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Pirelli HangarBicocca
James Lee Byars

 
James Lee ByarsJames Lee Byars, The Moon Books, 1988-89 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Foto Agostino Osio



James Lee Byars
A cura di Vicente Todolí
Pirelli HangarBicocca


La mostra di James Lee Byars (Detroit, Michigan, 1932 – Il Cairo, 1997), a cura di Vicente Todolí. L’esposizione, realizzata anche con il supporto dell’Estate di James Lee Byars, offre al pubblico l’occasione di ammirare il lavoro di un artista che ha lasciato un segno indelebile nella storia dell’arte attraverso l’elaborazione di uno stratificato linguaggio visivo e performativo in grado di cogliere i limiti della conoscenza e sovvertirne le logiche. Raccoglie negli spazi delle Navate di Pirelli HangarBicocca una vasta selezione di opere scultoree e installazioni monumentali, realizzate dal 1974 al 1997 e provenienti da collezioni museali internazionali, alcune raramente esposte e presentate in Italia per la prima volta. Come Todolí afferma:

“Concepiamo sempre retrospettive site-specific che dialogano con l’architettura di Pirelli HangarBicocca. Nella sua pratica James Lee Byars era solito adattare il suo corpus di opere allo spazio in cui veniva esposto, creando così una mostra che fosse essa stessa un'installazione complessiva. Pertanto, la nostra selezione di opere interagisce con l'ambiente ex industriale delle Navate, sfidandoci a interpretare lo spazio secondo l'approccio concettuale dell'artista”.

James Lee ByarsJames Lee Byars, Veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milan, 2023 Foto Agostino Osio


L’artista

James Lee Byars, uno degli artisti americani più riconosciuti dagli anni Sessanta a oggi, ha influenzato un’intera generazione nell’ambito dell’arte concettuale e performativa. Nato a Detroit nel 1932 e con una formazione che spazia dall’arte alla psicologia e alla filosofia, Byars è da sempre affascinato dalla cultura giapponese, che ha influenzato la sua pratica artistica per tutta la vita. Dalla fine degli anni Cinquanta e per tutti gli anni Sessanta vive infatti tra il Giappone e gli Stati Uniti. Successivamente l’artista abita e lavora in modo nomade, spostandosi tra diversi luoghi e città, tra cui New York, Berna, Santa Fe e la California. Sviluppa, inoltre, uno stretto rapporto con l’Italia, in particolar modo con Venezia, dove nel 1975 realizza la celebre performance The Holy Ghost, decidendo poi di viverci e lavorarci per buona parte degli anni Ottanta. Nel 1989 viene anche invitato dal Castello di Rivoli a realizzare la sua prima retrospettiva in un museo italiano.

James Lee ByarsJames Lee Byars, Veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milan, 2023 Courtesy Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio.


Nella sua arte, Byars associa motivi e simboli dei costumi e della civiltà orientale, come elementi del teatro Nô e del buddismo Zen, alla sua profonda conoscenza dell’arte e della filosofia occidentale, offrendo una visione unica e personale della realtà e delle sue componenti fisiche e spirituali. Attraverso l’uso di media differenti, come l’installazione, la scultura, la performance, il disegno e la parola, infatti, l’artista ha dato vita a una riflessione mistico-estetica sui concetti di perfezione e ciclicità, sulla figura umana – sulla sua rappresentazione e smaterializzazione –, spesso attraverso il coinvolgimento diretto del pubblico in azioni temporanee o in interventi su larga scala. Centrale nel suo lavoro è il rapporto con il pubblico, che viene chiamato a confrontarsi con l’artista stesso e a rispondere a domande che egli pone in maniera diretta e indiretta con le sue opere. Molti dei lavori sono stati concepiti da James Lee Byars per essere attivati in maniera performativa da lui stesso. Dalla sua scomparsa nel 1997, questo aspetto richiede di interrogarsi sulla presenza-assenza dell’artista, che nel corso della sua vita ha incentrato la sua pratica sulla sua persona e raffigurazione attraverso azioni, gesti, rituali e indossando abiti caratterizzati dal legame visivo e simbolico con le opere. Con la sua pratica eclettica, Byars si è rivelato pioniere in diversi ambiti delle arti visive, come scrive la curatrice Brenda Richardson (1942-2022), infatti, “ha inventato lavori di arte concettuale, performativa e installativa prima ancora che esistessero definizioni di quello che stava realizzando”.

James Lee ByarsJames Lee Byars, Veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milan, 2023 Foto Agostino Osio


La mostra

Dopo oltre trent’anni dalla sua ultima mostra istituzionale in Italia, Pirelli HangarBicocca dedica una retrospettiva a James Lee Byars, raccogliendo opere di grandi dimensioni in cui vengono combinati armoniosamente materiali preziosi e ricercati, come marmo, seta, foglia d’oro e cristallo, a geometrie minimali e archetipe, come sfere prismi e pilastri, e a oggetti baroccheggianti in un gioco di rimandi simbolici ed estetici tra forma e contenuto. Esemplare è uno dei suoi lavori più storici presentati in mostra Hear TH FI TO IN PH Around This Chair And It Knocks You Down (1977). L’opera si si compone di una tenda in seta nera che ospita una sedia d’oro girevole dell’Ottocento sopra un tappeto di seta ricamato in oro. La seduta vuota, illuminata da una luce verticale, e la rarefatta preziosità dell’ambiente rimandano a immaginari provenienti da diverse tradizioni orientali, come il trono di Buddha, simbolo Zen dell’illuminazione attraverso la sparizione del sé, o la pratica shintoista di offrire scranni agli spiriti che abitano i santuari. L’installazione è stata esposta per la prima volta nel 1977 all’inaugurazione della galleria Marian Goodman a New York, durante la quale Byars ha dato vita a un atto performativo: vestito di nero e nascosto tra le pieghe delle tende, puntava una torcia sulla sedia ed esclamava la frase “Hear the first totally interrogative philosophy around this chair and it knocks you down”, da cui deriva il titolo dell’opera.

James Lee ByarsJames Lee Byars, The Diamond Floor, 1995 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Foto Agostino Osio


In Pirelli HangarBicocca, a partire dai molteplici significati allegorici e formali della materia, la mostra si sofferma sulle tematiche che hanno attraversato la pratica dell’artista come la ricerca della perfezione, il dubbio come approccio all’esistenza e la finitudine dell’essere umano, invitando i visitatori a riflettere sulle potenzialità alchemiche dell’arte nel plasmare la realtà. Il percorso espositivo si apre con la monumentale The Golden Tower (1990). Il pubblico è accolto da una torre dorata alta 21,25 metri, che riassume in sé l’indagine dell’artista sull’interazione tra forme perfette e materiali immutabili. James Lee Byars realizza i primi disegni concettuali dell’opera già nei primi anni ’70: concepita per essere esposta in spazi pubblici, nell’idea iniziale doveva essere alta oltre 300 metri. La prima realizzazione risale al 1990, quando fu presentata al Martin-Gropius-Bau di Berlino.

James Lee ByarsJames Lee Byars, Red Angel of Marseille, 1993 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Foto Agostino Osio


Per l’artista, forme archetipe, simili a obelischi e totem, diventano emblema della figura umana e dei suoi aspetti più trascendentali e spirituali, di cui The Figure of Death (1986) è rappresentativa. La scultura, una struttura verticale composta da dieci cubi di basalto, offre un momento di riflessione sulla natura della morte e sulla memorializzazione e monumentalizzazione della stessa. La ciclicità e la temporalità della vita, invece, sono simbolizzate dagli elementi del cerchio e della sfera, che si ritrovano in particolar modo in due lavori esposti in Pirelli HangarBicocca. The Door of Innocence (1986-89) è una scultura di marmo dorato a forma di anello ed evoca un momento di passaggio e trasformazione, grazie al quale concetti metafisici e astratti assumono fisicità e concretezza nell’opera d’arte. Mentre in The Tomb of James Lee Byars (1986), l’artista racchiude metaforicamente in una sfera di pietra arenaria i concetti intangibili e assoluti della spiritualità e della purezza, che si contrappongono al materiale poroso e stratificato. Lo spazio del Cubo, al termine del percorso espositivo, è dedicato a Red Angel of Marseille (1993): mille sfere di vetro rosso disposte a pavimento creano una sontuosa forma antropomorfica e, allo stesso tempo, floreale. L’opera riduce la figura umana alla sua essenza, mentre la connotazione angelica, suggerita dal titolo, apre nuovamente a una riflessione sulle sue potenzialità metafisiche e sul suo rapporto con il divino.

