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Francesco Vezzoli in Florence

 
Francesco VezzoliFrancesco Vezzoli in Florence, La Musa Dell’Artcheologia piange (2021), Studiolo di Francesco I de' Medici a Palazzo Vecchio, Photo Ela Bialkowska OKNOstudio

Francesco Vezzoli in Florence
a cura di Cristiana Perrella, Sergio Risaliti

Firenze, 2 ottobre 2021. Con due nuove sculture in Piazza della Signoria e a Palazzo Vecchio, dal 2 ottobre 2021 al 2 febbraio 2022 Francesco Vezzoli è protagonista di Francesco Vezzoli in Florence, a cura di Cristiana Perrella e Sergio Risaliti. Il progetto – presentato dal Museo Novecento di Firenze e dal Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato, realizzato con il patrocinio del Comune di Firenze e l’organizzazione di Mus.e – mette in dialogo arte contemporanea e patrimonio storico artistico della città. Dopo gli interventi di Jan Fabre, Urs Fisher e Jeff Koons e la presentazione di un’opera di Giuseppe Penone, con Francesco Vezzoli Piazza della Signoria torna a essere il fulcro del contemporaneo nella culla per antonomasia del Rinascimento. Francesco Vezzoli è peraltro il primo artista italiano vivente a realizzare un’opera site-specific per Piazza della Signoria, appositamente concepita per l’occasione.

Dopo la sua mostra in città nel 2014, Francesco Vezzoli torna a Firenze affrontandone i luoghi più simbolici: Piazza della Signoria e Palazzo Vecchio, nel solco di un progetto che ha visto protagonisti negli scorsi anni celebri artisti internazionali. In Piazza della Signoria l’opera PIETÀ (2021), un monumentale leone rampante novecentesco installato su un basamento antico, stritola tra le fauci una testa romana del II secolo d.C., in un pastiche tra diverse epoche artistiche che è diventato la cifra di molte opere recenti dell’artista. Insieme all’intervento in piazza, il progetto comprende una seconda scultura, LA MUSA DELL’ARCHEOLOGIA PIANGE (2021), posizionata all’interno dello Studiolo di Francesco I de' Medici a Palazzo Vecchio, uno scrigno prezioso carico di misteriose suggestioni iconografiche, esoteriche e astrologiche realizzato tra il 1569 e il 1573, che per la prima volta in assoluto ospita un’opera di arte contemporanea. Su una figura di togato romana è innestata una testa “metafisica” di bronzo, citazione de Gli archeologi di De Chirico, una delle opere che meglio rappresenta il recupero della classicità in epoca moderna.

Francesco VezzoliFrancesco Vezzoli in Florence, Pietà (2021), Piazza della Signoria, Photo Ela Bialkowska OKNOstudio


Con questi lavori Francesco Vezzoli, ci restituisce nuove muse inquietanti, ricomponendo i frammenti di una civiltà perduta, ricordandoci che l’arte è sempre, prima di tutto, un fatto mentale e che i ready made, gli assemblage antico – moderno, sono una pratica dalle radici molto antiche, come ci insegna il Ganimede di Benevenuto Cellini realizzato ricomponendo parti di una scultura antica.

Tuttavia, rispetto ai restauri rinascimentali Vezzoli si inserisce nel percorso concettuale di De Chirico e Savinio, inventori di metamorfosi e di collage misteriosi, e invece di ricercare l’armonia formale, compone ibridi sconcertanti, collage linguistici che rigenerano le forme della tradizione ma che hanno una vita propria. Un mondo surreale fatto di archeologia e fantasia, memoria e invenzione, dove la cultura classica, invece di un modello immutabile, atemporale, diventa materia da scomporre e ricomporre, da rendere attuale nel presente, trovando nell’ibridazione con altri temi, altre epoche, lo spunto per la riflessione artistica – e non ideologica – su argomenti come identità, autorialità, e su come ricordare il passato, senza rinnegarlo o cancellarlo. Perché la libertà si fonda anche sul lasciare alle immagini il loro potere misterioso, poetico e trascendentale.

Francesco VezzoliFrancesco Vezzoli, self-portrait as Apollo del Belvedere’s Lover, 2011, Marble bust (19TH century A.D.), Marble self-portrait bust, 69.3 X 41.3 X 20.5 inches Courtesy of Prada Collection


Francesco Vezzoli
Conversazioni

D — *Come descriveresti la tua personale esperienza dell'amore?

Francesco Vezzoli - Ho amato. Mi sono innamorato. Ho rifiutato l'amore. Ma soprattutto, l'amore che ho offerto è stato rifiutato. Ho avuto la tendenza ad innamorarmi di uomini che erano troppo belli, troppo potenti o troppo ricchi per me. In pratica, per tutta la mia vita sono stato in cerca di un livido. Errore mio…

FV - Qual è la tua definizione segreta di amore?

