L’arte (ri)specchiante
di Loredano Matteo Lorenzetti
Book. Valentina Galeotti. Dal taglio alla luce. "Passi" di Alfredo Pirri
Lo specchio – come l’opera d’arte – è ‘luogo’ pro-vocante riflessività. Di diverso tipo, natura, senso.
Se poi il manufatto d’arte è ideato e reso attraverso gli specchi, come “Passi”, di Alfredo Pirri, allora ci s’inoltra in una situazione-ambientazione che
s-confina fra installazione architettonica, spazialità scultorea, scenografia dello spazio riflettente, materia luminosamente plastica, coreografia modificante la superficie percorsa dal fruitore. Moltiplicando, a questo modo, e contemporaneamente, l’assetto dell’opera, tra-mutando-la in
r-iflessione delle riflessioni accadenti nella partecipazione al prodotto artistico.
Il libro di Valentina Galeotti:
Dal taglio alla luce. Passi
di Alfredo Pirri, (Castelvecchi, Roma 2023), ha anch’esso pagine invitanti a molteplici riflessioni, che muovono nelle varie, interrelate, dimensioni inaugurate dagli ‘elementi’ costitutivi – compresenti – dell’‘oggetto’ d’arte, allestito per essere soggettivamente visitato in
attraversamento calpestante la sua superficie, con pluralità d’esiti, vissuti, significati: corpo/spazio/luce; transito/fessurazione; distruzione/trasformazione; esteriorità/interiorità della conoscenza sperimentabile.
Al di là d’una sintesi d’assieme del testo, delle precise annotazioni lacaniane che vi si ritrovano e che l’’Autrice, sapientemente, sviluppa e intreccia per affiancare il pensiero dell’artista e indagare articolatamente, a più livelli e possibili interpretazioni, l’opera “Passi”, intenderei presentare quel flusso di spunti, sensazioni, idee, collegamenti personali, emersi dalla lettura del denso scritto di Galeotti.
Più che altro si tratta d’una rassegna di pensieri – di tipo associativo – fedelmente rispecchianti, è il caso di dire, lo scorrere la scritturaltà delle centotrentuno pagine del libro.
Alfredo Pirri, Passi, 2022, Chiostro del Bramante, Roma. Foto Giovanni de Angelis
Iniziando dalla corporeità che la creazione interpella, come primo e fondamentale atto partecipativo. Poiché “Passi” chiama in causa, quale performatore, la persona ‘tutta intera’ a
fisicizzare il vivere la struttura artistica nel percorrerla. A rendere il corpo protagonista, con una serie di p-assaggi: sulla lastra dello specchio, dentro l’opera, all’interno di se stessi, sul fessurato dal peso del corpo, sugli squarci vetrosi che l’agito procura, (in-)direttamente, nella mente, nella psiche, nel paesaggio delle emozioni e dei sentimenti che il cam-minare (rovinosamente, distruttivamente) l’opera, suscita.
E suscita a partire dal corpo ‘perlustrante’ lo spazio. Corpo che è pur sempre un corpo/mondo. Declinato nei mondi-modi-esperienze che lo de-lineano, allineandolo al caleidoscopio dei vissuti tratti dall’esperito, nelle tracce che in esso rimangono.
Non un luogo a sé. Non un esatto collocamento spaziale, ma una col-
locazione spaziante estesa-estensiva di sé. Un
corpo agito, praticante spostamenti de-localizzanti.
Così come la mente che è ‘diffusa’ e ‘riflessa’ nel e dall’ambiente vissuto.
Perciò non può essere del tutto ‘interpretato’. Poiché è un assieme di realtà, non una e una sola. Un aggregato contenente differenze e diseguaglianze dovute ai
tras-corrimenti e posizionamenti transitori dei luoghi e alle
im-pressioni lasciate e ricevute.
Un ‘ibrido’, dunque, che i mondi esperiti hanno ‘contaminato’. Che lo specchio dell’altro/altri, degli ambienti, degli oggetti, della luminosità, gli rimanda in maniere diversificate, persino con aspetti-significati incongruenti od opposti.
Ė, pertanto, un
evento esistenziale saturo di ripercussioni, aggiustamenti nella messa a fuoco
coscienziale, negli adattamenti
situazionali. Per cui non è del tutto assumibile, sussumibile, in una concettualità, in un sunto razionale, intellettuale.
In virtù di tale mobiltà-mutevolezza, soggetta all’eventualità, alle circostanze, che ne fa
corpo dei luoghi-mondi, si attualizza come corpo storicamente
di-veniente ed
eveniente. Un corpo
tra-s-forma-attivo.
Di conseguenza, solo parzialmente conoscibile-interpretabile (pure dalle teorie filosofiche, psicologiche, sociologiche e dalle pratiche psicoterapeutiche).