James Lee ByarsJames Lee Byars, Veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milan, 2023 Foto Agostino Osio



Scavalca questa lettera per un'esperienza mistica
Alexandra Munroe

Gli ospiti arrivarono al buio, riunendosi nella sala principale del Tempio Shokoku-ji immersa nel silenzio, poco più a nord del Palazzo Imperiale di Kyoto. Mentre aspettavano, alcuni diedero segni di irrequietezza. Poi arrivò una limousine nera d'epoca e due artisti si avvicinarono alla folla con solennità teatrale: James Lee Byars, in abito nero e cappello a cilindro, e Sachiko Taki in abito da sera di seta nera con cappuccio. Poche luci illuminavano la grande sala di culto ricoperta da un grande tatami, i cui fusuma, i pannelli scorrevoli, erano decorati da dipinti a inchiostro, risalenti al quindicesimo secolo, raffiguranti antichi pini. Taki dispiegò parzialmente un foglio di carta bianca lungo circa 250 metri per creare un'ellisse; quando ebbe finito, fece una pausa. Poi, con movimenti precisi, lo ripiegò in un cubo. Nel portico esterno, sulle assi di legno invecchiato dell'engawa che si affacciava sul giardino di muschio e rocce, procedette a dispiegare e ripiegare un'altra fisarmonica di carta, questa di 30 centimetri per 60 metri circa, per l'intera lunghezza del perimetro in ombra del tempio. Una singola linea realizzata con pastello nero correva al centro dei segmenti, definendo l'infinito'. (1) Gli artisti si esibirono in un silenzio concentrato, mentre alcuni ospiti ridacchiavano. All'improvviso, Byars grido: «Questo è per insegnarvi la pazienza, la perseveranza e l'apprezzamento dell'arte!». Quindi i due scomparvero nell'auto che si allontanava. (2)

Il mio paese dei sogni di bellezza

James Lee Byars arrivò a Yokohama nell'autunno del 1958, all'età di ventisei anni, e visse e lavoro in Giappone per la maggior parte dei dieci anni successivi. Il Giappone era, scrisse, il mio paese dei sogni di bellezza». (3) Si stabili nel nord-ovest di Kyoto, nei dintorni di Kinkaku-ji, il Tempio del Padiglione d'Oro, e occasionalmente insegnò inglese all'Università Doshisha, un'università privata d'élite fondata da un missionario protestante giapponese nell'era Meiji (1868-1912). La sua facoltà comprendeva alcuni dei più brillanti studiosi della lingua e cultura giapponese della generazione del dopoguerra; Byars conobbe molti di loro, tra cui Lindley Williams Hubbell, poeta e studioso di Shakespeare che era un conoscitore del teatro Nō. Kyoto, la millenaria capitale imperiale del Giappone, fu risparmiata dai bombardamenti degli Stati Uniti durante la Seconda guerra mondiale, a salvaguardia del patrimonio dell'umanità. Quando Byars arrivò, poteva immaginare di vivere nel "mondo del Principe Splendente". Kyoto era il centro delle arti tradizionali giapponesi, il fulcro dell'artigianato giapponese, tra cui la produzione di carta e la tessitura della seta, e la sede storica del buddismo Zen. Le tre scuole principali della cerimonia del tè wabi di Sen no Rikyu si trovavano qui: tutte le cinque scuole del No si esibivano sui suoi palcoscenici; e all'interno del dolce anello di montagne che definiva i suoi antichi confini cittadini, ospitava circa duemila templi buddisti e santuari shintoisti, la maggior parte dei quali, anche nei primi anni sessanta, erano monasteri e luoghi di culto attivi. Kyoto, come Venezia, dove Byars visse negli anni successivi, era un luogo sofisticato: la città esisteva per coltivare la bellezza, l'eleganza e la spiritualità raffinata.
Conduceva un'esistenza fuori dal tempo. Scrivendo a Dorothy C. Miller del Museum of Modern Art, Byars disse: «La mia vita e la mia pittura sembrano appartenere entrambe a questo luogo, dove la semplice essenza dell'esistenza ha un significato quotidiano». (4)

La ricerca di Byars dell'estetica giapponese era sia idiosincratica che parte di una Gestalt culturale più ampia. Qualche anno prima di lasciare gli Stati Uniti. per la sua tesi allesti una mostra nella casa di famiglia a Detroit, svuotando l'ambiente di tutti i mobili e togliendo tutte le porte e le finestre. Li, nelle stanze buie e vuote lasciate aperte ai venti, predispose un'installazione di pietre sferiche che richiamavano l'ordine celeste. Nell'inverno del 1956, Byars affitto un'azienda che produceva manti erbosi a rotoli fuori Detroit e posizionò delle sculture astratte tra i cumuli di neve in una notte di luna piena. Agli ospiti, che poterono godere dello spettacolo portati da slitte, fu chiesto di arrivare a mezzanotte. L'istinto per la cerimonia, per l'esperienza rituale dell'arte come incontro momentaneo con la bellezza in quanto fenomeno etereo, aveva già guidato il percorso di Byars come artista. Anche prima di innamorarsi del Giappone, aveva già imparato l'arte del caso. Come scrisse Georges Bataille, «Il gioco, che è affascinante quanto la catastrofe, permette di intravedere positivamente la seduzione vertiginosa del caso», (5) A Byars piaceva suscitare piccoli shock nelle persone.

Byars si affermò nell'avanguardia americana in un momento in cui artisti, scrittori, musicisti e performer convergevano intorno all'arte e al pensiero asiatico, in un rifiuto radicale dell'Occidente e dei suoi mostri di modernità. A Seattle, Mark Tobey, il cui profondo interesse per l'estetica e le pratiche spirituali asiatiche lo aveva portato in Cina e in Giappone negli anni trenta, era a capo di quello che "Life Magazine" defini «The Mystic Painters of the Northwest» [«l pittori mistici del Nordovest»], un gruppo che comprendeva anche l'amico di Byars, Morris Graves. (6) Non lontano, la Cornish School of the Arts, scuola d'arte sperimentale, stava istruendo il compositore John Cage, che subi una trasformazione grazie all'incontro con le "tre vie della saggezza asiatica". Alla Cornish School, Cage aveva imparato che «lo scopo della musica è quello di calmare e tranquillizzare la mente, rendendola cosi aperta alle influenze divine>>>. Emergendo dalla devastazione della Seconda guerra mondiale, e sconvolta dall'inimicizia americana nei confronti del Giappone, questa comunità condivideva l'interesse per l'Asia come fonte urgente e alternativa di valori culturali e spirituali, concepiti come un balsamo per ciò che Graves chiamava «la mentalità razionale e altamente tecnicizzata del mondo occidentale». Graves, che forni lettere di presentazione a Byars quando parti per la prima volta per il Giappone, era noto sia come performer dadaista sia come asceta buddista; nella sua capanna isolata a Fidalgo Island, nello stato di Washington, viveva una vita monastica, dipingendo i suoi "paesaggi della mente" mentre leggeva testi sulla poetica giapponese di Arthur Waley, R.H. Blyth, Alan Watts e altri. Byars avrebbe interiorizzato ciò che Graves sosteneva: «Lo Zen pone l'accento sulla meditazione, sul fermare la parte superficiale della mente e lasciare che la superficie interiore fiorisca». (9)

All'inizio degli anni cinquanta, il concetto buddista Zen illuminazione trascendente, o satori, aveva catturato l'immaginazione dell'avanguardia e ispirato una nuova definizione radicale dell'essere e della coscienza. La perdita di fiducia nell""alto modernismo" e nel "razionalismo progressista" stimolava un interesse sovversivo e filosofico per la cultura non occidentale. tanto che il Manifesto di Fluxus di George Maciunas del 1963 invitava l'avanguardia a «Purgare il mondo dall'europanismo!». Reagendo contro l'eroismo dell'Espressionismo astratto e il commercialismo della Pop Art, i nuovi movimenti artistici - Neo-Dada, Assemblage, Happenings e Fluxus - sostenevano sensibilità anarco-culturali derivate dal Dadaismo, dalla fenomenologia e dall'esistenzialismo occidentali e dalle nozioni di minimalismo, indeterminazione e realismo quotidiano provenienti dal pensiero buddista. Dalla comunità del Black Mountain College, alla Beat Generation, ai poeti del San Francisco Renaissance, il Tantra americano e lo Zen erano in ascesa. Byars non era polemico o politico come altri, ma la temperie culturale dava un senso puntuale alle sue scelte. E infatti, si sentiva più vicino ai poeti Cid Corman, Kenneth .si: Rexroth, Gary Snyder e Philip Whalen - tutti loro avevano trascorso un periodo significativo in Giappone - che ai minimalisti americani, il cui formalismo non ha mai abbracciato completamente.

