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Museo Novecento
Jenny Saville

 
Jenny SavilleJenny Saville Florence, Portrait of Jenny Saville, Museo dell'Opera del Duomo, Photo Ela Bialkowska OKNOstudio


Jenny Saville
Un ritmo ciclico di forme emergenti
di Sergio Risaliti

In un’epoca in cui l’avanguardia modernista pare aver perduto la forza propulsiva del secolo scorso arrestandosi ai limiti del progresso, mentre la tradizione offre la possibilità di percorrere sentieri interrotti, ecco che i dipinti di Jenny Saville possono sconvolgere per il tipo di bellezza che fanno apprezzare. I suoi nudi, i ritratti, gli studi sulla maternità, i suoi ‘compianti’, sono così esageratamente moderni, eppure così compiutamente classici, che ci sentiamo strattonati in opposte direzioni e non possiamo restare indifferenti; ne veniamo sopraffatti e dobbiamo ammettere di dover fronteggiare la pittura con tutti i sensi, profondamente coinvolti e interrogati davanti a quello che non stentiamo a vivere come misterioso shock visivo.

I suoi dipinti, fin dalla giovinezza, sono apparsi sontuosi e aggressivi, pieni di pathos e di sereno distacco, abietti e virtuosi, immuni però da volgarità e oscenità, in fondo tragici ma ricolmi di grazia e tenerezza. Superato serenamente il conflitto tra tradizione figurativa e modernismo, la sua arte è la sintesi perfetta di quella che è giusto definire ambizione all’universalità e passione realistica per la contingenza. Un programma artistico che fa la differenza, soprattutto quando si cerca il confronto con i grandi maestri del passato e i maggiori temi o soggetti della storia dell’arte. Mai soddisfatta dei traguardi raggiunti, e sempre assetata di sperimentazione, Jenny Saville celebra la vita nella consapevolezza della morte, quell’ineluttabile destino che ci rende umani, angosciati, eroici nella disperazione e generosi nella compassione, la vita al di là della sofferenza e del nichilismo.

Jenny SavilleJenny Saville Florence, Installation view, Casa Buonarroti, Photo Ela Bialkowska OKNOstudio


Negli ultimi anni si è cimentata con un tema primordiale: la maternità. L’esperienza della gravidanza e poi del parto vissuta da Jenny, che è madre di due bellissimi figli, non poteva restare fuori dal suo studio. Ha provato nel suo corpo la trasformazione provocata dal “movimento di un corpo verso due”, come lei stessa ha descritto il parto. Quella crescita di carne e membra dentro il ventre ha lasciato un segno nella sua ricerca artistica: “Continuavo a pensare alla formazione della carne e delle membra all’interno del mio corpo, alla rigenerazione…I miei molteplici disegni uno sopra l’altro sono un modo per comunicare quei sentimenti. Ti stai letteralmente riproducendo quando sei incinta, come il modo in cui le linee si riproducono”.

In una serie di disegni del 2010 e 2011, Saville è ritornata con insistenza sul celebre Cartone con Sant Anna di Leonardo e sul Cartonetto (Madonna con Bambino del 1525 circa) di Michelangelo, un’opera perfettamente compiuta e autonoma, realizzata con biacca, matita nera e rossa e inchiostro, conservata nel Museo di Casa Buonarroti a Firenze.
Una sezione della mostra organizzata dal Museo Novecento, che aprirà il 30 settembre prossimo, si svolge proprio a Casa Buonarroti. Durante un sopralluogo due anni fa, Saville ha potuto ammirare dal vero e per la prima volta il Cartonetto, provando una fortissima emozione. Dopo un primo incontro con la direzione del Museo è stata presa la decisione di esporre alcune opere di Jenny, tra cui Study for Pentimenti IV (after Michaelangelo's Virgin and Child), e Study for Pentimenti III (sinopia), in uno stesso ambiente assieme al celeberrimo disegno Madonna con Bambino. Tra i manufatti conservati in quel piccolo museo così carico di storia è stata selezionata anche un’urna cineraria etrusca a cui Jenny ha pensato di accostare uno dei suoi dipinti più complessi e direi a-temporali che è Compass. Si tratta di una coppia nuda (anche se si riconoscono quattro figure), i cui lui e lei (non importa capire il sesso) sono distesi, ma non completamente, come per un simposio, prima o dopo essersi dedicati a fare sesso, di una bellezza calda e luminosa che trasuda concupiscenza e irradia un che di superiore, di ultraterreno e che non appartiene a nessun genere.

