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Centro Pecci
Jacopo Miliani
INFINITY

 
Jacopo-MilianiINFINITY, workshop di Jacopo Miliani 2019 Courtesy: l’artista e Centro Pecci, Prato Photo by Mario Albanese



INFINITY
Dialogo

Artext - Quali sono gli intenti del workshop Infinity da te condotto presso il Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci? Il workshop si è concluso con una presentazione finale a cui hanno partecipato i perfomers del workshop e Yanou Ninja, danzatore di Voguing. Si tratta di un formato atipico... Intendi forse risolvere certi formati chiusi, propri di convenzioni rappresentative e museali?

Jacopo Miliani - INFINITY è stato un workshop di 5 incontri pensato per il Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci. Con Elena Magini (curatrice) e Cristiana Perrella (direttrice) ho progettato una presenza fisica e temporale all’interno degli spazi espositivi del centro che al momento stava ospitando la mostra Night Fever. Design Night Culture 1960-Today. Ho lavorato con i partecipanti al workshop in due grandi sale situate dopo il percorso della mostra.

Night Fever è titolo di una canzone dei Bee Gees, INFINITY quello di un pezzo degli USURA-DATURA. Il workshop si è inserito nel contesto della mostra attraverso il contagio sensoriale percepito tramite le dimensioni sia interiori che esteriori proprie del clubbing e della contaminazione linguistica e culturale.

Lo spazio era aperto al pubblico e il visitatore del Pecci poteva ritrovarsi a osservare la genesi di un processo performativo. Dall’altro lato i partecipanti stessi del workshop, attraverso le loro azioni e movimenti, utilizzavano lo spazio appropriandosene a livello personale e fisico. Dal mio punto di vista il corpo si trova al centro dello spazio sia nel club sia nel museo e la dimensione rappresentativa di cui facciamo esperienza come visitatori o performers (in modo più o meno consapevole) è una sovrastruttura linguistica che parte proprio dal corpo.

Jacopo-MilianiINFINITY, workshop di Jacopo Miliani 2019 Courtesy: l’artista e Centro Pecci, Prato Photo by Mario Albanese


Artext - Quale è il lavoro svolto nel workshop per motivare e attivare relazioni comunitarie e di aggregazione? Hai lavorato su un tema ed un periodo storico, gli anni Novanta, rivisto attraverso l’immaginario denso e minimale della Techno, la percezione della rete informatica globale, le seduzioni e gli eccessi della moda, la medialità reality della TV. Non è stata solo un’occasione per rispolverare le nostre radici?

JM - Ho scelto di focalizzarmi sulla decade degli anni Novanta attraverso una metodologia del tutto personale. Questo momento storico, per me rappresenta il momento della mia adolescenza, il periodo in cui sono passato da un tipo di conoscenza personale a un confronto con il gruppo, la collettività, i linguaggi dentro e al di fuori di me.
La maggior parte dei partecipanti al workshop aveva un’età anagrafica (si è trattato per lo più di persone nate negli anni 90) diversa dalla mia. Questa differenza tra me e la maggioranza, ma anche all’interno del gruppo, ha rappresentato un momento di confronto costante. Oltre a molti studenti dell’Accademia di Firenze e alcuni studenti dello IUAV di Venezia, c’erano anche una coppia madre-figlia (di 8 anni) e una neo-mamma.
Partendo da ricordi e affezioni personali connessi al contesto degli anni Novanta ho voluto ricercare un linguaggio capace di trascrivere la relazione tra me e la comunità che si stava creando all’interno dello spazio/tempo del workshop. I temi di confronto sono stati vari: l’AIDS, l’immagine digitale vs l’immagine analogica, Internet, i vocalist delle discoteche, il corpo danzante, l’abbigliamento minimale, le culture e le sottoculture. Il workshop si è focalizzato proprio su come la comunità sia influenzabile tramite il “contagio” da parte del singolo e viceversa.