A New York, John Cage tracciò un approccio completamente nuovo alla composizione, attingendo alle sue interpretazioni del pensiero asiatico. Lesse The Gospel of Sri Ramakrishna e si approprio di una particolare affermazione dello storico dell'arte indiano Ananda Kentish Coomaraswamy - «lo scopo dell'arte è imitare la natura nel suo modo di operare>>10 - come premessa fondamentale della sua estetica nascente. Fu anche ispirato dalle lezioni di culto di D.T. Suzuki sullo Zen e sulla cultura giapponese, tenute alla Columbia University negli anni cinquanta. Come Byars, il cui studio della religione, della filosofia e dell'arte asiatica fu un'altra ricerca di una vita, le traduzioni di Cage di queste idee erano raramente letterali, e il suo impiego di certi modelli a volte stravolgeva il loro significato originale per il proprio programma artistico. La leggendaria composizione di Cage, 4'33" (1952), che trasformava tacitamente i suoni ambientali circostanti in musica, dimostrò il suo assioma rivoluzionario: «Lascia che i suoni siano sé stessi». Byars si sentiva allineato con Cage, ma fece un ulteriore passo avanti con le sue lezioni: 4'33" gli mostrò il potere del silenzio come gesto performativo.

L'ampio impatto delle idee di Cage sull'estetica contemporanea - che l'arte e i mezzi per la sua creazione si trovano intorno a noi - promosse ulteriormente un ambiente aperto in cui i confini tra musica, poesia, performance e arti visive non esistevano più, un approccio fluido e non gerarchico fondamentale anche per le arti giapponesi. Pochi artisti della cerchia di Cage lo capirono meglio di Yoko Ono. Le sue istruzioni per la musica, i dipinti, gli eventi, gli oggetti e i film - molte delle quali furono raccolte nella sua influente antologia del 1964-71, Grapefruit - stabilirono l'intermedia, il concetto, il linguaggio e la partecipazione come i principi centrali degli emergenti movimenti Fluxus e arte concettuale.

Ma l'idea più radicale attiva in questa comunità di amici poliglotti era la convinzione che l'arte dovesse liberare la mente. Un'opera d'arte, qualunque sia la sua forma, è essenzialmente effimera, perché esiste come esperienza nel tempo e agisce come dovrebbe fare l'illuminazione, con un lampo nella mente del presenti. Le opere con gli instructions di Ono, con la loro sintesi combinata di immagini e parole, la struttura epigrammatica e il frequente riferimento alla natura (cieli, nuvole, acqua), utilizzano il linguaggio proprio per innescare un'intuizione che trascende il regno della logica. Ecco come chiude Grapefruit con la lezione del 1966. «Al popolo wesleyano»>:

La mente è onnipresente, gli eventi della vita non accadono mai da soli e la storia aumenta continuamente il suo volume. A questo punto, ciò che l'arte può offrire (se lo può fare - a me sembra) è un'assenza di complessità, un vuoto attraverso il quale si viene condotti a uno stato di completo rilassamento della mente. Dopo di che potete tornare alla complessità della vita, e potrebbe non essere come prima, o potrebbe esserlo, o forse non tornerete mal, ma questo è un problema vostro".(11)

Una volta arrivato in Giappone, Byars decise di non tornare mai. Aveva trovato una cultura vivente il cui apprezzamento dell""assenza" conteneva tutto ciò che desiderava per la sua ricerca del «momento perfetto» (12)

La scrittura di una lettera, sacra

James Lee Byars non fu mai interessato all'oggettività indipendente di un'opera d'arte; anzi, era l'azione di un oggetto come trasmettitore di coscienza tra ospite e ospitante che ossessionava la sua ricerca di perfezione e verità. Nelle prime lettere dal Giappone alla sua insegnante d'arte della Wayne State University e cara amica, Olga Constantine, Byars scriveva di trovare «immortalità», « trascendenza», «libertà» e «bellezza» in ogni cosa, da un ramo d'albero spezzato e rattoppato con la paglia lungo il sentiero di un villaggio nella campagna giapponese, all'infinita «vasta azzurritȧ>> dell'oceano (13). L'arte non era separata dalla vita; era una pratica per riassumerne la rapsodia. «Ogni momento è sacro, ogni momento è pieno di bellezza, nulla può essere senza Dio», scriveva (14). Attingendo in modo eclettico dall'intenso studio delle traduzioni, delle storie e dei commenti, disponibili in lingua inglese, del celebre "culto della bellezza" giapponese, unito alla sua erudita familiarità con la mitologia greca, Shakespeare e la Bibbia di re Giacomo, Byars, attraverso le sue lettere a Constantine, coltivava un'estetica palesemente mistica e, non a caso, grandiosa.

lo e il mio amico Orpheo attraversiamo il prato

Una grande voce disse a noi e a tutti-
«Viviamo solo per scoprire la bellezza
Tutto il resto è una forma di attesa»
Questi suoni provengono da una pietra molto più grande
di noi

Ci muoviamo con meraviglia nel silenzio dei nostri cuori
lee (15).

Man mano che la vita girovaga all'estero divenne un'abitudine per Byars, la scrittura di lettere si fece sempre più importante. Le sue lettere dal Giappone erano più poesia che prosa. Quando si avvicinò all'artigianato della fabbricazione della carta giapponese e iniziò a utilizzare la carta nelle sue performance, come fece a Shokoku-ji, le lettere divennero un'estensione della sua arte. Artista irrequieto che dormiva raramente, Byars si alzava prima dell'alba e passava ore a comporre le sue missive. Per prima cosa, sceglieva la carta: carta giapponese o cinese fatta a mano, carta velina o stropicciata, rotoli avvolti o piegati a fisarmonica, ritagli di seta o sottili fogli d'oro. Celebrava il deperibile e l'effimero. Poi, tagliava il materiale nella forma e nelle dimensioni desiderate: alcuni erano cerchi con fori, altri erano strisce lunghe diversi metri. Scriveva a penna su carta pergamina bianca, o con pastello bianco su carta bianca o pastello oro su carta rossa, oppure usava una matita tenue su carta velina. Poi piegava i fogli in elaborati puzzle simili a origami. A volte, includeva degli oggetti nella busta: piccoli sassi dal letto di un fiume, piume, coriandoli d'oro. Anche prima che il destinatario potesse decifrare la sua scrittura, il solo atto di dispiegare e aprire una lettera di Byars costringeva a un rallentamento, a un cambiamento mentale, ad accettare di partecipare alla performance di ricevere un simile dono.

