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Museo Novecento
Elena Mazzi
Routes

 
Elena MazziBecoming with and unbecoming with, 2018-2020, Installation view at Museo del Novecento, Firenze. Foto Leonardo Morfini



*Duel Elena Mazzi
Routes
a cura di Sergio Risaliti e Stefania Rispoli

Per il settimo appuntamento del progetto Duel il Museo propone l’esposizione Routes di Elena Mazzi (Reggio Emilia, 1984) a cura di Sergio Risaliti e Stefania Rispoli (MUS.E). Per la prima volta, la mostra nasce attorno al dialogo con tre diverse opere della collezione permanente individuate dall’artista all’interno della Raccolta Alberto Della Ragione: Il veliero (1929-31) di Mario Sironi, Contadini in strada/Uomo davanti alla stufa (1938 ca.) di Renato Guttuso e Vita Bioplastica (1938) di Enrico Prampolini. L’esposizione si struttura come un immaginario viaggio che dalla Sicilia attraversa l’Italia e conduce in Islanda e poi in Cina suggerendo diverse possibili traiettorie. Le opere esposte offrono l’occasione per immergersi nella poetica di Mazzi, concentrata sul rapporto tra l’uomo e l’ambiente in cui vive e sulle strategie in atto per rispondere alle emergenze sociali ed ecologiche del nostro tempo.

Elena MazziAtlante Energetico, 2017, Installation view at Museo del Novecento, Firenze. Foto Leonardo Morfini


L’esposizione si apre con una tela di Renato Guttuso (Bagheria, 1911 - Roma, 1987) Contadini in strada/Uomo davanti alla stufa (1938 ca.) che mostra uno dei temi espressivi più ricorrenti nella poetica del pittore. Dipinta secondo un realismo che vuole restituire gli aspetti più umani della società, e in particolare della classe dei lavoratori, l’opera sottolinea l’attenzione dell’artista verso l’Italia rurale e in particolare la natia Sicilia, di cui racconta le occupazioni e le lotte per la terra. Le due installazioni di Elena Mazzi esposte nella sala centrale della mostra condividono con Guttuso l’interesse verso il paesaggio italiano costruito attorno alla relazione dell’uomo con la terra, della cultura con la coltura.

Atlante Energetico nasce da una riflessione sul tema dell’energia nel territorio piemontese, nello specifico sulla produzione di riso che con le sue coltivazioni e le distese di specchi d’acqua ridisegna il paesaggio. Nella storia e nell’attualità di questi luoghi “ambiente, scienze, alimentazione, antropologia, economia, arte e politica si intrecciano” come spiega l’artista “e si avviluppano attorno a un chicco di riso, fonte necessaria di energia per gli organismi viventi”. L’Italia è il primo produttore europeo di riso, le sue risaie sono entrate a far parte dell’immaginario collettivo e della cultura popolare tramite le Mondine che tra Otto e Novecento hanno guidato le prime lotte operaie femminili. Questo racconto corale sembra tornare negli elementi che compongono l’opera: un video in Super 8, alcune serigrafie e una serie di sacchi contenenti diverse varietà di riso.

Elena MazziEn route to the South, learning to be nomadic, 2019, Installation view at Museo del Novecento, Firenze. Foto Leonardo Morfini


En route to the South è un’installazione realizzata in collaborazione con l’artista Rosario Sorbello che nasce da un accostamento semantico e concettuale tra l’apicoltura nomade e la migrazione umana. L’installazione è costituita da una serie di telai per api sulla cui superficie cerea sono state impresse le mappe di alcune città europee, dove i dati statistici hanno rilevato una rapida trasformazione dell’economia interna grazie all’incremento di forza lavoro migrante. I rilievi nella cera sostituiscono la normale trama ’ad alveare’ impressa nel telaio per guidare le api nella produzione del favo. Completa l’opera un audio in cui sono raccolte riflessioni attorno all’apicoltura e al nomadismo, alla biodiversità e alla monocultura, al land grabbing e alla migrazione. Un’edizione limitata di mieli nomadi prodotta dall’azienda Virtù miele di Sicilia è acquistabile contattando la galleria dell'artista Ex Elettrofonica, Roma. La vendita è finalizzata a supportare un’ulteriore sviluppo del progetto artistico, che prevede un programma di workshops di apicoltura da realizzare nell’area del Mediterraneo tra apicoltori locali e migranti.