Jacopo-MilianiINFINITY, workshop di Jacopo Miliani 2019 Courtesy: l’artista e Centro Pecci, Prato Photo by Francesco Gnot


Artext - Attraverso rimandi sensoriali e notazioni libere di voce e movimento elaborati durante le fasi del workshop si vengono a creare livelli e stratificazioni. Naturale è il desiderio di esprimere attraverso il corpo una narrazione, una drammaturgia. Attraverso partiture di movimento/attenzione hai lavorato a sviluppare lo spazio della presenza. Presentation of representation - Puoi raccontare di questo processo di interrelazione nelle esperienze specifiche del corpo e delle pratiche condivise?

JM - Più che parlare di “drammaturgia” utilizzerei la parola “partitura/score.” Infatti, durante il workshop non abbiamo seguito uno sviluppo narrativo o lineare. Il concetto di INFINITY e la scelta del titolo risiede proprio nell’anti-linearità. Seppure le sessioni del workshop avessero una successione e cadenza temporale, l’idea era di creare una dimensione aperta in cui entrassero diverse suggestioni, riferimenti e contaminazioni. Non solo gli argomenti trattati potevano cambiare e relazionarsi tra di loro, ma gli stessi partecipanti sono cambiati e c’è stata davvero molta interazione tra persone di età, nazionalità, esperienza diverse. La contaminazione finale (o iniziale) è avvenuta con la presenza di Yanou Ninja che ha partecipato al progetto solo nella fase di presentazione per la giornata del contemporaneo (Presentation of representation). Attraverso il movimento e la danza, Yanou e gli altri partecipanti hanno creato un linguaggio che nell’immediato si è propagato all’interno del centro Pecci, abbattendo la distinzione tra spettatore e performer; esattamente come accade nei clubs.

Jacopo-MilianiINFINITY, workshop di Jacopo Miliani 2019 Courtesy: l’artista e Centro Pecci, Prato Photo by Mario Albanese


Artext - Quale è il pensiero sulla performance e in che modo è possibile riflettere sui temi della contaminazione, del Virus che è la lingua degli ibridi, degli innesti, degli assemblaggi, delle mutazioni…

JM - Performance, virus, innesti, assemblaggi, mutazioni sono parole che sembrano uscite da un libro di Isabella Santacroce o dalla rivista Virus a cura di FAM, entrambe vere e proprie icone dei miei anni 90. Tra l’altro, questi sono stati gli argomenti della mia tesi di Laurea al Dams di Bologna. Adesso queste parole sembrano datate se accostate le une accanto alle altre come nella tua domanda. Tuttavia credo che siano molto attuali, semplicemente non sono come ce le aspettavamo, quando a cavallo tra il primo e secondo millennio si ipotizzava un futuro prossimo. Per me il futuro non è altro che il “presente delle attese.” Si tratta di un tempo che, come un virus, influenza quel che sarà, ma per fortuna non è mai in grado di domare l’imprevisto.

Jacopo-MilianiINFINITY, workshop di Jacopo Miliani 2019 Courtesy: l’artista e Centro Pecci, Prato Photo by Mario Albanese


Artext - Cosa è Infinity? E' una ossessione, un destino, la mutazione di tempo e spazio.. l'ultima barriera discriminante, la differenza?

JM - Penso che INFINITY sia una canzone, un ricordo, la voglia di ballare, la capacità di non pensare solo con la mente, ma anche con il corpo.

Per rispondere a questa domanda vorrei chiedere cosa è stato il workshop a ciascuno dei partecipanti. Per me, attivare questa modalità dinamica e processuale all’interno dello spazio del centro Pecci, o in qualsiasi altro spazio dell’arte, vuol dire mettere in discussione il ruolo dell’artista e dell’autore. Non si tratta di un azzeramento della mia presenza, piuttosto di un confronto di una relazione che nasce appunto dall’esigenza di guardare l’altro /gli altri per ricercare se stessi. Questo concetto prende la forma di un cerchio o meglio può essere rappresentato proprio attraverso la figura del numero otto allungata e rovesciata… il simbolo dell’infinito.