Byars scriveva in modo prolifico ai suoi amici in tutto il mondo. A Constantine, raccontò le sue scoperte in Giappone e occasionalmente le chiese aiuto per richiedere sovvenzioni. Quando i suoi viaggi lo portarono sempre più spesso a New York, sulla West Coast e in Europa, iniziò una corrispondenza quasi quotidiana con diversi artisti, curatori e direttori di musei, compresa una lunga serie di lettere a Joseph Beuys. Le lettere di Byars erano opere d'arte ma difficili da leggere. La sintassi era criptica e spesso utilizzava quello che lui definiva «discorso abbrev »« Abbrev speech »], un codice segreto di abbreviazioni e astrazioni. Con il tempo, la sua scrittura divenne più ornamentale e barocca. Scrivendo tutto maiuscolo. la sua calligrafia celestiale presentava una stella all'estremità di ogni lettera. In altre lettere, utilizzava una macchina da scrivere o addirittura dei biglietti stampati, e annotava le sue parole con caratteri piccolissimi.

Scrivendo a Constantine intorno al 1958, Byars rimane estasiato dalla possibilità di condividere la consapevolezza con la persona amata attraverso lo scambio di lettere:

La pioggia è finita. Vicino a dove scrivo, un ragno
rifà la sua casa, sembra la sua natura essenziale
delicata, debole, onesta ma per la morte.

Cosa possiamo fare di così bello? È anche una
parte della morte? Sai di non poter entrare nel
nero sconosciuto, ma devi farlo o non hai vita!

Recentemente, mentre dipingeva con l'inchiostro nero,
La bambina di casa disse
«I suoi dipinti sono come la notte »
Una poesia cosi Impensata

La scrittura di una lettera, sacra
un incontro bello e pieno di speranza
del sé con il sé
Adoro la tua consapevolezza!16

È affascinante immaginare l'attenzione di Byars per la scrittura delle lettere come un'altra manifesta appropriazione dell'arte e dei costumi giapponesi. Heian-kyō, in seguito conosciuta come Kyoto, fu fondata come nuova capitale della corte imperiale nel 794: i quattro secoli successivi del periodo Heian (794-1185) videro il consolidamento del potere politico della famiglia Fujiwara, la rottura con la Cina Tang e la fioritura di una vita di corte particolarmente raffinata, nota come civiltà Heian. Il codice estetico, impregnato di insegnamenti buddisti sull'evanescenza della vita, ha ispirato l'arte laica e religiosa più raffinata realizzata in tutto il mondo durante questo periodo. Il suo dominio insulare di poetica e rituali, giochi di go e incenso, lussi sfarzosi e avvenimenti soprannaturali vennero raccontati in un classico della letteratura dell'undicesimo secolo La Storia di Genji, considerato il primo romanzo della letteratura mondiale. Scritto da Murasaki Shikibu (circa 973-circa 1014 0 1025), che prestò servizio presso la corte imperiale, descrive una società aristocratica di una raffinatezza culturale favolosamente elevata e di una grandissima consapevolezza della propria coscienza storica. Nel mondo dello splendente principe Genji, la mancanza di apprezzamento di un'opera calligrafica o un'esecuzione musicale potevano rovinare la reputazione di un gentiluomo. Il culto della raffinatezza e le storie d'amore elaborate e spesso illecite della corte Heian, come raccontato nella Storia di Genji, sono stati il soggetto costante dei rotoli narrativi, dei dipinti e dei paraventi giapponesi fin dall'undicesimo secolo. Ma il "culto della bellezza" di Kyoto rappresentò anche un certo imbarazzo per gli storici nazionalisti giapponesi dell'era moderna, che ne liquidarono il decadimento morale a favore dello shogunato militare che succedette ai Fujiwara, e suscitò il disprezzo dei primi studiosi occidentali. «Una nidiata di avidi, bisognosi, frivoli dilettanti sempre in agguato»>, scrisse James Murdoch nel 1903. «Ci si poteva aspettare che questi tirapiedi viziati e i poetastri incipriati facessero davvero una bella figura». (17)

Byars avrebbe conosciuto la traduzione di mille pagine della Storia di Genji di Arthur Waley (1925-33). Li avrebbe appreso le convenzioni artistiche che accompagnavano la preparazione e l'invio di una lettera nel Giappone Heian, un'usanza che permeava i movimenti artistici successivi come la scuola Rinpa e continua a essere apprezzata ancora ai giorni nostri. Scrivere una missiva non era una semplice comunicazione; era una prova di talento. Lo studioso del Genji Ivan Morris descrive la scena in questo modo:

Innanzitutto, era necessario scegliere la carta dello spessore, del formato, dell'aspetto e del colore appropriati per adattarsi allo stato d'animo emotivo che si desiderava suggerire, così come alla stagione dell'anno e persino alle condizioni atmosferiche di quel particolare glorno. La calligrafia, ovviamente, era importante almeno quanto il messaggio vero e proprio, e spesso chi scriveva doveva fare numerose bozze con pennelli diversi prima di produrre l'effetto preciso che desiderava. Il nucleo del testo era solitamente una poesia di trentuno sillabe, la cui immagine centrale era un aspetto della natura che simboleggiava delicatamente l'occasione. Dopo aver terminato con cura la sua lettera, l'autore la plegava con attenzione in uno degli stili accettati. Il passo successivo consisteva nel selezionare il rametto di un bouquet o il fiore adatto a cui la lettera doveva essere attaccata. Questo dipendeva dallo stato d'animo dominante del testo e dall'immaginario della poesia. Era anche correlato al colore della carta: carta blu per un ramoscello di salice, verde per la quercia, cremisi per l'acero, bianco per una radice di iris. Infine, l'autore convocava un messaggero intelligente e di bell'aspetto e gli dava istruzioni per consegnare il prezioso documento. A quel punto non c'era altro da fare che aspettare la risposta e scoprire con quanta abilità il proprio corrispondente aveva risposto alla sfida(18).

Per Byars, la scrittura di lettere racchiudeva il suo programma estetico. Le lettere erano concepite e vissute come un'occasione, un evento momentaneo dal fascino sorprendente. La loro materialità era splendida e fragile come un'ala di farfalla. Assumevano la forma sia della presenza sia dell'assenza, la dialettica della perfezione e della morte che strutturava la sua filosofia rigorosa. Sempre più spesso, le sue lettere suggellavano una sorta di legame ermetico con i suoi amici e collaboratori scelti. Byars scriveva costantemente alle persone più influenti del mondo dell'arte contemporanea: Dorothy C. Miller del MoMA, Thomas Messer del Guggenheim, Gordon Washburn del Carnegie Institute e successivamente della Asia Society Gallery di New York, e Sam Wagstaff del Wadsworth Atheneum e del Detroit Institute of Arts. Proponeva collaborazioni, descriveva progetti, eventi e performance imminenti e spesso faceva richieste stravaganti. Ossessionato dall'imponente rotonda e dall'atrio di Frank Lloyd Wright, defini ripetutamente il Guggenheim un «edificio sacro» e implorò Messer di organizzare li vari eventi, tra cui svuotare l'intero museo e dipingerlo d'oro puro. All'inizio degli anni sessanta, scrisse una proposta per una grande installazione di carta, Hole in the Sky; arrivò come una pila di fogli gialli, con parole scritte nell'angolo superiore sinistro di ogni pagina:

Caro signor Messer
"Buco nel cielo"
anonimamente
carta bianca
estate
di che cosa si tratta?
1 metro per 92 circa con un foro di 30 centimetri
al centro
sollevato da una prolunga a forma di bastone
al centro della sala
su e giù ogni giorno
per 4 giorni
il museo può patrocinarla?
Una realizzazione da 1000 dollari eseguita
a Kyoto e trasportata in aereo
il pezzo diventerebbe di proprietà dell'istituzione, se lo volesse
idee?

Con affetto JB (19),

Quando Byars iniziò a esporre alla Biennale di Venezia e a Documenta a Kassel, scrisse una valanga di lettere a un numero crescente di suoi sostenitori, tra cui l'eminente direttore del museo Rudi Fuchs e il curatore Harald Szeemann. Nel 1972, in occasione dell'inaugurazione di Documenta 5, organizzata da Szeemann, Byars inviò telegrammi alla regina Elisabetta, al Presidente degli Stati Uniti Richard Nixon e a Mao Zedong, implorandoli di partecipare.