Tra il 1929 e il 1931 Mario Sironi (Sassari, 1885 – Milano,1961) dipinge Il veliero. Un linguaggio asciutto e una pennellata dai tratti decisi caratterizzano la tela, su cui un grande vascello, privato di qualsiasi elemento ornamentale, campeggia in tutta la sua monumentalità e austerità al centro della scena mentre percorre la sua rotta nel mare. A duello con Sironi, Mazzi schiera due opere che in modo ambivalente aprono una riflessione sull’impatto dell’economia e della geopolitica sui cambiamenti e sulle emergenze climatiche.

Elena MazziDa nord a est, da ovest a sud. Traiettorie economiche per un tempo libero, 2013
Snow Dragon, 2019, Installation view at Museo del Novecento, Firenze. Foto Leonardo Morfini


Snow Dragon è un arazzo realizzato con fibre naturali e plastica riciclata ed è anche il nome di una delle navi spacca-ghiaccio che la Cina sta progettando per aprire la cosiddetta Via Polare della Seta in Artico, sfruttando lo scioglimento dei ghiacciai. Gli investimenti asiatici, e non solo, in queste terre riflettono interessi strategici dai risvolti globali: la nuova rotta ridurrebbe di diversi giorni la traversata da Shanghai a Rotterdam rispetto al più pericoloso passaggio attraverso Suez e permetterebbe di accedere all’estrazione di nuove ingenti risorse naturali. Lo scioglimento dell’Artico rappresenta uno dei drammi del nostro tempo ma anche una delle principali partite internazionali, la presenza su queste terre segnerà gli assetti politici ed economici del prossimo futuro.

Da nord a est, da ovest a sud. Traiettorie economiche per un tempo libero è un biliardo pensato per il tempo libero dei lavoratori di una nota ditta calzaturiera italiana, con cui i visitatori della mostra possono giocare. Le palle da gioco sono incise con i nomi dei paesi in cui l’azienda ha delocalizzato parte della produzione e della vendita. I disegni proiettati sul tavolo raccontano il processo graduale di trasformazione della catena produttiva e ricordano gli schemi che utilizzano i principianti per imparare a giocare. Attraverso un processo di astrazione dal mondo e dal dato reale, in entrambe le opere Mazzi ci trasporta in una dimensione ludica e allo stesso tempo contemplativa, che porta a riflettere sull’impatto naturale e culturale delle odierne strategie socio-economiche.

Elena MazziBecoming with and unbecoming with, 2018-2020, Installation view at Museo del Novecento, Firenze. Foto Leonardo Morfini


Sospesa in uno spazio e un tempo indefiniti, Vita bioplastica (1938) di Enrico Prampolini (Modena, 1894 – Roma, 1956) appartiene agli anni del cosiddetto idealismo cosmico quando l'artista si allontana progressivamente dal dato reale per abbracciare una dimensione extraterrestre, cosmica appunto, tra astrazione e figurazione. Due figure fluttuano al centro della tela come organismi in metamorfosi, sono forme misteriose, per certi aspetti affascinanti, in cui è ancora possibile riconoscere qualcosa di familiare.

Questa idea di continua trasformazione della materia e di rinascita è presente anche nelle sculture Becoming with and unbecoming with esposte al centro della cappella e realizzate appositamente per la mostra. L’opera è stata prodotta a partire dal calco di alcune vertebre di cetacei trovate sulle spiagge d’Islanda, dove l’artista si è recata in residenza dopo un incidente in mare che l’ha costretta ad un periodo di sedentarietà. Là dove il tempo e la natura sembrano essersi fermati in un immaginario preistorico, Elena Mazzi ricerca una sintesi con il paesaggio per risanare le sue personali fratture. L’opera verte sull’incontro tra forma e materia: le vertebre originarie sono state riprodotte in metallo (in questo caso argento) a ricordare le protesi chirurgiche che stabilizzano le strutture ossee. Esse dialogano con il vetro, un materiale in origine liquido come l’acqua, che nella sua trasparenza e durezza mantiene anche la propria fragilità. Sullo sfondo compare l’immagine dell’artista segnata da un’operazione chirurgica, mentre indossa una vertebra di balena. Immersa nella natura e protesa in avanti, Mazzi sembra tentare il volo verso un nuovo equilibrio tra il mondo e il bioritmo dell’uomo.