Jacopo-MilianiINFINITY, workshop di Jacopo Miliani 2019 Courtesy: l’artista e Centro Pecci, Prato Photo by Francesco Gnot


Artext - Quali sono le implicazioni personali, i processi creativi, i valori etici. In che modo il tuo progetto diventa spazio pubblico, modellato dagli infiniti strati di immagini che lo hanno preceduto, quelli della storia dell'arte.

JM - Si tratta di “linguaggio” che si aggiunge al linguaggio già esistente. La stratificazione fa parte delle parole che usiamo e condiziona la nostra modalità di utilizzo delle parole. Dobbiamo esser responsabili di quello che diciamo o scriviamo, perché si tratta appunto di azioni. Le immagini sono una modalità di scrittura. Attraverso le parole definiamo lo spazio pubblico e lo spazio privato. A un certo punto durante il workshop si è inserita la presenza di un microfono, attraverso questo dispositivo i vari partecipanti urlavano, sussurravano, emettevano parole e suoni contaminando l’ascolto. Durante l’ultima presentazione, Vivienne, una dei partecipanti, ha letto la traduzione in Italiano (fatta con Google Translator) di un brano che l’artista-scrittore David Wojnarowicz ha composto poco prima della sua scomparsa (1992). Successivamente Elena, un’altra partecipante, ha letto una sua composizione: Virus. Allegra di 8 anni si muoveva libera tra le varie persone, mentre Mattias e Alessia ballavano sotto cassa. Cherry preferiva muoversi in disparte. Fiamma, Sara, Veronica, Deborah, Alessandra, Alex e gli altri erano come schegge che correvano nello spazio. Yanou faceva Voguing modulando con le braccia e le gambe delle linee geometriche che spezzavano le forme sinuose dei corpi in movimento. Per me questo è un linguaggio che si compone e si scompone nello stesso istante in cui viene prodotto.

Jacopo-MilianiINFINITY, workshop di Jacopo Miliani 2019 Courtesy: l’artista e Centro Pecci, Prato Photo by Mario Albanese


Artext - In che modo ricodifichi queste immagini/azioni? Hai una griglia, una partitura, un'interfaccia? Come espliciti questo atto di trasformazione? Come resistere o coesistere a ciò che tenta di sedurre, ad essere parte in un sistema preoccupato di economia e consenso.. L'arte deve mostrare il reale e rappresentare l’orgine dei nostri pensieri… l’arte deve prepararci al futuro, deve avere un ruolo sociale...

JM - Non ho nessuna griglia né partitura. Lo “score” di cui parlavo prima si compone appunto attraverso un processo e non una premeditazione. Nel mio lavoro è importante l’idea di delega e di fiducia che si instaura nel momento in cui chiedo a un’altra persona di collaborare a un progetto. Personalmente nutro un forte senso di responsabilità verso le immagini e le scritture che compongo insieme ad altri , ma sono anche una forma di resistenza al controllo del reale.

Jacopo-MilianiINFINITY, workshop di Jacopo Miliani 2019 Courtesy: l’artista e Centro Pecci, Prato Photo by Francesco Gnot


Jacopo Miliani
Nato a Firenze vive e lavora a Milano.
Tra le sue mostre personali si segnalano quelle presso: il Cinema da Camera, Gucci Garden di Firenze (2019), la Marselleria di Milano (2017), la Kunsthalle Lissabon di Lisbona (2016), l’ICA di Londra (2015), la videoteca della GAM di Torino (2013), il centro EX3 di Firenze (2012). Ha realizzato performance presso: il MO.CO di Montpellier (2019), il Palais de Tokyo di Parigi (2017), la Fondazione Giuliani di Roma (2015), il Museo della Danza di Stoccolma (2014), il CCSP di Sao Paulo (2014), Via Farini/DOCVA di Milano (2014), la David Roberts Art Foundation di Londra (2012) e il MADRE di Napoli (2011).
E’ rappresentato da Studio Dabbeni, Lugano; Rosa Santos, Valencia; Frutta, Roma.


 

Jacopo Miliani
INFINITY workshop performativo
15 settembre / 12 ottobre 2019
Centro Pecci
@ 2019 Artext

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