Maurice Merleau-Ponty ha scritto che il corpo è il nostro mezzo per avere un mondo. E che si è nel come ci si vede, in quanto:
campo intersoggettivo. Precisando che così accade non malgrado il proprio corpo e la propria storia, bensì perché si è un determinato corpo e questa situazione storica
per mezzo di essi. Cioè della creazione del mondo, dell’intersoggettivo e di quel che ne deriva.
Aggiungerei: si è come
ci si vede nello sguardo che le cose e le interrelazioni umane ci rimandano, vivendone il riflesso.
Alfredo Pirri, Passi, Palazzo Altemps, Roma, 2018. Foto di Giorgio Benni.
Il corpo, e la sua percezione, è in
tran-sito nel modo. Le relazioni sono spaziali e la ‘soggettività corporea’ è centro e periferia, rispetto all’‘oggettività’ di riferimento.
Anche quello esperito nel domestico quotidiano. Il cui spostamento lo
de-localizza indefinitamente; lo
de-centra continuamente; lo ri-definisce; lo ri-storicizza; lo coscientizza (in una
ri-e-dizione, ri-narrazione) di situazione in situazione, in ulteriore
narrabilità. Producendo un vissuto
in-stabile. Dalle numerose sfaccettature, che vanno ri-strutturandosi.
Indefinitamente.
Va considerato che pure stando immobile, disteso, il corpo ha taluni organi in movimento. E organi per la sopravivenza. Sicché per non morire il corpo ha autonoma, involontaria, motricità, modificante – istante per istante, evolutivamente – la propria ‘sostanza’.
Ė, inoltre, evidente che il corpo
re-agisce secondo l’allestimento dello spazio e l’atmosfera che entrambi possono determinare.
Allo stesso modo, esso, è
spazio vissuto e vitale: eterogeneo, poliscopico nelle multi-percezioni-visioni, cinestesie, a cui è soggetto e nel quale vive il proprio muoversi. Ė nei
versi dell’andare, nei dove, nei ‘come’ vivere, e motivare, i mobili dirigersi che il corpo
nutre la
propria spazialità. Della quale abbisogna per
attuarsi nel mondo.
La vita ha bisogno di spazio. Il bambino apprende utilizzando lo spazio. La vegetazione è in competizione per accaparrarsi spazio e luce.
L’uomo è concepito, si sviluppa, nasce e vive nello spazio e lo ‘definisce’, nella sua indefinitezza, con il moto, la visione, la luce.
Lo spazio, come ogni altra percezione, ha una dimensione-elaborazione, in prima istanza, intima.
Renato Guttuso ha definito la pittura un segreto tra sé e sé stesso, una
relazione misteriosa tra sé e la propria opera, che, a mio avviso, è trasferibile anche in colui che fruisce di un’opera d’arte.
E se Kandiskij interpreta il prodotto d’arte come un’espressione esteriore in forma pittorica di una impressione interiore, Pollock evidenzia che dipingere è azione di auto-scoperta, così come può esserlo per chi, immergendovisi, la vive.
Alfredo Pirri, Passi, 2022, Chiostro del Bramante, Roma. Foto Giovanni de Angelis
Spazio e luce sono ‘contigui’ nell’esperienza: l’uno permette all’altra la percettibilità, in un viceversa che rende la loro co-presenza manifestazione della realtà osservabile-conoscibile.
Il buio sottrae caratteristiche al potenziale sperimentabile attraverso la luce. Ostacolando la visione della realtà. Negandone la sua fruibilità nel percorrere l’illuminato/illuminante l’esperienza e ciò che essa fisicamente, psichicamente, cognitivamente, procura (ancor più se la realtà d’arte propende per illuminare uno o più significati nell’essere attraversata).
Perciò entrambi – luce e spazio – sono indispensabili l’una all’altro.
Yves Klein era dell’opinione che i colori fossero i veri
abitanti dello spazio e André Derain ha sostenuto che la
sostanza della pittura è la luce.
Questi aspetti a me sembra siano non solo presenti in “Passi”, ma costitutivi dell’opera e ‘mezzi’ originanti l’esperienza che se ne trae.
Va considerato, infatti, che la visione dipende dalla rifrazione della luce sull’oggetto, permettendo all’occhio la percezione dei colori, che sono la ‘parte’ (gamma di onde elettromagnetiche) della radiazione non assorbita dagli oggetti: si vede ciò che è
rifratto. Cioè la ‘fra-azione’ elettromagnetica che attira e accoglie l’oggetto. Aspetto che ha a che vedere con l’immagine che rinvia lo specchio: l’
ac-coglienza della sua superficie.
Monet è stato definito pittore della luce per la tecnica adottata esaltante la luminosità dei percetti. Caravaggio l’ha adoperata per ‘costruire’ i soggetti in movimento, dare risalto alle azioni raffigurate, privilegiare l’attenzione su uno spazio specifico del dipinto, focalizzare l’attenzione su taluni particolari simbolici o su gesti che metaforizzano il significato del dipinto.