Jenny SavilleJenny Saville Florence, Installation view, Museo dell'Opera del Duomo, Photo Ela Bialkowska OKNOstudio


Ma Firenze, la culla del rinascimento soprattutto per il mondo anglo-sassone, ha riservato un’altra sorpresa a Jenny Saville. La possibilità di esporre una sua opera nella sala che conserva la Pietà Bandini di Michelangelo, nel nuovo affascinante Museo dell’Opera del Duomo di Firenze, dove si possono ammirare anche altri capolavori della scultura rinascimentale, tra cui le porte del Battistero di San Giovanni, i Profeti e la Maddalena di Donatello. Jenny ha potuto studiare dal vero la Pietà ben due volte sul posto. L’ultima poche settimane fa. Nell’occasione ha dialogato con esperti restauratori impegnati nella pulitura del marmo e ha potuto cogliere nuovi dettagli da vicino che l’hanno ispirata e commossa. Ne è nato un disegno Study for Pietà di grandi dimensioni (circa due metri) realizzato a carboncino su tela grezza, quasi a voler mantenere un rapporto formale con il carattere ruvido della pietra scolpita dal suo illustre collega qualche secolo fa. La Pietà Bandini, forse anche una Deposizione, è tra le ultime ‘fatiche’ del ‘divino’ Buonarroti, che aveva circa settantacinque anni quando intorno al 1550 iniziò a lavorare un enorme blocco di marmo bianco di Seravezza di 2 metri e più di altezza nel suo studio romano di Macel de’ Corvi.

Jenny SavilleJenny Saville Florence, Installation view, Salone dei Cinquecento - Palazzo Vecchio, Photo Ela Bialkowska OKNOstudio


Jenny Saville non vuole lasciare nulla di intentato nella conquista della “verità in pittura”, sa perfettamente cosa e come guardare nelle sale dei musei o nei sacri luoghi dell’arte. Prendiamo ad esempio la sua tendenza al monumentale. Non è forse guardando Tintoretto o Rubens, Gericault e Delacroix che ha giudicato il monumentale alla sua portata? La sua risposta alla sfida è stata una tela di cinque metri per tre, Fulcrum, con la quale si è fatta valere giovanissima nel mondo dell’arte, in una mostra organizzata da Gagosian a New York nel 1999. Nel quadro la prima cosa che si percepisce è ammasso di carne in cui stentiamo riconoscere tre figure. Se si ha la pazienza di soffermarsi davanti all’opera a poco a poco si mettono a fuoco teste e volti, piedi e arti che sembrano schiacciati dalle parti più opulente, grasse dei corpi. La superficie sembra perfino piccola, le figure sono costrette in uno spazio che non è sufficiente a contenere tutta quella carne. Fulcrum verrà esposto a Palazzo vecchio, nella Salone dei Cinquecento decorato da Giorgio Vasari dopo gli anni Cinquanta del XVI secolo. Sono tutte scene di battaglie che celebrano la potenza bellica dei Fiorentini ed esaltano la missione praticamente divina del Duca Cosimo I de Medici. Ammassi di figure in armi che combattono tra loro. Ovviamente, nessuna donna. Il Salone è arricchito, altresì, da gruppi scultorei con le Fatiche di Ercole di Vincenzo de Rossi, nonché dal Genio della Vittoria di Michelangelo, straordinario esempio di contrapposto anatomico e di non finito. Dal punto di vista formale, l’opera di Jenny Saville sembra voler esibire un confronto diretto con il linguaggio della scultura, date le dimensioni monumentali delle sue immagini e la forte plasticità delle figure. Non solo pittura contro scultura, ma qui il femminile contro il maschile, un realismo -quasi memore della lezione di Courbet- che si scontra con l’idealizzazione sempre troppo retorica, ridondante e solenne di Vasari e company.

