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Firenze 2025
Attuale Moderno
Palazzo Medici Riccardi
Museo Sant’Orsola

 
Firenze 2025Chiara Bettazzi, The Rose That Grew From Concrete, 2025, installation view, Museo di Sant’Orsola Firenze.


Museo Sant’Orsola
The Rose That Grew From Concrete
a cura di Morgane Lucquet Laforgue


La nuova mostra all'ex-monastero di Sant'Orsola segna un cambio di passo nel modo in cui si pensa e si costruisce un museo. Qui, quattordici artisti e artigiani internazionali – insieme a restauratori, studenti e professionisti – hanno lavorato dentro un edificio che non nasconde le proprie ferite: muri grezzi, tracce di demolizioni, sovrapposizioni di epoche che rivelano una storia di usi, abbandoni e ripensamenti. È proprio questa condizione di instabilità, di “cantiere permanente”, a trasformare Sant’Orsola in un luogo di produzione culturale reale, non simulata, dove l’istituzione non offre un contenitore neutro ma accetta di essere attraversata, riscritta, persino messa in discussione. Il complesso riemerge così come un organismo vivo, in cui la collaborazione non è un valore dichiarato ma un metodo di lavoro, e dove ogni intervento artistico diventa parte di un processo più ampio di costruzione – e critica – dell’idea stessa di museo.

L’esperienza di The Rose That Grew From Concrete anticipa ciò che il futuro Museo Sant’Orsola intende diventare: un centro permanente dedicato alla sperimentazione, alla memoria e all’innovazione artistica. La curatela di Morgane Lucquet Laforgue – sostenuta da un team che ha trasformato ogni mostra in un terreno di ricerca – costruisce un ponte tra il passato plurale dell’edificio e la sua rinascita contemporanea. Le opere non si limitano a occupare lo spazio, ma lo ricuciono, lo illuminano, lo accompagnano verso una nuova identità pubblica. La prossima apertura del museo non rappresenta soltanto l’esito di un recupero architettonico, ma l’affermazione di un’istituzione culturale che, dopo secoli di cicli di costruzione, uso e abbandono, torna finalmente ad accogliere la città con nuove possibilità di immaginare il futuro.

Firenze 2025Chiara Bettazzi, The Rose That Grew From Concrete, 2025, installation view, Museo di Sant’Orsola Firenze.


Chiara Bettazzi
The Rose That Grew From Concrete
Sant’Orsola - Abbandono
di Morgane Lucquet Laforgue

Ben poco è sopravvissuto al passaggio di chi ha vissuto, lavorato o semplicemente transitato a Sant’Orsola: le tracce di fumo di un vecchio incendio, la porta divelta dell’ufficio del direttore della Manifattura Tabacchi, riemersa tra i detriti di un precedente cantiere interrotto. Eppure, dopo aver ospitato una popolosa comunità religiosa e poi operaia, il complesso accolse nel secondo dopoguer ra centinaia di famiglie profughe, molte delle quali istriane, fuggite a seguito della ces sio ne dell’Istria dall’Italia alla Jugoslavia (1947), per il timore di persecu zioni etniche. Di questa e di altre storie, oggi restano solo pochi indizi. Mentre le tracce umane sono state in gran parte disperse, la natura ha continuato a farsi strada: tra le crepe dell’intonaco e le fessure della pietra, capperi, edera e fragoline di bosco raccontano una presenza silenziosa e ostinata.

In questa geografia dell’abbandono e della persistenza, ogni ambiente è un luogo carico di memorie sopite, da risvegliare, da risanare, da riaccendere.

L’opera di Chiara Bettazzi si presenta come un monumento insieme fragile e potente, dedicato alle molte vite che hanno attraversato Sant’Orsola. Sei pilastri sono stati assemblati a partire da elementi artificiali e naturali: oggetti quotidiani o provenienti dal cantiere, spezzati, talvolta bruciati, piante autoctone. Le sculture dell’artista si innestano nei punti di intersezione delle volte dell’antica spezieria conventuale come totem. Queste “colonne della memoria” danno l’illusione di nuove strutture portanti, composte da frammenti di epoche diverse. Le loro composizioni ricordano nature morte dalla bellezza effimera. L’artista trasforma memorie individuali in memoria collettiva, attraverso un vocabolario di oggetti che sollecitano interrogativi: piccoli enigmi silenziosi, pronti a rivelarsi a chi sceglie davvero di esplorarli.