AL GRANDE MAO PECHINO
È PERFETTO E LOGICO CHE UN GRANDE CAPO DI
STATO VISITI LA PIÙ GRANDE MOSTRA D'ARTE
DEL MONDO E FACCIA UN IMPORTANTE
COMMENTO? POSSO INVITARLA A DOCUMENTA
5 A KASSEL, IN GERMANIA, IL 70 L'8 OTTOBRE

CORDIALMENTE JAMES LEE BYARS/ PS. O UN SUO RAPPRESENTANTE O PER TELEFONO (20)

Nel teatro Nō, la rappresentazione si apre nell'aldilà; i protagonisti sono tutti fantasmi e spiriti, apparizioni di una mente soprannaturale e ancestrale. Per Byars, invitare le figure più famose e più implausibili a Documenta fu un atto simile a iniziare il dramma in una condizione di desiderio non corrisposto.

Il libro di una sola pagina con cento domande

Nel 1967, James Lee Byars perse lo sponsor del suo visto giapponese e decise, dopo un decennio di vita in Giappone, di tornare negli Stati Uniti. Nei tre decenni successivi della sua vita, fece la spola tra Los Angeles e il sud-ovest americano, New York, San Francisco e Berna, nelle Alpi svizzere. Nel 1982, si trasferi in una pensione a Venezia dove conservò le sue opere e la sua biblioteca e nel 1997 si recò al Cairo, dove si ammalo gravemente e mori. Durante le sue peregrinazioni, la carta rimase il suo mezzo preferito. Per la mostra "Made with Paper" del 1967-68, al Museum of Contemporary Crafts di New York, contribui con una nota dattiloscritta intitolata "JAMES LEE BYARS AND A DOZEN FACTS" ["JAMES LEE BYARS E UNA DOZZINA DI FATTI"]. Il fatto numero tre è: "INTERESTED IN PHILOSOPHY" ["INTERESSATO ALLA FILOSOFIA"); il fatto numero cinque è: "WORKS IN PAPER AS AN ARTIST" ["LAVORA IN CARTA COME ARTISTA"]; e il fatto numero sette è: "FAVORITE SENTENCE LIKE A DREAM LIKE A VISION LIKE A BUBBLE LIKE A SHADOW LIKE DEW LIKE LIGHTENING" ["LA FRASE PREFERITA COME UN SOGNO COME UNA VISIONE COME UNA BOLLA COME UN'OMBRA COME LA RUGIADA COME IL CHIARORE"] (21)

Ciò che più attraeva Byars della carta era il suo significato culturale e quelle che considerava le sue qualità magiche. Lavorare con la carta significa entrare in comunione con il passato, riflettendo la nostalgia che pervade l'arte di Byars e lo distingue da molti suoi contemporanei. In Giappone, Byars aveva probabilmente familiarità con la pratica shintoista indigena delle shide, strisce di carta piegate a zig zag che simboleggiano la presenza dei kami, gli spiriti della natura, in un santuario. Quando sono unite per mezzo di una corda come decorazione, le strisce di carta contrassegnano un recinto sacro; quando sono attaccate a un bastone di legno, servono come bacchette, che il sacerdote shintoista, nel suo costume del settimo secolo, agita con una coreografia cerimoniale per pulire e purificare un luogo, una persona o un'energia. La carta è solitamente bianca, ma può anche essere realizzata in lamina d'oro o d'argento; è sempre nuova. Byars accolse questi gesti e materiali all'interno del suo schema più ampio di rituale performativo e simbologia. Come ha scritto il critico e filosofo Thomas McEvilley, « [Byars] si è presentato come una sorta di figura angelica o, più precisamente, come un saggio arruffato diabolicamente angelico, fuori dalla storia, incontaminato, non protetto, seduto in alto in un mondo svuotato che non comportava gli imperativi della vita quotidiana abituale: un essere trasfigurato in una condizione nuova e ancora indefinita»22.

Come la scrittura di lettere, i libri erano centrali nell'arte di Byars. Hanno assunto una vasta gamma di forme, da quelle molto grandi a quelle molto piccole. Alcuni libri erano composti da una sola pagina, altri da mille. Il testo stampato, sempre in tutte lettere maiuscole, poteva presentare una singola parola, un'abbreviazione o più frasi. Come autodidatta e lettore onnivoro, Byars venerava i libri per ciò che simboleggiavano: la vasta bibliografia della ricerca di significato dell'umanità, dal mondo antico a quello moderno. Libri diversi avevano colori diversi. Come in tutte le sue opere- i materiali delle sue lettere, i monocromi assoluti delle sue sculture e installazioni, e persino i costumi che indossava per le performance - i colori erano anche parte integrante della struttura di ogni volume. Per Byars, il bianco simboleggia la purezza, l'assenza e lo spirito e suggerisce il quadrato bianco di Malevič»23, Il nero simboleggia la morte, il vuoto e tutto il sapere ermetico; il rosso, il colore della vita, suggerisce una miscela «di sangue e rossetto"24, L'oro, segno distintivo di Byars, è l'essenza del mistero nobile, un materiale glorificato; rifiutandone le associazioni con il decorativo, una volta affermò che l'oro «mi porta più nell'infinitamente mistico»25. In un'altra occasione realizzò un libro che non era stampato, ma piuttosto perforato, in modo che il lettore potesse vederlo solo se lo esponeva alla luce. Michael Stoeber, uno studioso di religione, descrive questo libro come: «Un testo fatto di aria, proprio come lo spirito, spiritus, è uno spirito aereo) 26

La medievale Forêt de Soignes, vicino a Bruxelles, era una riserva di caccia preferita dalla famiglia imperiale asburgica; intorno al 1800, Napoleone ordinò di abbattere 22.000 delle sue vecchie querce per costruire la flottiglia di Boulogne per la sua sfortunata invasione della Gran Bretagna. In questo luogo simbolico, al tempo stesso pastorale e spettrale, Byars rappresentò The Black Book (1971, fig. 10) davanti a un pubblico di invitati europei. Apparendo in abiti di seta bianca, con lunghi capelli scuri e cappello a cilindro nero, accanto a una sedia vuota posta sul terreno della foresta che simboleggiava la presenza di un pensatore assente, l'artista presentò un libro di una pagina contenente cento domande stampate in piccole lettere d'oro su carta velina nera; la copertina, dichiarò, era immaginaria. La prima domanda era: "THE FIRST TOTALLY INTERROGATIVE PHILOSOPHY?" ["LA PRIMA FILOSOFIA TOTALMENTE INTERROGATIVA?"].

Byars era ossessionato dalle domande. I suoi libri in edizione unica erano l'opposto della conoscenza dichiarativa; al contrario, erano spesso progettati come contenitori delle collezioni delle sue affermazioni. Nel 1969, su invito del fisico e futurologo Herman Kahn, fu artista residente presso l'Hudson Institute, il think tank nella parte settentrionale dello stato di New York. Li, mentre lavorava accanto ad analisti della difesa e teorici dei sistemi, concepi il World Question Center, in parte in omaggio a uno dei suoi filosofi preferiti, Ludwig Wittgenstein, «che poneva tanti meravigliosi tipi di domande». Alla ricerca di persone «che hanno un'abilità naturale di alto livello per le domande»>, telefonò a esperti in diversi campi chiedendo loro, senza preavviso, quale fosse il quesito più importante su cui stavano lavorando27, Spesso, era meno interessato alle loro risposte che al senso di immediatezza che provocavano. Tre anni dopo, Szeemann organizzò una residenza per Byars presso il Conseil Européen pour la Recherche Nucléaire (CERN), che gestisce gli acceleratori di particelle più grandi del mondo per la ricerca sulla fisica ad alta energia. Byars intendeva la fisica quantistica come un campo il cui oggetto è invisibile e il cui principio è l'incertezza. Si presentava ogni giorno indossando un abito bianco, occhiali da sole dorati, scarpe da ginnastica dorate e un cappello Panama, e procedeva a porre le sue domande al team del CERN di "fant." [fantastici] fisici teorici. Uno di loro rispose: «L'ipotesi non esiste?» (28)

Byars corteggiava l'eccentricità e le fonti del suo programma estetico erano volutamente eclettiche. Nel 1986, racchiuse una sfera di marmo bianco in una teca e intitolandola The Head of Plato. Il fondatore della filosofia occidentale, noto per il suo sistema di domande e ipotesi, è simboleggiato dalla forma di sublime perfezione, che raddoppia come significante del nulla, del puro potenziale. Una serie correlata di sfere minimaliste intitolate "libri" è stata descritta dal critico e poeta Carter Ratcliff come avente «l'effetto sull'immaginazione di un'indagine onnicomprensiva, un interrogatorio globale» 29. Un altro argomento della ricerca di Byars è il kōan nella formazione buddista Zen. Queste brevi frasi che risalgono alle fondamenta del Buddismo Chan in Cina - alcune lunghe un solo carattere e altre affermazioni criptiche come "Fare una capriola sulla punta di un ago" - vengono trasmesse da un maestro Zen a un monaco novizio; alcuni kōan possono richiedere anni per "rispondere". Assurde e paradossali, queste affermazioni-domande sono pensate per turbare il pensiero abituale e provocare una "fioritura" dell'essere nel momento presente, un'intuizione fugace della natura della mente che Byars chiamava «il momento perfetto».