*Il testo che qui appare è parte integrante del Folio stampato per l'occasione della mostra di Elena Mazzi, Duel – Elena Mazzi. Routes, 24 gennaio - 30 aprile 2020 - edito dal Museo Novecento di Firenze.

Elena MazziSelf portrait with a whale backpack, 2018
Becoming with and unbecoming with, 2018-2020, Installation view at Museo del Novecento, Firenze. Foto Leonardo Morfini




Artext - Elena Mazzi
Incontro


Artext - Puoi raccontare del workshop che hai condotto a Firenze riservato agli artisti in residenza alla Manifattura Tabacchi, quali le questioni poste? Gli strumenti di analisi?

Elena Mazzi - Il tema del workshop era incentrato sul lavorare a partire dallo spazio stratificato, complesso ed articolato della Manifattura Tabacchi. Partendo da un'architettura dal grande valore sociale, culturale ed economico, i partecipanti al workshop sono stati chiamati a documentarsi sulla storia del luogo, iniziando dalla lettura di "Settant'anni in fumo. Storia della Manifattura Tabacchi delle Cascine (1940-2010)"

Dopo un primo momento di discussione e dibattito su quanto appreso, abbiamo esplorato gli spazi della Manifattura applicando una serie di esercizi tratti dal testo di George Perec, Specie di Spazi. Vedendo come rispondevano agli stimoli dati, ho optato per focalizzare l’attenzione su parole e suono. Così ho chiesto a ognuno di loro di sperimentare (e successivamente registrare) suoni prodotti con il proprio corpo all’interno degli spazi esplorati, e di scrivere mediante brevi testi, le sensazioni provate nell’attraversamento di questi luoghi, provando a tradurre il loro rapporto con lo spazio.

A - Scegliendo di partire dal territorio e analizzare gli spazi di comunicazione tra individui, collettività e Media, dove incomincia il lavoro?

EM - Trovo sia doveroso partire da ricerche condotte da chi, prima di me, si è avvicinato a temi di mio interesse, o di interesse collettivo. Le fonti sono quindi un ottimo punto di partenza, che però devono per me sempre essere complementari a uno sguardo personale e intimo, da sviluppare attraverso l’esplorazione diretta.

Elena MazziThe School of Pompeii, 5 photographs 100 x 100 cm, 5 texts, 2019, ph: Daniele Alef Grillo


A - Osservare l'ambiente e 'quasi annoiarsi' è un metodo per riuscire a carpire informazioni - 'poi certo la relazione con l'altro, il sapere di altri punti di vista - ma è la curiosità che mi spinge e mantenere un contatto con l'intuizione', tu affermi a proposito di questo lavoro collettivo. Come si riattiva questa dimensione favorevole alla creatività?

EM -L’intuizione non sempre è spiegabile. E’ un sentimento personale, una sorta di spirito guida che spesso mi permette di spingermi laddove la mente non mi porterebbe ad andare. Se mi affidassi solo alle fonti sarei prevalentemente una ricercatrice. L’intuizione è una guida necessaria e fondamentale nel processo artistico; in alcuni casi è un sentimento personale, a volte lo si condivide. E’ imprevedibile.

A - Cosa rende possibile la realizzazione di un progetto in cui convergono differenti sistemi di comunicazione, quelli sociali e dell’arte?

EM - Ogni progetto è uno studio site-specific, non c'è una formula che vale per tutti. A seconda del trascorso di ogni luogo (e di ogni comunità che lo vive) definisco un preciso equilibrio tra discipline diverse.

Elena MazziMass age, message, mess age (Elica 2018), Workshop for 20 employees, stencil on wall, two alluminium and iron installations 2018, ph: Daniele Alef Grillo


A - Puoi dire qualcosa sul momento in cui prende forma l’opera, di come il suo meta-linguaggio ridefinisce un nuovo spazio di relazione? Mass age, message, mess age (Elica 2018), ad esempio.

