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Chiara Bettazzi / Emanuele Becheri
Sollecitazioni


 

Chiara Bettazzi         Chiara Bettazzi, Polaroid 2008


Emanuele Becheri - I primi lavori che ho visto nel tuo studio in via Genova risalgono al 2008, alcune polaroid ritraevano oggetti quotidiani  che avevi  trasformato in sculture attraverso uno strato di gesso bianco, le immagini apparivano come fantasmi su fondali scuri, incerti, macchiati dal tempo, vibranti.... mi pare questo a tutt'oggi uno dei primi tentativi di sviluppare quella che sarebbe diventata una delle cifre essenziali della tua poetica, ovvero il desiderio di immaginare ipotetici inventari, archivi, memorie distratte dalla cronologia di  tutto quello che nel tempo hai sempre accumulato in un'inesausta curiosità per tutto ciò che momentaneamente rimaneva 'abbandonato', 'marginale' e 'screditato' sul nostro territorio.. Questo mal-d'archivio, questa compulsione a far immaginare oggetti attraverso la fotografia o quest' ipotesi classificatoria data da un impulso spontaneo mi pare rappresenti una costante nel tuo percorso fino ad oggi sebbene in questi ultimi anni alla poetica dell'oggetto hai aggiunto, allargandoti, il territorio stesso come oggetto poetico...

Chiara Bettazzi - Era il 2005 quando cercavo un luogo dove lavorare, uno spazio che avesse il  sapore della città industriale vissuta nell'infanzia, dove un giorno, giocando nei pressi della filatura di mio padre, rimasi impressionata da una delle fabbriche più grandi di Prato degli anni '50, La Romita, fabbrica oggi demolita e sostituita da nuovi tremendi alveari più simili a delle carceri che a delle abitazioni. Così decisa ad avere uno spazio ampio e con quel carattere specifico che non ritrovavo in nessun altro tipo di architettura pratese arrivai nella corte industriale dell’Ex Lanificio Bini….
Il lavoro di cui parli (Polaroid 2008) è il primissimo intervento che rappresenta l’unione dei due aspetti fondamentali del mio operare, che da sempre mi caratterizzano e che sono strettamente connessi al concetto di abbandono, sia in relazione ai luoghi industriali come anche nei riguardi degli oggetti di uso quotidiano. Quegli oggetti usati e stratificati dal tempo furono ricoperti e fissati attraverso l’uso del gesso e appoggiati all’interno di uno dei fondi industriali accanto al mio studio, dove fino a quell’anno la filatura Guarducci aveva ancora i macchinari e produceva filato. In quei giorni alcuni oggetti di uso quotidiano che si trovavano all’interno mi vennero regalati da un operaio che lavorava nella fabbrica. Lo spazio Ex Guarducci, rimaneva nel 2008 abbandonato e manteneva quella struttura e quell’odore originale, come gran parte degli spazi che si trovavano all’interno della corte. L’operaio mi diede le chiavi per po’ di giorni e iniziai a scattare fotografie ai miei oggetti scultorei; nacque così non solo la serie delle Polaroid, ma anche il primo evento realizzato all’interno della corte industriale, in cui avevo il mio studio e che sarebbe poi divenuta, come viene chiamata oggi “la Corte di Via Genova”.
L’evento si chiamò “Relived” e coinvolgeva artisti di varia natura, da quell'esperienza di condivisione nacque un'immagine, che ho rincorso nel tempo e che sostanzialmente è divenuta realtà, la trasformazione della corte in un luogo riattivato e abitato da giovani di varie professionalità. 

Chiara Bettazzi"SC17 Corte di Via Genova - Orto in Fabbrica.