Oltre a famose antologie in lingua inglese come The Gateless Gate (1934) e The Blue Cliff Record (1977) che circolavano tra le avanguardie, Mystics and Zen Masters (1961) del teologo interreligioso e attivista contro la guerra Thomas Merton offriva un'introduzione classica all'uso del kِan come strumento di pensiero contemplativo. «Il cuore del kِan viene raggiunto», scrive Merton, «il suo nocciolo viene colto e assaporato, quando si irrompe nel cuore della vita come terreno della propria coscienza»30, Cita questo commento del maestro Zen giapponese Bassui Tokusho del XIV secolo, che suggerisce associazioni con la "filosofia interrogativa" di Byars:

Quando le tue domande andranno sempre più in profondità, non otterrai nessuna risposta, finché alla fine raggiungerai un vicolo cieco, con il pensiero totalmente controllato. Non troverai nulla dentro di te che possa essere definito "lo" o "Mente". Ma chi è che comprende tutto questo? Eppure continua a sondare più a fondo e la mente che percepisce che non c'è nulla svanirà; non sarai più consapevole di fare domande, ma solo del vuoto. Quando anche la consapevolezza za del vuoto scomparirà, realizzeral che non c'è Buddha al di fuori della Mente e non c'è Mente al di fuori del Buddha. Allora per la prima volta scoprirai che quando non odi con le orecchie stai veramente udendo e quando non vedi con gli occhi stai veramente vedendo i Buddha del passato, del presente e del futuro. Ma non abbracciare semplicemente tutto ciٍ, sperimentalo tu stesso31. Riflettendo su The Black Book, Byars una volta dichiarٍ: «è diventato immanente che una domanda da sola è sufficiente [...] Cioè, si adatta a tutte le più belle categorie di ciٍ che considero la realtà percettiva» (32).

Potrebbe essere il fantasma di Zeami?

L'ossessione di Byars per l'effimero rispecchia la sua identica ossessione per la morte. Come ha osservato McEvilley, « »il lavoro di Byars è stato notevole in entrambi questi casi: l'implacabile attenzione all'immediatezza del momento vitale e l'evocazione di un regno ideale della morte>>33, Nel 1975, Byars esegui The Perfect Epitaph come offerta alla sua amica Eugenia Butler in punto di morte. Con indosso un pigiama d'oro lucido e il suo solito cappello a cilindro in seta nera, Byars fece rotolare secondo un rituale cerimonioso una sfera di lava rossa di circa 60 centimetri di diametro lungo la strada principale del centro storico di Berna: la sua solidità era compensata dal titolo di accompagnamento, scritto a macchina su un piccolo foglio di carta.» «Era solo qualcosa di strano, come puٍ accadere nelle favole», scrisse il suo gallerista Toni Gerber34. Per l'inaugurazione della Biennale di Venezia di quell'anno, Szeemann commissionٍ a Byars la messa in scena di The Holy Ghost (1975) in piazza San Marco. Li, di fronte alla basilica che custodisce le reliquie di san Marco Evangelista, srotolٍò una striscia di cotone bianco lungo un centinaio di metri con la sagoma di una figura e lo tenne sospeso in alto in piazza con l'aiuto spontaneo della folla. Szeemann descrisse lo 'spettacolare evento fisico» come qualcosa di simile alla «prima ??processione??? della cristianità» dove, grazie a Byars, 'tutto è stato riportato a questo raggio di luce spirituale...» (35), Una volta che la figura dello spirito era stata dispiegata e aveva preso il vento per alcuni minuti come una vela, Byars la ripiegٍ in una borsa, sali su una gondola e parti per l'inaugurazione della Biennale. « Tutti sono una manifestazione dello Spirito Santo»>, riflette in seguito Byars. «Voglio dire, che era in ogni cosa, che era la manifestazione dell'ignoto» (36)

Nel 1982, Byars scrisse a Joseph Beuys una serie di lettere riccamente decorate. Le missive parlavano della morte e recavano la proposta poco plausibile di acquistare la morte di Beuys. In seguito, Byars mise in scena The Perfect Death in Honor of Joseph Beuys sul balcone rococo della Stنdtische Galerie im Lenbachhaus di Monaco. L'artista-sacerdote apparve vestito in oro davanti agli ospiti riuniti sotto di lui, si sdraiٍ per qualche istante, poi si alzٍ e scomparve. Queste parole e questa performance precorrono diverse opere che alludono alla morte; solo in seguito l'artista applicٍ il tema a se stesso. « Tutto il lavoro di Byars riguarda la morte», continua McEvilley, «riguarda la morte dell'ordinario, dello storico, dell'essere che vive nel tempo cerimoniale e nelle sue limitazioni; riguarda la trasposizione dell'autostima nell'istantaneo o nell'eterno, nel solco degli sforzi di molti mistici». (37)

L'idea della performance come semplice scorcio di splendore, piuttosto che una saturazione di dramma, è una delle strategie più radicali di Byars. L'arte non è un quadro, un oggetto o una fissa che l'artista fa nel e del mondo, ma piuttosto un dono che attiva un'esperienza di incontro con il mondo stesso, compresa la mortalità. Nel 1994. Byars realizzٍò una delle sue installazioni più ambiziose presso la galleria dell'amica Marie-Puck Broodthaers a Bruxelles. The Death of James Lee Byars presenta una stanza interamente ricoperta da foglia d'oro. In occasione dell'inaugurazione, Byars entrٍ nello spazio, si sdraiٍ rimanendo assolutamente immobile, poi si allontano. Una pratica di resurrezione o una vita ultraterrena? Tornٍ per posare cinque cristalli a forma di stella a cinque punte, un riferimento all'Uomo vitruviano di Leonardo, su un "sarcofago" in foglia d'oro. ب la stessa stella che disegnava sulle lettere delle sue missive.

L'idea di uno spazio architettonico interamente ricoperto di foglia d'oro sarebbe nata nei primi anni di Byars a Kyoto, quando viveva vicino a Kinkaku-ji, uno dei templi Zen più famosi del Giappone. Il Tempio del Padiglione d'Oro fu originariamente commissionato nel 1397 da Ashikaga Yoshimitsu, il sovrano militare ed esteta che patrocinٍ la più grande fioritura della cultura giapponese dal periodo Heian. L'oro, secondo Ashikaga, protegge dagli spiriti negativi e purifica i pensieri sulla morte. Tra gli artisti che servirono Yoshimitsu c'era il teorico fondatore del teatro Nō, Zeami, che all'inizio del 1400 compilٍ il trattato estetico preferito di Byars, il Fushi Kaden o "Lo spirito in fiore" (38). Un altro riferimento fu sicuramente la sala da te dorata portatile del guerriero Momoyama Toyotomi Hideyoshi, il cui splendore e la cui follia furono registrati da nobili di corte contemporanei. maestri della cerimonia del tè e missionari gesuiti (39), L'emergente comandante militare, che presto avrebbe unificato gli stati in guerra e guidato una spedizione contro la penisola coreana, eresse questa struttura sul terreno del Palazzo Imperiale di Kyoto, dove invitٍ I'Imperatore per una cerimonia tutta d'oro del tè di Capodanno nel 1586. Come lo spazio dorato della morte di Byars, ogni superficie del chashitsu di Hideyoshi era ricoperta di foglia d'oro. Con le sue ombre scintillanti e la traccia cristallina di una forma umana, The Death of James Lee Byars è una splendida sintesi della ricerca da parte dell'artista di un'arte come filosofia spettacolare.