FV - La mia definizione segreta di amore è rispetto. Se ti rispetto, se ti ammiro, se sono in soggezione per la tua integrità, la tua etica e i tuoi talenti, allora il mio amore per te ha molte possibilità di essere un amore eterno.

D - L'esperienza più significativa della tua vita?

FV - L'esperienza più significativa della mia vita è stato il trasferimento da Brescia e dal mio background piuttosto provinciale a Londra alla fine degli anni '90. Ho imparato che le mie inclinazioni e il mio orientamento sessuale ed emotivo potevano essere accettati e ricambiati. È stato allora che ho scoperto che potevo esistere come "essere umano amorevole".

D - Possiamo amare qualcosa di diverso da un essere umano?

FV - Non credo che si possa amare qualcosa di diverso dagli esseri umani. Penso continuamente alla mia collezione di vasi, ma non posso dire che quei vasi mi amino o, spaventosamente, che io ami loro. E sinceramente, non vedo alcuna connessione tra l'amore e una pratica seria dell'arte contemporanea.

D - Potresti descrivere uno dei tuoi progetti, opera d'arte che è legato ad un aspetto dell'amore?

FV - Il mio progetto, Love Stories, con la Fondazione Prada è un tentativo basato su Instagram di fare un'indagine su come le persone si relazionano all'amore e all'identità della "coppia" oggi.

Francesco-VezzoliLove Stories – A Sentimental Survey by Francesco Vezzoli


D - Svelami il vero motivo per cui Cate Blanchett o Natalie Portman partecipano a una performance live di Francesco Vezzoli al Guggenheim. Per la tua capacità di seduzione o per l’originalità del progetto? E come avvicini questi personaggi spesso irraggiungibili? Quali armi usi?

FV - Li contatto nei modi più disparati. Come ho già avuto modo di spiegare cerco di convincerli scrivendo loro lettere di sincera ammirazione e mando loro solo eccessivi mazzi di fiori. Nessuno ci crede, ma io davvero non so dire perché accettino. Forse sono abituati a ricevere costantemente lo stesso tipo di proposte lavorative e quindi provare qualcosa di diverso, anche solo per un giorno, può sembrare loro un’opportunità stimolante. Ma è solo una mia ipotesi...

D - Da Veruschka a Natalie Portman: cosa è cambiato nel tuo modo di vedere le celebrities?

FV - Chiedo alle celebrities di partecipare ai miei lavori perché ritengo che la loro presenza sia indispensabile per raccontare il mio modo di vedere la realtà. Il mio modo di rapportarmi a loro in questi anni non è cambiato.

D - Dalla celebrità sulla via del tramonto alla star giovane più desiderata e più hot di Hollywood. Pensi che questi personaggi siano i modelli del nostro tempo?

FV - Più che dei modelli direi che sono un riflesso del nostro tempo. Le celebrities sono in grado di creare isteria, curiosità morbosa e desiderio di emulazione anche nelle persone apparentemente più intellettualmente sicure di sé. Ci tengo a ribadire il mio essere sinceramente grato agli attori che accettano di stare al mio gioco; senza la loro complicità creare il cortocircuito che tanto mi diverte sarebbe stato davvero impossibile.

Francesco VezzoliGreed ("Avidità"), diretto per Vezzoli da Roman Polanski, con Natalie Portman e Michelle Williams.


D - Hai detto che ami lavorare in gruppo. Come è organizzato il tuo studio? Qual è il tuo processo di lavoro?

FV - Il mio processo di lavoro è un misto di furto, ispirazione, divertimento. Ho un gruppo di amici con i quali costruiamo idee e sviluppiamo i progetti. Questa modalità evita di rendermi intrappolato in quelle dinamiche imprenditoriali che rischierebbero di appesantire troppo le logiche produttive che sono alla base del lavoro creativo.

D - I detrattori del tuo lavoro criticano il lato mondano e in apparenza superficiale di alcune tue operazioni artistiche. Come definiresti il tuo modo di essere artista?

FV - Mi piace pensare di essere un tramite fra il mondo dell’arte e l’universo dei linguaggi dei media che spesso l’industria dell’arte tende a guardare con sospetto. Per questo mi sono concentrato prima su Hollywood, poi sui reality show, sulla tv come storia, e recentemente sui social.

D - Se è vero che hai realizzato tutti i sogni di artista che avevi, che cosa vedi nel tuo prossimo futuro? Il digitale sarà uno dei tuoi nuovi territori di esplorazione o ritornerai a fare mostre fisiche?