EM - Ogni opera ha una sua genesi a sé, anche se la metodologia che seguo ha una struttura ben definita. Nel caso di Mass age, message, mess age (Elica 2018), cito dal catalogo appena relizzato con Fondazione Ermanno Casoli, 'ho iniziato questo progetto nel 2015 in occasione di una mostra presso lo Spazio Barriera di Torino, su invito di ones – office. a non exhibition space (composto da Carolina Gestri, Francesca Vason e Stefano Vittorini), a seguito di alcune suggestioni avute durante il MaXter program organizzato dal Museo di Villa Croce di Genova nel 2014. Il progetto propone una riflessione sulle tecniche e strategie di comunicazione in tempi di rivoluzione, ponendo l’accento sulla possibilità di errore durante la trasmissione di un messaggio e su come questa incida sullo svolgersi dei successivi avvenimenti. Ho pensato che Elica fosse il contesto giusto dove sperimentare come le tecniche di comunicazione potessero essere applicate a contesti in cui la parola ‘cambiamento’ ha una presenza forte e incisiva. ‘Cambiamento’ è una parola molto utilizzata all’interno dell’ambiente aziendale e, seppur con connotazioni storico-politiche differenti da come la intendiamo oggi, si avvicina molto alla parola ‘rivoluzione’, intesa nell’accezione più scientifica del termine, ossia di movimento, rotazione, cambiamento. Come già precedentemente fatto da McLuhan, decido quindi di giocare con la parola ‘messaggio’. Insieme al gruppo di lavoro abbiamo pensato a come definire l’importante vocabolario, necessario per la prima parte del workshop, partendo da una selezione di libri (principalmente aventi come soggetto l’economia aziendale) donati dai dipendenti dell’azienda a Francesco e Viviana Casoli nel Natale del 2016. Da qui il punto di partenza dell’intero percorso. Come spesso avviene nel mio lavoro, la parte di ricerca è essenziale e necessaria alla buona riuscita dell’opera finale. Ovviamente la seconda fase è la più importante per me, perché ciò che mi sta a cuore è capire le dinamiche di comunicazione e le strategie adottate quando questa viene disturbata da fattori esterni. Così come in Barriera, anche qui le parole di partenza utilizzate per il gioco sono parte di un vocabolario da costruire insieme. Le priorità stanno nella struttura di lavoro: le tre parti analisi - azione -realizzazione si succedono e si definiscono l’una con l’altra. Dopo la prima fase di discussione e confronto, con l’obiettivo di individuare un vocabolario di parole chiave da ‘giocare’ in seguito, ogni partecipante (riunito in piccoli gruppi composti da circa 4 persone) è stato invitato a costruire uno strumento di comunicazione, a partire dai materiali di scarto recuperati in azienda. Gli strumenti sono stati poi utilizzati per la comunicazione delle parole durante la performance. Infine, nelle settimane successive al workshop, ho creato un’installazione composta da due strutture in alluminio, sintesi di tutti gli assemblaggi spontanei realizzati con i dipendenti. Le tracce del nuovo vocabolario realizzato insieme sono rimaste impresse attraverso degli stencil colorati sulla grande parete della piazzetta Elica, luogo di incontri e di riunioni, scenario delle nostre attività'.

Elena MazziAvanzi, 9 photographs 100×150 cm, performance, artist book (2 versions, Boite editions), 2015, ph: Andras Calamandrei


A - Hai interesse per ciò che la tua arte "significa", ovvero sei interessata a che la tua arte veicoli un messaggio?

EM - Certo, credo che l'arte sia un ottimo mezzo per veicolare messaggi, proprio per la sua apertura e flessibilità nell'uso dei linguaggi.

A - Lavorare con il reale è ciò che ti permette di rigenerare un linguaggio verso l’arte?

EM - L'arte è un modo per esplorare il mondo che mi circonda, le relazioni sociali e le complesse dinamiche che lo caratterizzano. L'esperienza personale è una parte fondamentale, che però cerco sempre di restituire a un gruppo allargato di persone, il più grande possibile.

Elena MazziReflecting Venice, mixed media, 2012-2014, ph: Marco di Giuseppe


A - La dimensione laboratoriale è parte del tuo lavoro - lavorare in workshop con artisti o piuttosto con persone della società civile. Puoi parlarmi dei tuoi incontri con artisti di generazioni differenti come Marjetica Potrč, Antoni Muntadas, Joan Jonas. Quale il confronto su modalità come la progettazione di soluzioni sostenibili, le processualità che regolano la comunicazione, l’interazione tra corpo fisico e corpo rappresentato?