Per Byars, l'evanescenza è ciٍ che rende l'itinerario ascetico cosى splendente: "LIKE A SHADOW LIKE DEW LIKE LIGHTENING" ["COME UN'OMBRA COME LA RUGIADA COME II CHIARORE"].

Byars si ammalٍ di cancro e mori nel 1997 all'età di sessantacinque anni. Nonostante la sua salute cagionevole, lavorٍ fino all'ultimo respiro. Ogni mattina si alzava presto e scriveva lettere sempre più indecifrabili ai suoi amici e collaboratori in tutto il mondo. Tra questi c'era l'artista ed editore florentino Maurizio Nannucci, che Byars definiva "Poeta". Nannucci, che era vagamente associato a Fluxus, era interessato alla poesia visiva e fu pioniere nell'uso di scrivere testi aforistici con luci al neon, evocando il legame tra immagine, parola e spazio. Condivisero alcuni progetti e una certa arguzia. Byars si recٍ al Cairo nei suoi ultimi mesi di vita per supervisionare due grandi opere in laboratori arabi locali. Scelse di stare in una stanza del famoso hotel Mena House con una vista diretta sul complesso delle piramidi di Giza. Si sdraio tra un mucchio di opere d'arte e scarti di materiali lussuosi «come i corredi funerari della tomba di Re Tut» (40), e cercٍ di capire come realizzare una sfera senza cuciture delle dimensioni di un cuore umano che sarebbe stata soffiata, come il vetro, in oro puro. La cartolina del 1987 che mandٍ a Nannucci raffigurava ciٍ che stava guardando: i tre misteri dell'antico Egitto.

Al momento della sua morte, Byars stava progettando una mostra, "The Treasures of James Lee Byars", presso il Toyama Memorial Museum, ospitato in una deliziosa villa tradizionale giapponese. L'esposizione doveva presentare una sfera d'oro di 55 mm, Is (1997), collocata da sola in una nicchia in ombra della sala da tè tokonoma. In una lettera del 27 febbraio al curatore Koichi Toyama, Byars scrisse:

IS
1. ISIS
2. Is non ha bisogno di nulla e ha bisogno di un complemento
3. Is è completo e incompleto senza complemento.
4. Is è una sfera completa e non ha bisogno di un contesto
5. Is rifiuta il contesto e cerca l'essenziale.
6. Is è un testo, dipende dal contesto.
7. Is è lo spazio, nel contesto
8. Is non puٍ scegliere un contesto, ma dobbiamo sceglierlo noi.
9. Siamo in assoluta libertà.
10. Ora si pone la domanda essenziale: possiamo confrontarci con la libertà assoluta? (41),



James Lee ByarsJames Lee Byars, Ritratto, 1994 © The Estate of James Lee Byars.


Ringraziamenti: Questo saggio si basa su una ricerca d'archivio sulla corrispondenza di James Lee Byars, Iniziata e condotta dalla ricercatrice associata Zoe Diao Diao ha anche trascritto le lettere che costituiscono la base della mia tesi, comprese se quelle illustrate qui. Le sono grata per il suo contributo ispirato e per la sua ricerca esperta e meticolosa.

Il titolo di questo saggio è tratto da una lettera di James Lee Byars presentata alla mostra "James Lee Byars: Letters from the World's Most Famous Unknown Artist". Massachusetts Museum of Contemporary Art, North Adams, 17 gennaio-6 giugno 2004, https://massmoca. org/event/james-lee-byars-lettersfrom-the-worlds-most-famous-unknown-artist/. Ultimo accesso 19 agosto 2023.