Jenny SavilleJenny Saville Florence, Installation view, Museo Novecento, Photo Ela Bialkowska OKNOstudio


Nella mostra organizzata dal Museo Novecento di Firenze, un’antologica di almeno cento opere esposte nei diversi musei della città, la fanno da padrone i ritratti, sempre di grande formato e sempre frontali, (la frontalità, lo sappiamo, è il punto di forza dell’arte iconica dai tempi del Fayum, la monumentali un tratto distintivo della Saville). Sono volti di giovani ragazzi e ragazze di arcaica bellezza, un olimpo di divinità europee e non, dagli sguardi profondi, intensi che ci guardano dall’alto di una loro moralità integra, e che senza distrazioni restano totalmente concentrati nei confini della propria irraggiungibile intimità, come in Messenger, un acrilico ed olio dipinto tra il 2020 e il 2021, oppure Arcadia del 2020, Prisme e Circe, Ligea e Iris, che rivolgono lo sguardo verso un altrove, in alto e più lontano, a una distanza pari all’infinito che ognuno di loro contempla e avverte dentro di sé. I titoli rinviano ai grandi miti del mediterraneo, a sentimenti panici, a metamorfosi, alla natura della luce e dei colori. Ci ricordano che un tempo gli Dei e gli uomini si incontravano su uno scoglio o in battaglia, in un bosco o su una spiaggia. Sono volti dotati di aura, quell’insopprimibile distanza a cui fa riferimento Walter Benjamin per spiegare cosa sia stato la risonanza spirituale dell’arte prima dell’epoca della riproducibilità. [ ]

Jenny SavilleJenny Saville, Study for the Eyes of Argus, 2021 Matita colorata su carta 76 x 57 cm


Jenny Saville

D - *La tua arte si basa sull'esplorazione del corpo umano. Corpi che sperimentano ansia, singolarità, dolore... Ti riconosci nelle tue molteplici rappresentazioni?

Jenny Savile - Penso che lo siamo in ogni nostra azione. Ma mi piace includere tutto, anche mostrare tristezza e violenza. Voglio includere il mondo intero quando faccio arte, non voglio escludere nulla. Il miglior lavoro che ho realizzato è stato grazie al mio istinto. Quando cerco di essere troppo intelligente o troppo analitica, allora non funziona. Non mi faccio troppe domande durante la realizzazione delle opere perché seguo il mio istinto. Esso racchiude una verità che è più grande della verità a cui sto tentando di arrivare attraverso un'analisi accurata. Questa è una lezione che ho imparato molto presto - che c'è qualcosa all'interno di ogni verità; che ci sono verità più grandi della conoscenza. E se c'è una conoscenza, a volte devi lasciarti andare e seguire il tuo istinto per arrivare a quella verità più grande. Se analizzi troppo o critichi troppo qualcosa, è quasi inutile farlo. Non c'è alcun rischio. Mi piace il rischio, il cambiamento e la trasformazione che è possibile nel fare arte, e per me, questo ti porta ad un'arte più grande. È al di là della ragione. Questo è ciò che sto cercando di ottenere... la verità al di là della ragione. Perché se si poteste scriverla o parlarne, non avremmo bisogno di realizzarla.

Jenny SavilleJenny Saville, Prism, 2020 Pastello e carboncino su tela 200 x 160 cm


D - Le figure nei tuoi disegni si sovrappongono con una pluralità di identità. Il tuo volto è presente nella maggior parte dei tuoi ritratti. L'identità è un aspetto importante per te?

Non è proprio la mia identità... Presto il mio corpo a me stessa, questo è il modo in cui l'ho sempre considerato. Ma a volte le persone non sono preparate a mettersi in una posizione così disagevole come quella in cui espongo il mio corpo. Sono stata consapevole - fin da quando ero molto giovane - che un giorno finirò sotto terra, sarò polvere, non sarò più niente. E allora qual è il rischio? Non c'è un rischio reale. In cosa potrei incorrere? Il giudizio? Che io abbia un corpo diverso? Che non ho un corpo sgradevole? Non mi curo di questo. Mi importa usare le mie capacità come persona. Fino a che punto posso spingermi come umano per fare qualcosa che sia interessante? Non si tratta di sapere se è davvero la mia identità o no. Si tratta di un'identità umana. Se guardi i dipinti dei nani di Velázquez, c'è un'identità che attraversa tutta l'umanità. O un grande ritratto di Rembrandt - riguarda tutti. Non sono una donna anziana in un quadro di Rembrandt; non so cosa significhi essere una donna di settant'anni, ma sento l'umanità quando guardo quel quadro, questo è il modo in cui l'ho guardato.