EM - A partire dagli anni in cui ero studente presso lo IUAV di Venezia ho avuto modo di incontrare artisti di diversa generazione, alcuni dei quali sono stati miei insegnanti. Avere l’opportunità di seguire workshop intensivi di 3 mesi è stato fondamentale nella mia crescita artistica. Potrč, Muntadas sono artisti professionisti, che oltre ad insegnare portano avanti le loro ricerche, lavorando a stretto contatto con professionisti dell’arte, ma anche sul campo, intervistando personalità tra loro differenti, così da sviluppare al meglio la loro progettualità. Durante i workshop, gli artisti ci accompagnavano nel trovare una nostra metodologia, insegnandoci la loro, e al contempo ci rendevano partecipi dei loro processi creativi. Questo per me è stato il più grande insegnamento, in quanto non credo ci sia un modo univoco di insegnare l’arte. Ognuno condivide un proprio metodo, si dialoga e ci si confronta sulle diverse possibilità, senza che per forza una prevalga sull’altra. Lo stesso è successo con Joan Jonas, che ho conosciuto lavorando come sua assistente. In altra forma e modalità, ho potuto apprendere molto da lei, e ancora continuo a farlo.

A - Come vedi il ruolo di artista? Qual'è il tuo ruolo attraverso le arti?

EM - Credo che l’arte possa avere un ruolo fondamentale nella vita, nella società, nella politica. Ognuno di noi ha bisogno di arte, e ognuno di noi forse guarda all’arte in funzione alle proprie sensibilità, necessità. Per me l’artista ha un ruolo attivo nella società, ponendosi, mediante strumenti differenti, domande condivise dalla collettività. Amo seguire le possibili diverse traduzioni che il mezzo artistico ci permette di sviluppare, rispondendo a temi di attualità con modalità insolite, ma non per questo meno efficaci di altre.

A - Con le tue opere, progetti ed installazioni che sfuggono il codice figurale e iconico vuoi forse offrire allo spettatore la libertà di non fermarsi ad una modalità espressiva? I tuoi progetti non sono pensati come ad un’opera d’arte finita - Ma un procedere di lavoro nel tempo. Il tuo è un processo per capire certe cose, trasmetterle e poi è il pubblico che chiude il cerchio... L’opera è un progetto?

EM - Si l’opera per me ha una sua progettualità. A volte continua a trasformarsi, a volte ha necessità di mettere un punto. In ogni caso, prende forma.

Elena MazziDETOUR, 2014, three printed carpets 80×60 cm, performance, ph: Chiara Terraneo


A - Com'è lavorare per un Museo, in questa circostanza al Museo Novecento di Firenze. Quale il confronto con i personaggi della Storia dell'Arte del Novecento? Quale il limite dell’estetico?

EM - Trovo molto interessante la proposta curatoriale di confrontarsi con grandi maestri del passato. In primis, è un modo di rileggere l’opera. Inoltre, permette di vedere capolavori a volte relegati, per motivi di spazio, nei depositi dei musei. Non trovo ci sia un limite estetico, trovo che ci sia una sfida, che sta nel trovare il giusto equilibrio nel dialogo con quell’opera.

A - Puoi raccontare di questo lavoro complesso, Becoming with and unbecoming with (2019) e l'uso dei materiali come il vetro e il metallo e dei flussi vitali che si attivano?

EM - Becoming with and unbecoming with nasce da una vicenda personale, tematica che solitamente non tratto nel mio lavoro. In questo caso, ho sentito la necessità di parlare di quanto successo (un incidente dovuto a un tuffo in acqua) per riuscire a trovare la forza di rimettermi in sesto, fisicamente e psicologicamente. Da qui è uscito un lavoro molto formale, che parla di materiali - metallo e vetro - che parzialmente rappresentano gli elementi coinvolti nell’incidente, ossia le protesi che mi sono state impiantate, l’acqua, ma anche le energie che questi materiali esprimono: la forza e la fragilità, la liquidità e la potenza. Per questo ho pensato di far dialogare due materiali poco compatibili, e capire quanto uno riuscisse a reggere l’altro.

Iconograficamente, ho scelto di usare delle vertebre di cetacei al posto di quelle umane, così da narrare dell’incontro tra paesaggio acquatico ed esseri viventi: i cetacei sono infatti mammiferi in grado di convivere con terra e acqua, e li ho presi come riferimento per una possibile sintonia tra corpo e paesaggio. Ho raccolto le vertebre in Islanda, luogo di ridotta densità umana, dove ho scelto di isolarmi per qualche tempo così da ristabilire un mio equilibrio psico-fisico. Come scrive saggiamente Donna Haraway, “Dobbiamo chiederci cosa accade quando le specie si incontrano, perché una volta che ci siamo incontrati non possiamo più essere gli stessi”.

 


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