Note -
1 Le due opere d'arte utilizzate nella performance a Shokoku-ji del 1964 sono: A 1,000-Foot White Chinese Paper, 1962-63, carta bianca, unita e piegata, 10 cm x 250 metri circa da aperta, oral nella collezione del Carnegie Museum os Art, Pittsburg; Untitled Object, 1962-63. pastello su carta giapponese, unita e piegata, 30 x 533 cm circa da aperta, ora nella collezione del Museum of Modern Art, New York. Museum o Byars ha menzionato queste opere nella sua corrispondenza del 1964 con Thomas Messer. allora direttore del museo e della fondazione Solomon R. Guggenheim, scrivendo: «Le mie opere completate entrano tutte nella mia valigia come pieghevoli di 10 cm x 250 metri circa 3 cm x 60 metri circa, eccetera, e ognuna puٍ essere eseguita, non mi aspetto alcuna sponsorizzaziones. James Lee Byars, lettera a Thomas Messer, 1964, scatola 4251, faldone 14. Thomas M. Messer records (Ao007), Solomon R. Guggenheim Museum Archives, New York.
2 Questa descrizione di prima mano della performance Shōkoku-ji è opera del giornalista e fotografo britannico Simon Blackwall ed è citata in Klaus Ottmann, "Objects of Seduction: Scrolls and Accordion-Folded Performative Paper Sculptures di James Lee Byars", in Die Geschichte(n) Gefalteter Bücher Leporellos, Livres-Accordéon Und Folded Panoramas in Literatur Und Bildender Kunst, a cura di Christoph Benjamin Schulz, Georg Olms Verlag AG, Hildesheim 2020, pp. 331-345. Vedi anche Sakagami Shinobu, James Lee Byars: Days in Japan, Floating World Editions, Inc., Warren, CT 2017. pp. 79-82. Sakagami data questa performance al 21 giugno 1964. Esistono vari resoconti di questo evento, nessuno è conclusivo.
3 James Lee Byars, citato in William S. Lieberman, "New Talent USA: Prints and Drawings", in "Art in America,1, 1961, p. 50 50 citato in Kevin Power, "James Lee Byars: A Glimpse of the Perfect", in James Lee Byars: The Perfect Moment, IVAM, Valencia 1995. p. 281.
4 James Lee Byars, lettera a Dorothy C. Miller, 1966, descritta in Michelle Elligot, James Lee Byars: The Art of Writing, https/www. moma.org/interactives/ exhibitons/2007/art of writing/2007. Ultimo accesso 26 luglio 2023.
5 Georges Bataille, "Chance" [1944] in The Bataille Reader, a cura di Fred Botting e Scott Wilson, Blackwell Publishing. Oxford 1997, p. 40. Citato in Klaus Ottmann, "Objects of Seduction" cit., pp. 331--34.
6 "The Mystic Painters of the Northwest", in "Life", 28 settembre 1953.
7 John Cage, "Autobiographical Statement", discorso scritto per la Fondazione Inamori pronunciato a Tokyo, 1990, e successivamente rivisto, https://johncage.org/beta/ autobiographical statement.html. Ultimo accesso 16 agosto 2023.
8 Morris "Morris Graves-raves, enheim Application", novembre 1945. citato in Kathleen Pyne e D. Scott Atkinson, "Landscapes of the Mind: New Conceptions of Nature", in The Third Mind: American Artists Contemplate Asia, 1860-1989, a cura di Alexandra Munroe, Guggenheim Museum, New York 2009, p. 95.
9 Morris Graves, citato in Frederick S. Wight, Morris Graves, University of California Press, Berkeley 1956, p. 19.
10 Ananda Coomaraswamy, 7 Transformation of Nature in Art, Harvard University Press. Cambridge 1934, pp. 10-11. Citato in David W. Patterson, "Asian Structures in Modern Composition: Mu Philosophy", in The Third Mind, cit., p. 281.
11 Yoko Ono, "To the Wesleyan People" inserto di The Stone, Judson Gallery, New York 1966; ripubblicato in Yoko at Indica, Indica Gallery, London 1966 e Grapefruit, Simon and Schuster. New York 1970. Vedi Jon Hendricks "Anthology Writings by Yoko Ono", in YES YOKO ONO, a cura di Alexandra Munroe, Japan Society and Harry N. Abrams, New York 2000, pp. 288--291.
12 James Lee Byars ha spesso parlato della sua ricerca del *momento perfetto". Vedi il catalogo della mostra retrospettiva con questo titolo, James Lee Byars: Moment, cit.
13 Olga Constantine (1929- 1997) fu un'artista astratta americana che insegnٍ alla Wayne State University, dove conobbe Byars, che studiava arte e filosofia li negli anni cinquanta. Constantine e Byars rimasero amici e corrispondenti per la maggior parte della loro vita. Cfr. Olga Constantine Papers Relating to James Lee Byars (circa 1953-64: 1997). Archives of American Art, Smithsonian Institution, Washington, DC, https://www.aaa.si.edu/ collections/olga-constantine- papers-relating-to-james-lee- byars-5986. Ultimo accesso 20 luglio 2023. Questo archivio consiste principalmente di lettere a Constantine da parte di Byars, scritte mentre Byars viaggiava e studiava in Giappone.
14 James Byars, - , lettera a Olga Constantine, 12 agosto 1958 Olga Constantine Papers. Archives of American Art. Byars scrisse questa lettera dal Folk Art Museum (ora Kurashiki Museum of Folkcraft), città di Kurashiki Prefettura di Okayama, Giappone.
15 James Lee Byars, lettera a Olga Constantine, n.d. Olga Constantine Papers, Archives of American Art. «My friend Orpheo and I walk thru/the meadow/A great voice said to us and all--/ "We live only to discover beauty all else is a form of waiting" These sounds come from a stone far greater than us/Away we move with wonder in our hearts silence /lees".
16 James Lee Byars, lettera a Olga Constantine circa 1958. Olga Constantine Papers, Archives of American Art. «A rain is finished. Near where I write, a spider remakes his home, it seems his essential nature delicate, faint, honest but for death. / What can we do so beautifully? Is it also a part of death? You know you cannot go into the unknown black, but you must or you have not life!/Recently, while painting with China black,/ the little girl of the house said/"Your paintings are like the night"/Such unthought poetry/The writing of a letter, sacred/beautiful, hopeful meeting of/self with self/I love your consciousness!».
17 James Murdoch, A History of Japan [1903), Routledge, London 1949, p. 230; citato in Ivan Morris, The World of the Shining Prince: Court Life in Ancient. Japan. Charles E. Tuttle Company, Tokyo 1964, p. 5.
18 Ivan Morris, The World of the Shining Prince, cit., pp. 187-188.
19 James Lee Byars, lettera a Thomas Messer, n.d., circa 1963. Scatola 4251, Cartella 21, documenti di Thomas M. (Ao007), Solomon R. Messer R. Guggenheim Museum Archives. «Dear Mr. Messer/"Hole into the sky"/ anonymously/white paper/ summer/showing?/3 by 300 feet with a 1 foot hole in the middle elevated by a an extension stick/ dead center in your room/up and down everyday/for 4 days/can the museum patronize it?/1000 dollar construction done in Kyoto and flown back/the piece would become the institution's if wanted /ideas?/Fondly JBx
20 «GREAT MAO PEKING/IT IS PERFECT AND LOGICAL THAT A GREAT HEAD OF STATE WOULD VISIT THE WORLD'S GREATEST ART SHOW AND GIVE GREAT COMMENT? MAY I INVITE YOU TO DOCUMENTA 5 IN KASSEL GERMANY IN OCTOBER 7TH OR 8TH/SINCERELY JAMES LEE BYARS PS. OR YOUR REPRESENTATIVE OR BY PHONE.»
21 James Lee Byars, nota preparata per la mostra "Made With Paper". Museum of Contemporary Crafts, New York, 1967-68, citata in James Lee Byars: The Perfect Moment, cit. p. 202.
22 Thomas McEvilley, "Byars" Death", in ivi, p. 270.
23 James Lee Byars, "The Holy Ghost", intervista con David Sewall, in James Lee Byars: 1/2 An Autobiography, a cura di Magail Arriota e Peter Eleey, Museo Jumex e PS1, Ciudad de México e New York 2014, p. 235
24 James Lee Byars, citato in James Lee Byars: The Perfect Moment, cit. p. 295
25 James Lee Byars, intervista con Wolf Günter Thiel, 1995. citata in James Lee Byars: The White Mass, a cura di Friedhelm Mennekes, Walther Kِnig, Kِln 2004, n.p. Il corsivo è dell'autore
26 Michael Stoeber, "A Text Made of Air: Byars' Books and Ephemera", in James Lee Byers: The Epitaph of Con. Artis Which Questions Have Disappeared?, a cura di Carl Haenlein, Kestner Gesellschaft, Hannover 1999. p.222
27 James Lee Byars, "The World Question Center", intervista di David Sewell, 1977. in James Lee Byars: 1/2 An Autobiography, cit p.72.
28 James Lee Byars, "CERN", intervista rilasciata da David Sewell, 1977, in ivi, p. 107. La domanda è stata posta dal fisico teorico John Bell nel 1972.
29 Carter Ratcliff, "James Lee Byars: Byars: Art in the interroga tive Mode", in The Perfect Thought: Works by James Lee Byars, a cura di James Elliott, University Art Museum, University of California at Berkeley, Berkeley 1990, p. 55.
30 Thomas Merton, Mystics & Zen Masters, Dell, New York 1961, p. 236.
31 vi, p. 236
32 James Lee Byars, "The Black Book", intervista di David Sewell, 1977, in James Lee Byars: 1/2 An Autobiography, cit., p. 219.
33 Thomas McEviley, "Byars" Death", in James Lee Byars: The Perfect Moment, cit., p. 270.
34 Invito a "James Lee Byars presso il centro d'arte de Appel (verso), Amsterdam, 1975, in James Lee Byars: 1/2 An Autobiography, cit., p. 193.
35 Harald Szeemann, "Train Tape", 1972-85, in ivi, p. 239.
36 James Lee Byars, "The Holy Ghost", intervista rilasciata da David Sewell, in ivi, p. 235.
37 Thomas McEvilley. "Byars' Death", in James Lee Byars: The Perfect Moment, cit., p. 270. 38 critici occidentali hanno to sull'influenza del teatro No e del suo teorico fondatore Zeami (1363-1443) sul lavoro di lames Lee Byars. Tuttavia, finora questi scrittori non sono né studiosi della cultura giapponese né praticanti del teatro No, ei commenti generalmente mancano di contesto e specificità. L'autrice spera di poter contribuire un giorno a questo importante studio.
39 Per saperne di più su Hideyoshi Toyotomi (1536-1598), vedi Stephen R. Turnbull, Toyotomi Hideyoshi: Leadership, Strategy. Conflict, Osprey, Oxford 2010 e Mary ary Elizabeth Barry, Hideyoshi, Harvard University Press, Cambridge, MA 1989.
40 Thomas McEviley, "Passages: Johnny Wakes", in "Artforum" 36, n. 1, settembre 1997. p. 10. McEvilley si recٍ al Cairo e trascorse del tempo con Byars al momento della sua morte.
41 James Lee Byars, "Is", dattiloscritto del 27 febbraio 1997. in The Treasures of James Lee Byars, a cura di Koichi Toyama e Fuyumi Namioka, Toyama Museum of Art, Toyama 2000, p. 7 1. ISIS/2. Is needs nothing and needs complement/3. Isis complete and incomplete without complement./4. Is is a complete sphere and needs no context/5. Is rejects the context and seeks for the essential. 6./is is a text. depends on context/7. Is is the space, in the context/8. Is cannot choose a context but we must choose it. 9./We are in absolute freedom./10. Now here comes up the essential question: can we confront with the absolute freedom?.

James Lee ByarsJames Lee Byars, The Golden Tower, 1990 Veduta dell’installazione, Campo San Vio, Venezia, 2017 Foto Richard Ivey


 

James Lee Byars
A cura di Vicente Todolí
Site Pirelli HangarBicocca 12 ottobre 2023 – 18 febbraio 2024
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