Se il mio corpo può darmi la possibilità di arrivare a qualcosa di interessante, allora uso il mio corpo. Se non posso, allora lavoro con altri. Non si tratta di un autoritratto infinito, è solo che sono disponibile alla possibilità di usare il mio corpo per dire qualcosa o per cogliere l'emozione che sto cercando di raggiungere nel lavoro.

D - Da dove viene il tuo interesse o la fascinazione per i corpi imperfetti, violati, feriti o operati?

Non lo so davvero. È una cosa che ho avuto fin da piccola. Se qualcuno cadeva, volevo vedere cosa era successo. È curiosità; ho semplicemente sviluppato una curiosità per questo. È anche un interesse estetico. Voglio dire, non sono così interessata a una sorta di bellezza superficiale, penso che ci sia una certa umiltà nell'andare sotto la superficie di qualcosa o nell'essere pronti a mostrare la realtà di qualcosa. C'è un'umiltà implicita che scopro nel lavoro che mi piace. Se guardi il teatro greco antico o la tragedia greca, e sei straziato dalle emozioni sul palco e dall'estrema violenza, in qualche modo questo ti infonde un'umiltà su chi sei come essere umano di fronte agli dei, o di fronte all'universo. Sei così piccolo e trascurabile. Penso che questa sia la spinta, questa è l'arte che mi piace in generale - che sia nel cinema o nella musica - è l'arte che si rivolge a quella parte sensibile di noi.

Jenny SavilleJenny Saville, Aleppo, 2017 - 2018 Pastello e carboncino su tela 200 x 160 x 3.2 cm


D - Hai parlato prima dell'influenza che gli artisti classici del passato hanno avuto sul tuo lavoro. C'è anche una tradizione carnale nella pittura occidentale. Qual'è la tua opinione sull'arte di altre epoche?

JS - Naturalmente ho sempre guardato all'arte più antica. Soprattutto perché se dipingi la figura quando sei giovane e stai cercando di imparare, stai considerando la pittura figurativa. Così ho imparato guardando Tiziano, Velázquez, Rembrandt, Leonardo, Michelangelo... Sono stata molto fortunata perché avevo uno zio che, da quando avevo otto anni, mi ha davvero insegnato a guardare. Inoltre, se vuoi avere un modello da imitare, scegli un artista veramente grande, perché è la tua misura. Puoi pensare di essere grande nel tempo in cui vivi, ma basta osservare i grandi artisti per essere molto lontano da quel livello. Questo mi è molto familiare, è diventata la spina dorsale del mio modo di lavorare. Per quanto mi sforzi, non ci arriverò mai. È un lungo viaggio per cercare di raggiungere qualcosa del genere. E poi ho provato un interesse che è cambiato o si è spostato... Voglio dire, ho una schiera di artisti intorno a me con cui sono in costante dialogo - artisti come Picasso, Velázquez, Michelangelo, Leonardo, Tiziano, Tintoretto, Rubens - e poi un' altra arte che amo è la scultura greca antica, le dee della fertilità del mondo antico e tutto questo. Dopo aver avuto dei figli, volevo trovare un'arte che fosse simile alla crudezza del parto. Ho vissuto in Sicilia per molto tempo, quindi essere a Palermo circondata da quei miti e dalla storia antica mi ha davvero legata a questo e ai miti del mondo greco antico... dei e dee, il potere della fertilità. Questo si è riversato nel mio lavoro ed è una grande forza trainante ora nel mio lavoro , specialmente nei disegni. Una sorta di impulso creativo. Sono molto più interessata a quale sia la forza vitale di un impulso creativo, o come generare qualcosa, distruggerlo e riportarlo ad inizio. Attraverso quel ciclo, che è fondamentalmente il ciclo della natura, si arriva a una verità più grande, o a un'area più interessante del lavoro. Sono riuscita a farlo solo guardando l'arte antica.

Jenny SavilleJenny Saville Florence, Installation view, Museo Novecento, Photo Ela Bialkowska OKNOstudio


D - Senti di avere un corpo o di essere in un corpo?