Cézanne nel sostenere che la luce è una cosa che non può essere riprodotta ma deve essere rappresentata attraverso un ‘altra cosa’ – che per lui era il colore – ha (sotto)inteso che fra luce e oggetto va a porsi
qualcos’altro: un
mediante-mediatore, un ‘rappresent-
ante’, che, indirettamente, rende l’effetto della luminosità. Come lo specchio ‘effettua’ la mediazione della propria immagine, nell’
anticipazione della sua caratteristica riflettente.
Lo specchio è lo
spazio dove l’immagine trova, heghelianamente, la
negazione della negazione di sé, per confermare la sua ‘asserività’ rappresentativa, che consiste nel ri-
conoscimento del riflesso. Cioè per legare, col-legare, rap-portare, l’immagine reale a quella mediata da una superficie che la ri-produce in falsata, ingannevole, specularità.
Picasso è dell’idea che l’arte è la bugia che ci permette di comprendere la verità.
Alfredo Pirri, Passi, 2022, Chiostro del Bramante, Roma Disegni preparatori. Foto Giovanni de Angelis
Il tema dello specchio è indubbiamente affascinante e ha numerosi richiami.
Fra questi, me ne sono sovvenuti alcuni, scivolanti l’uno dietro l’altro: i miti e il dio fabbro Efesto che forgia il metallo specchiante; l’origine egizia simboleggiante il sole; il medioevo e i primi specchi in vetro; le credenze superstiziose popolari che fanno di quest’oggetto rotto, o scheggiato, segno premonitore di sfortuna o negatività; lo specchio delle brame della fiaba di Biancaneve; la letteratura e filmologia che hanno adoperato lo specchio nella narratività di personaggi, oppure di strane situazioni; il potere di materializzare il passato e il futuro; il richiamo ai vizi e alle virtù; i numerosi utilissimi esperimenti scientifici che hanno convalidato importati teorie della fisica, e della fisica quantistica, grazie all’impiego, sofisticato, d’avanzate tecnologie adoperanti gli specchi; gli universi multipli; le ricerche delle neuroscienze sui neuroni specchio e quelle che mettono in rapporto la percezione cenestesica all’occhio; gli studi sull’immagine di sé riflessa che attiva notevolmente l’encefalo; la spettrofobia; i diversi significati psicologici (per esempio il tema del ‘doppio’).
Ma, soprattutto, talune questioni psicologiche che in me hanno preso campo nell’attenzione fluttuante rivolta al variegato argomentare di questo interessante libro di Galeotti, che in diverse pagine riconduce allo specchio.
Jung ha colto nello specchio il proiettare all’esterno, in modo inconsapevole, parti di sé: gli aspetti meno o non accettati, o quelli percepiti come estranei.
Secondo Winnicott, la fase dello specchio di Lacan, rinvia, presupponendone l’esperienza precedente, allo sguardo materno nel quale il piccolo si è visto rispecchiato.
Nell’arte Albrecht Dürer ha fissato il ri-conoscersi come processo affidato allo specchio. Ė in quella superficie che, a suo parere, s’accerta le proprie fattezze. Ed è il luogo, che necessita di un rimando constatante, appurante, verificante, i segni fisiognomici, quelli dell’interiorità, delle immagini di sé descriventi salute o malattia, s-velanti sentimenti che affiorano nelle fattezze del corpo, sulla es-tensione della pelle.
Egli afferma che il pittore è interiormente pieno d’immagini. Ritenendo che lo specchio fosse un indicatore-rilevatore dei propri stati d’animo, del proprio aspetto fisico, nella convinzione che l’autoritratto, attraverso lo specchio, fosse uno strumento per dare un volto alla soggettiva identità. Per fare apparire sulla ‘pelle’ dello specchio la soggettiva
pelle vitale, nelle condizioni manifestate da una iniziale ‘segretezza’ interiore.
Alfredo Pirri, Passi, rifugio antiatomico di Konjic D-0 (Atomska ratna komanda D-0), Konjic, Bosnia ed Erzegovina, 2013.
Loredano Matteo Lorenzetti
L’arte (ri)specchiante -
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Pedagogista, specializzato in psicologia, architetto, musicista, Loredano Matteo Lorenzetti è coordinatore del Gruppo di Psicologia delle arti presso l’Istituto di Psicologia della Facoltà Medica dell’Università degli Studi di Milano e opera presso il Centro di Neurologia e Rieducazione Motoria, della USSL 75/100 del Comune di Milano.
Autore dei testi: Dalla educazione musicale alla Musicoterapia, 1989 Editore: Zanibon. Luoghi e forme della musicoterapia 1991 Edizioni Unicopli.
Valentina Galeotti. Dal taglio alla luce. "Passi" di Alfredo Pirri, Castelvecchi, Roma 2023