FV - Mi piacerebbe molto continuare a lavorare con il digitale, dove dopo il progetto social realizzato con la Fondazione Prada (Love Stories, 2020), desidererei trovare piattaforme che vogliano essere complici con me di sfide e dispetti. Ho ricevuto una commissione che mi vedrà presto al lavoro all’esedra del Bosco Reale di Capodimonte. Il Bosco Reale di Capodimonte è stato di recente ricollocato sotto la giurisdizione del ministero della Cultura, di nuovo riunito al museo, con il quale costituisce un’entità unica. Avere la possibilità di costruire sculture in questa esedra è per me un onore incredibile.

D - Quindi dopo il digitale, ritorni alla tua passione per l’antico.

FV - Mi piace sempre collocarmi sui due estremi: lavorare sull’antico o sul futuro. In mezzo non c’è niente.

Francesco VezzoliFrancesco Vezzoli X Mahmood, Fashion Editor/Stylist Giovanni Dario Laudicina.


D - Hai mai curato una mostra?

FV - Si, direi proprio di si.

D - Cosa vede un artista quando fa il curatore, quando cambia prospettiva?

FV - Se devo dire la verità, non ho provato niente dal punto di vista del cambio della prospettiva. Più passa il tempo, più capisco, contro qualsiasi aspettativa, di avere una visione concettuale del mio lavoro. So che può essere sorprendente sentirmelo dire - sorprende anche me - perché il mio approccio artistico sembra molto "visivo" e le mie referenze sono state spesso pop, ma più vado avanti e più mi rendo conto che in realtà lavoro per concetti, per abbinamenti, per progetti. L'esperienza di curare una mostra non è lontana dal produrre e non è dunque lontana dal mio modo di creare.

D - Infatti tu hai sempre rivestito molteplici ruoli nel tuo modo di lavorare, e hai detto che ti senti più un "produttore" che un artista in senso stretto. Vuoi spiegare meglio?

FV - Sono convinto che ci sia una grande ipocrisia sul ruolo dell'artista : intenderlo come poeta, che si ciba delle sue lacrime e vive di nulla, oggi non è immaginabile. Gli artisti del nostro tempo sono tutti dei promotori di se stessi e i più corretti, anzi i più interessanti, lo ammettono. Chi lo nega, oltre a fare un atto di ipocrisia, perde l'occasione di essere innovativo, non solo di riconoscere una verità, ma di fare un'affermazione radicale sostenendo che le regole sono cambiate. Quando mi chiedono se voglio fare un film del regista, io rispondo "no, da produttore" e tutti ridono, ma è la verità! Perché dovrei fare il regista? Io sono cresciuto a Londra nel momento in cui c'erano artisti che prendevano Psycho e lo rallentavano facendolo diventare lungo 24 ore. Douglas Gordon, Sam Taylor-Wood, Steve McQueen, con i quali ho condiviso gallerie, spazi, mostre, sono partiti dei costruendo il sistema del cinema per poi volervi appartenere. Hanno smontato e analizzato un apparato di potere e di creazione dell'immagine per poi entrarci da registi, cioè da artisti del sistema, perché essere registi ha gli stessi meccanismi dell'essere artista : hai l'agente, che è l'equivalente del tuo gallerista, hai la major, che è un museo, hai la mini major, che è la Kunsthalle, etc. Credo invece che siamo a uno step successivo, perché il sistema dell'arte si è legato al sistema della finanza e quindi a poteri molto più forti. Allora io rilancio e dico che l'artista deve essere come un produttore. Peraltro, le mie figure di culto nel cinema sono sempre registi che si sono autoprodotti o che, a un certo punto, sono entrati in conflitto con la produzione. Alla fine, per il cinema vale lo stesso discorso che per l'arte : in un momento in cui entrambi i linguaggi sono dominati da dinamiche iper-capitalistiche, tutti dobbiamo ammettere che siamo più produttori che registi. che siamo curatori di noi stessi, promotori di noi stessi, non perché sia la nostra vocazione, semplicemente vi siamo costretti, plasmati, per come sono cambiati il sistema, il dibattito intellettuale.

Francesco VezzoliFrancesco Vezzoli, Museo Museion, exhibition view, Museion, 2016. Foto Luca Meneghel


*Conversazioni - O. Zahm H. Kontova C. Parrella

 

Francesco Vezzoli in Florence
a cura di Cristiana Perrella, Sergio Risaliti
Piazza Signoria e Palazzo Vecchio, Studiolo di Francesco I – Firenze 2 ottobre 2021 – 2 febbraio 2022
@ 2021 Artext

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