JS - Alcuni artisti come Michelangelo lavoravano praticamente con Dio che lavorava suo tramite; stava eseguendo il lavoro di Dio o c'era una sorta di divinità coinvolta in questo. Dio sta scomparendo per la maggior parte di noi, ma quando realizzo un'opera, mi interessa sapere qual'è l'impulso. Quando lavoro nel cuore della notte e cerco di arrivare a qualcosa, sto lavorando con una scommessa sull'esistenza di Dio? Non faccio opere per avere audience. Non faccio opere pensando che le mostrerò ad un pubblico. Ma è sicuramente una forma di comunicazione. Quindi è quasi come se ci fosse una terza persona coinvolta, che sia Dio o altro. Questo mi spinge ad andare oltre nel lavoro, ma non so cosa sia.

D - Ti interessa il mondo esterno?

JS - Il paesaggio è enormemente interessante per me. Soprattutto il mare... Passo ore a guardare l'acqua. Osservo il modo in cui la luce si muove sull'acqua. Mi alzo presto per poter vedere il sole sorgere. Ma non voglio dipingere quadri di paesaggi. Sono interessata a tutto questo. Ma non ho mai voluto dipingerle direttamente, come ho fatto con il corpo. E in realtà, più invecchio, più mi sento legata alla natura, o sono più interessata a raffigurarla. La mia mediazione avviene attraverso il corpo. Tutto il mio lavoro è davvero una sorta di paesaggio; è il paesaggio del corpo, o l'architettura del corpo nella natura, o la natura della carne, o il modo in cui la luce colpisce un corpo.

D - Cos'è l'arte per te? Quale definizione dai di arte?

JS - Direi la capacità di essere liberi. Questo è fondamentale. Credo davvero nell'immaginazione e nell'inventiva. È una combinazione di fattori tra cui l'umiltà e un lavoro molto duro - ci vuole molto tempo per avere un qualsiasi tipo di padronanza - e l'essere abbastanza coraggiosi da correre un rischio. Quando, nel lavoro, ho fatto qualcosa di veramente bello e mi siedo e penso che sia bello, quello è il momento in cui di certo lo rovino, mentre prima lo rifinivo. Ora potrò dire, bene quello era un approccio facile, o un percorso facile per arrivarci. Dove altro si può andare? Se sei preparato a farlo, puoi arrivare in un mondo molto più vasto. Questo richiede molte ore e molti rischi, ma non hai niente da perdere. Perché non provare a ideare qualcosa? Ho imparato attraverso Picasso che l'arte veramente buona sta nella capacità di non sapere come fare qualcosa. Nel tragitto per cercare di articolare qualcosa che non sai come fare, è lì che si trova l'arte. Se conosci il percorso che stai facendo, in un certo senso non ha molto senso fare quel tratto. È nella lotta per cercare di articolare qualcosa che sembra quasi impossibile, ma hai un impulso nella tua iniziativa per farlo, o un istinto, lo segui. Quella lotta per articolarlo è davvero dove puoi trovare qualcosa di interessante e Picasso è l'artista che ho capito che può farlo, quindi è stato davvero una guida per me negli ultimi anni.

Jenny SavilleJenny Saville Fulcrum, 1999 Olio su tela 261.6 x 487.7 cm


D - Guardando avanti ai prossimi mesi a quali progetti stai lavorando?

JS - Ci sono diversi progetti in corso. C'è un progetto entusiasmante a Firenze che si svolgerà nel 2021 con il curatore Sergio Risaliti. Esporrò a Casa Buonarroti, con alcuni dei disegni di Michelangelo che si trovano lì, ed in altri luoghi della città. Ho realizzato disegni in relazione alla scultura della Pietà di Michelangelo all'Opera del Duomo, così come dipinti per altri siti a Firenze. È uno dei progetti più eccitanti della mia vita poter interagire con l'opera di Michelangelo e la città di Firenze. Recentemente, prima della pandemia, sono andata lì e ho parlato con le persone straordinari che sono i conservatori dei disegni di Michelangelo, soprattutto con Cristina Acidini, una delle più grandi esperte del mondo di Michelangelo. Mi sono seduta in una stanza piena di tutti i libri scritti sull'artista ed hanno tirato fuori i suoi disegni da esaminare. È stato molto commovente.

È arricchente imparare da questi studiosi sulla sua vita. Ho letto le sue lettere, o forse una lista della spesa, o una lettera del papa che praticamente implora Michelangelo di tornare a Roma. Il papa scrive di suo pugno - è il papa qui, i papi non vivono per sempre, lo sai, puoi tornare e finire questa commissione! La pressione è la stessa, in qualsiasi epoca si viva.

*Interview With Jenny Saville. Elena Cué

 


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