Chiara Bettazzi è attratta dai luoghi liminali, abbandonati o dimenticati, in cui attiva nuove narrazioni attraverso l’assemblaggio di materiali raccolti sul posto o nel tempo. Le sue “colonne della memoria” si innestano nell’antica spezieria, evocandone le plurime stratificazioni: da farmacia monastica (vasi, ampolle), a laboratorio di “rapé”, ovvero potente tabacco da fiuto, di cui resta il “relitto” della porta dell’ufficio della direzione di Manifattura Tabacchi. Le parti carbonizzate rimandano a un incendio del 1960, mentre l’affastellamento degli oggetti ricorda gli arredi provvisori del centro profughi allestito a Sant’Orsola nel secondo dopoguerra. Piante spontanee crescono tra i materiali, segni di una persistenza organica che sfida l’inorganico. L’opera si configura come un archivio materico, dove ogni frammento è traccia da interrogare.

Firenze 2025 Gae Aulenti, Riconfigurazione del Teatro Romano di Fiesole, 2001.


Palazzo Medici Riccardi
“La modernità può costruire altrimenti”
Gae Aulenti e la Toscana.



L'esposizione è dedicata alla grande architetta e designer, figura tra le più importanti e influenti del secolo breve. Dal 4 ottobre aprirà inoltre una seconda sezione del percorso espositivo presso il Centro Culturale CAMBIO a Castelfiorentino.

Il progetto espositivo si articola in otto nuclei tematici con disegni, fotografie, plastici e narrazioni digitali, e ha visto la partecipazione degli allievi del MMI e della Scuola di Architettura dell’UNIFI. L’intenso rapporto tra la Toscana e Gae Aulenti (1927-2012) inizia nei primi anni Sessanta con la collaborazione per Poltronova e Martinelli Luce, da cui nascono le icone del design Sgarsul e Pipistrello. In architettura, a partire dal 1969, realizza i progetti per la famiglia Pucci (Altana di Palazzo Pucci e giardino di Granaiolo), seguiti dalla casa unifamiliare a Pisa, l'allestimento della Galleria del Libro a Viareggio e le scenografie teatrali a Prato con Luca Ronconi. Successivamente progetta il nuovo ingresso della Stazione Santa Maria Novella (1990) e la sistemazione della piazza antistante la Stazione Leopolda (1996), e partecipa ai concorsi per la Nuova Uscita degli Uffizi (1998) e per il Museo dell’Opera del Duomo (2001).

La mostra analizza il suo approccio al progetto in Toscana, caratterizzato da un'originalità che cercava relazioni con il contesto senza rinunciare all’innovazione, ponendo in dialogo le idee progettuali con la storia del luogo. A Firenze, la figura di Gae Aulenti è stata centrale anche nel dibattito architettonico, come dimostra l'invito al concorso per la nuova uscita degli Uffizi (1998) e la nomina a presidente della giuria del concorso per la stazione dell'Alta Velocità (2001). Il titolo della mostra, «La modernità può costruire altrimenti. Gae Aulenti e la Toscana», riassume la sua filosofia: la cultura del progetto che persegue la qualità e ‘ascolta’ il contesto per esprimere un linguaggio contemporaneo, portando all’attenzione un capitolo meno noto ma significativo del suo percorso professionale.

Firenze 2025 La modernità può costruire altrimenti. Gae Aulenti e la Toscana. Foto Dipartimento di Architettura dell'Università degli Studi di Firenze


GAE AULENTI FRA MODA E TEATRO
La Sala Bianca va in scena a Palazzo Strozzi
Arianna Bechini

Nel progetto espositivo che celebra la Sala Bianca di Palazzo Pitti si esplora il binomio arte e moda, rinnovando un rapporto declinato con particolare approfondimento fin dai primi anni Ottanta del Novecento, attraverso numerosi eventi ed esposizioni in Italia e nel mondo. In questa occasione, il dialogo si espande in senso teatrale anche verso l'architettura, che si fa contenitore e contenuto significante. Nel 1991, Aulenti e Ronconi" vengono chiamati da Luigi Settembrini (1937-2025), consulente storico di Pitti Immagine, a redigere il progetto museografico della mostra, mentre quello museologico è affidato a Kirsten Aschengreen Piacenti (1929-2021).

