di trasformare l'opera d'arte, la performance in opera d'arte mondiale, un bene o qualcosa che toglie?

MA - Non possiamo certo chiudere gli occhi davanti alla tecnologia. La tecnologia è ormai parte della nostra vita, non c'è niente di male in questo, quello che c’è di male è il modo in cui la utilizziamo.
Dobbiamo cercare di capire come usarla, usarla al meglio, senza che sia la tecnologia ad usare noi. Una cosa che voglio chiarire è che per me Instagramm non è arte. E poi per ogni artista è molto importante trovare il suo strumento, il suo canale in modo che il suo messaggio sia chiaro, cristallino. Si può monitorare il proprio messaggio tramite l'effetto che si ha con il pubblico. Quindi se il pubblico viene toccato emotivamente, trasformato allora vuol dire che si è fatto un buon lavoro.

Marina Abramović Marina Abramović. The Cleaner, Photography by Alessandro Moggi.


CF - Volevo chiedere a Marina Abramovic, lei che ha lavorato sulla performance soprattutto sul suo corpo che diventa opera d'arte e dialoga con chi partecipa alla performance, come vede e come vive la re-interpretazione delle sue performance fatte attraverso altri corpi e quindi come cambierà secondo lei l'emozione che darà a noi?
Poi volevo chiederle quale è la performance che non ha ancora fatto e che vuole fare interpretandola lei. Grazie.

MA - Prima di tutto sono stata io a inventare le ri-performance, non è stato qualcun altro. E questo è successo proprio perché ero davvero furiosa per il modo in cui i vari media utilizzavano le performance. E’ negli anni settanta che la performance ha cominciato a ispirare ambiti molto diversi, la Moda, il Teatro, il Cinema, il TG, ma nessuno però riconosceva i suoi diritti e nessuno dava credito agli autori delle performance. Ed anche i giovani artisti performativi copiavano i lavori fatti precedentemente e i critici che non conoscevano la storia della performance magari li lodavano ritenendo che facevano un lavoro innovativo.
Ho pensato che avevo il dovere di mettere un po’ d'ordine in questo caos, soprattutto perché ci tengo davvero molto alla performance, alla sua storia, al suo passato al suo presente e al suo futuro.
Quindi sono stata la prima a riproporre le ri-performance e ho stabilito che si dovesse chiedere, se l'artista è ancora vivente, l'autorizzazione a eseguire la performance, ma se l'artista non è più vivente di chiedere alla fondazione. Bisogna quindi pagare per i diritti al creatore originale, poi studiare il materiale e prepararsi molto bene per la ri-performance, perché anche la qualità della ri-performance dipende da chi la fa, come succede con un violinista che può suonare molto bene Beethoven oppure molto male, dipende dal suo talento e dal suo carisma.
E con l'imprinting abbiamo creato un vero e proprio sistema di insegnamento per preparare le ri-performance, con vari workshops dove si aiutano gli artisti sia a livello mentale che fisico. Ma la cosa è ben diversa rispetto a quello che sento quando vedo qualcuno che interpreta il mio lavoro. Devo dire che io sono una persona emotiva e per me è difficile riguardare le ri-performance dei miei lavori, perché ci sono due sensazioni differenti - sento distacco ovviamente ma c'è anche una grande felicità nel vedere che il mio lavoro esiste anche al di fuori di me e quindi può essere immortale.
Per la seconda domanda la mia nuova performance sarà nel 2020 alla Rojal Accademy e non mi sento di dirvi niente al riguardo perché non voglio che porti sfortuna.

Marina AbramovićMarina Abramović. The Cleaner, Photography by Alessandro Moggi.


GL - Lei ha auspicato che a questa retrospettiva a lei dedicata ne seguano altre con protagoniste artiste donne. Oggi si fa un gran parlare delle questioni di genere ed il femminismo rischia di diventare quasi un etichetta pop. Lei crede che nel mondo dell'arte ci siano ancora delle barriere di genere? Che il ruolo della donna sia riconosciuto. Per quella che è stata la sua esperienza ad affermarsi come donna artista, è più difficile?