La manifestazione ha luogo nell'estate del 1992 a Firenze, in otto sale del piano nobile di Palazzo Strozzi, che divengono lo sfondo di un teatro barocco in cui recitano gli abiti: indossati da manichini mai visti che corrono a rompicollo da una sala all'altra». L'obiettivo era quello di celebrare la «nascita della moda italiana» e in particolare gli Italian High Fashion Show, ideati e organizzati dall'aristocratico Giovanni Battista Giorgini (1898-1971)9 come eccezionale volano per l'affermazione della moda nazionale all'estero, a partire dagli Stati Uniti. Giorgini organizza la prima pionieristica, innovativa sfilata di abiti e accessori «fatti in Italia» nel 1951 presso la sua aulica abitazione a Firenze (Villa Torrigiani), per poi approdare con la quarta edizione alla Sala Bianca nella Reggia di Palazzo Pitti" uno dei più importanti monumenti identitari della città. Per oltre vent'anni, da allora, le sfilate di moda si sarebbero tenute in quella prestigiosa sede. Aulenti manifesta inizialmente notevoli dubbi in merito ad un simile progetto espositivo ed è piuttosto critica “su come trattano Palazzo Strozzi”. Nonostante le perplessità, dopo poco tempo dalla proposta di Settembrini, l'incarico viene accettato.

[Ronconi] tirò fuori l'idea di tentare di mettere in scena l'istantaneo, enorme successo che la neonata moda italiana aveva avuto fin dal suo primo apparire a Firenze, successo che l'aveva immediatamente proiettata, fatta per così dire 'esplodere', nei quattro angoli del mondo. Capimmo subito che si trattava di un'idea viva, vincente, 'dinamica': [...] avrebbe consentito di realizzare un allestimento di grande impatto emotivo ma anche spiritoso, molto nuovo. In sintonia con le innovazioni del fondatore dei Fashion Show fiorentini, forti di varie sperimentazioni teatrali, Aulenti e Ronconi rivoluzionano i più comuni criteri espositivi: gli abiti degli anni Cinquanta e Sessanta non vengono didascalicamente raggruppati per nome di atelier e i manichini, con indosso i capi storici di sartoria, sono variamente riuniti in composizioni dinamiche, senza seguire rigorosi criteri temporali né accorpamenti di genere": [...] abbiamo lavorato molto sopra quell'idea, perfezionandola, ritagliandola sugli abiti di quel periodo e sugli spazi di Palazzo Strozzi, che una semplice imbiancatura ha riportato, se non alla originale magnificenza (cui sarebbe urgentissimo tornare) almeno alla necessaria pulizia formale.

La Sala Bianca di Palazzo Pitti con la sua facies settecentesca e la notorietà che dagli anni Cinquanta in poi la lega ai fasti degli Italian High Fashion Show - e le sale di Palazzo Strozzi, con i loro caratteri 'neo' rinascimentali, costituiscono un punto di riferimento fondamentale per le specifiche scelte museografiche di Aulenti. L'idea di Ronconi di restituire adeguatamente il concetto di 'esplosione' della moda italiana nel mondo viene declinata da Aulenti attraverso il tema del frammento e utilizzando forme geometriche che evocano il dinamismo. Il progetto prevede di ricostruire «frammenti di Sala Bianca»> in sorno, confondono e alimentano vicendevolmente. L'allestimento molto nuovo» de La Sala Bianca rappresenta oggi un'inattesa rivoluzione concettuale che ha dato vita ad un originale modello espositivo. [.]

Firenze 2025Gae Aulenti, Bianca Ballestrero, Riconfigurazione della piazza antistante l’ex-Stazione Leopolda, Firenze, 1996 ©Milano, Archivio Gae Aulenti.

 


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