MA - Dal mio punto di vista non è più difficile essere donna artista perché la cosa importante è non avere paura di niente e di nessuno - e questo è il problema delle donne. Io sono molto appassionata del lavoro di alcune artiste e devo dire alcune cose proprio perché siamo in Italia. Devo dire che quando sono arrivata qui negli anni settanta la Scena artistica era molto viva, molto vivace e c'erano delle eccellenti donne artiste, ma erano poco visibili, si vedevano soprattutto gli artisti. Credo che questo abbia a che fare con la cultura maschilista e il senso di colpa ed il modo in cui si educano i figli maschi in questo paese. Quando le donne prendono questo ruolo di fragilità, di vulnerabilità che è totalmente falso perché noi siamo più forti. Non credo che l'arte si possa definire con un genere, maschile o femminile. Ci sono due tipi di arte, quella buona e quella cattiva.
E c'è forse anche questo senso di colpa che ostacola le donne, e non parlo solo dell'Italia. Se pensiamo all'Italia negli anni cinquanta, nello stesso periodo negli Stati Uniti nell’ambito dell'arte astratta c'erano ottime donne anche artiste, ma nelle gallerie si mostravano solo le opere di uomini. Ma questa situazione deve cambiare. Adesso a Palazzo Strozzi dopo di me si devono presentare solo artiste donne!

AG - Già pronto, nel 2019 ci sarà Natalia Gonciarova che è un artista degli inizi del novecento.

MA - Sono molto contenta. Grazie.

Marina AbramovićMarina Abramović. The Cleaner, Photography by Alessandro Moggi.


SM - In realtà la mia domanda è stata fatta, e quindi la cambio leggermente. Lei ha fatto del tempo una questione fondamentale, nella sua arte e in tutta la sua vita. Il tempo soprattutto come percezione individuale: tempo vissuto dall'artista, il tempo anche dilatato nelle sue performance. Come vive questi tempi in cui tutto è così veloce e tutto si consuma velocissimamente, o meglio - riesce a farsi una chiave di lettura sua personale di questi tempi così particolari.

MA - La cosa che dobbiamo fare è proprio questa, avere una vita veloce e ricordare che l'Arte è lenta.
Quando ho fatto "Artist is Present" è stato così difficile perché era a New York una città dove nessuno ha tempo, una città che non dorme mai. E soprattutto perché la performance l'ho fatta nell'atrio dove credo ci sia proprio un ciclone, si sente tutto, c'è il ristorante, c'è il bookshop, la biblioteca, le gallerie e la gente va e viene in continuazione. Ma sappiamo anche che in ogni ciclone c'è un occhio e l'occhio del ciclone è quello dove c'è l'immobilità. E quando si trova questa immobilità si può trovare anche la pace per se stessi.

Marina AbramovićMarina Abramović. We're all in the same boat, Barcolana 2018.


MA - Mi colpisce che nessuno fino adesso mi abbia fatto una domanda sulla Barcolana.

AG - Abbiamo esaurito le domande.
C'è nessuno che vuol fare una domanda sulla Barcolana? posso farla io...
Ecco, Marina, questa estate abbiamo avuto questa polemica che ha ti ha visto protagonista, non a Firenze ma nella città di Trieste dove appunto hai creato questi manifesti che adesso sono esposti anche a Palazzo Strozzi con questo tuo motto -"Siamo tutti sulla stessa barca".
E per chi non sa che cos'è la Barcolana - la Barcolana è la più grande regata al mondo dove partecipano migliaia di barche , quindi un evento sportivo. Ed a Marina è stato chiesto di crearne il manifesto. Questo ha portato tutta una serie di polemiche, in particolare coinvolgendo l'amministrazione locale che ha ritenuto questo contenuto del manifesto 'sensibile' proprio per questo motto "Siamo tutti sulla stessa barca" - sembrava a qualcuno dell'amministrazione locale di Trieste una sorta di motto contro l'azione del governo nei confronti dell'immigrazione degli ultimi mesi. Questo il preambolo, Marina vuoi dirci qualcosa di questo problema di censura, perché di fatto il manifesto è stato vittima di una sorta di censura, questa estate...
Credo questo sia un buon spunto per parlare di Arte e censura oggi.

MA - Sono stata così contenta che un semplice manifesto abbia potuto creare tutte queste polemiche, anche con la Lega in Italia. Questo significa che l'arte 'ha' questo tipo di possibilità, e questo è meraviglioso. Devo dire che però quello che c'è scritto sul manifesto "Siamo tutti nella stessa Barca" può essere anche interpretato in una maniera molto banale, scordando invece la prospettiva ben più ampia che avevo in mente quando l'ho scritto.
E vorrei lasciarvi con questa immagine - Noi essere umani siamo tutti insieme su questo piccolo pianeta blu sospeso nello spazio nero, nell'immensità dello spazio nero. E siamo tutti nella stessa barca. Grazie.

AG - Grazie. Grazie Marina. Grazie ai nostri ospiti.

Applausi.



 

Marina Abramović. The Cleaner
Palazzo Strozzi Firenze
Site : Marina Abramovic Institute
@ 2018 Artext

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