EB - La Corte di Via Genova è diventata a tutt'oggi non solo un giardino d'idee espanso che prende origine da quel primo evento di cui fosti l'artefice nel 2008, ma risulta essere un punto di riferimento sul territorio e non solo, infatti, oltre ai riconoscimenti nella tua città in questi ultimi anni sei stata chiamata ad una serie di simposi uno dei quali mi pare significativo, in Spagna, dove hai mostrato il tuo percorso artistico che s'intreccia e prende vita proprio da questo dispositivo complesso che hai fondato, appunto,  Tuscan Art Industry, un desiderio diventato realtà attiva dove sei riuscita a far diventare il Territorio un serio oggetto di studio archivistico mantenendo sempre una relazione con il tuo lavoro artistico. Penso ad esempio a quel lavoro che chiami Diari Urbani, dittici dove mostri il cambiamento dei fabbricati oppure la loro scomparsa accostando un tuo scatto odierno ad uno scatto d'epoca; ho sempre pensato e mi auguro che questa specifica indagine estetica e storica possa diventare un vero e proprio libro utile alla comunità; credo rappresenti una delle manifestazioni più riuscite  del tuo modo di affrontare con rigore il nostro patrimonio, mantenendo un'anima civile e al contempo trasformandolo in gesto artistico... son certo che potrà diventare un monito per i cittadini troppo distratti a costruire il nuovo l'inutile e il brutto a tutti i costi. Attraverso questo libro le generazioni future potranno sognare di riapproriarsi di questi spazi avendo l'esempio concreto che gli precede  ovvero La Corte di Via Genova... una Corte che prima della tua presenza non era nient'altro che un parcheggio, un luogo muto, oggi un giardino in divenire..
Inoltre credo che la forza di Tuscan Art Industry sia dovuta proprio alla creazione di una base di studio e di competenze  che sono il piedistallo -e penso all'equipe che hai costruito insieme a giovani studiose che si sono appassionate al tuo progetto come anche al coinvolgimento di uno storico dell'archittetura industriale come Giuseppe Guanci  -  per operare un vero e proprio progetto permante sulla città, che si differenzia da quelle che spesso non sono altro che sveltine d'autore, penso a tanti progetti di public art in italia dove gli artisti spesso operano in poche settimane su territori sconosciuti, lasciando -per ovvie ragioni di tempo e costanza assente- spesso il vuoto piuttosto di una qualsiasi continuità e pregnanza...
CB - In questo ultimo anno sono stata chiamata in più occasioni sia in Italia che all'Estero per raccontare dei progetti che porto avanti nella mia città con Tuscany Art Industry..... Il Simposio di cui parlavi si è tenuto in occasione di INCUNA,  XIX International Conference on industrial heritage Laboral ad Asturias in Spagna (Diciannovesima conferenza internazionale sul patrimonio industriale) dove venivano presentate le nuove realtà culturali emergenti.... in quest'occasione oltre all'aspetto teorico in forma di conferenza ho installato all’interno del Laboral centro de Arte y Creaciòn Industrial di Gijòn una serie di lavori video che riguardavano l’indagine sul paesaggio industriale mostrando come la ricerca sul territorio coincida con i miei progetti artistici.

Chiara-BettazziDiari urbani 2015, Fabbrica Anonima Calamai e Fabbrica La Romita Prato. Prato

Infatti da alcuni anni ho trasferito nello studio del territorio e sulla progettazione tutta la mia vocazione organizzativa archivistica e di recupero del passato che ha sempre fatto parte del mio lavoro artistico attraverso lo studio degli oggetti. Come avviene durante la realizzazione del progetto TAI nelle varie edizioni, anche in Spagna ho deciso di mettere insieme vari documenti video, tra i quali compare sempre del materiale d’archivio che ogni anno studiamo, in collaborazione con studiosi del settore o con istituzioni come ad esempio il CDSE (Centro di documentazione storica etnografica). Il progetto TAI nasce da uno studio attento del territorio che ho percorso andando alla scoperta delle innumerevoli fabbriche abbandonate presenti tra Prato e l’area della Val di Bisenzio, un universo architettonico ancora tutto da riscoprire. Da questa passione nata da sempre nasce il lavoro che nel 2015 ho chiamato “Diari Urbani”, una serie di fotografie scattate nel presente a 16 fabbriche storiche rimaste o non più presenti nella città, a confronto con immagini delle stesse che compaiano in un catalogo edito negli anni 80 e intitolato “La città abbandonata”. Da qui è scaturita l’esigenza di un approfondimento e di una mappatura vera e propria che archiviasse ad oggi le strutture ancora esistenti. In quest’occasione ho proposto a tre ragazze provenienti da differenti indirizzi universitari: sociologia, architettura e archeologia industriale, di collaborare e lavorare con me al progetto che poi ha preso il nome di “Industrial Heritage Map”, divenuto non solo un sito internet ma un vero laboratorio attivo in continua evoluzione e aggiornamento. Ultimamente si stanno avvicinando ai progetti che realizzo, molti giovani studenti, attraverso le loro tesi di laurea, oppure attraverso workshop che coinvolgono altri artisti di generazioni diverse, capita così che qualcuno si appassioni in maniera più approfondita e scelga di collaborare in maniera più duratura all’interno di SC17.
Attraverso gli incontri e le molte partecipazioni, che in maniera spontanea sono nate negli anni è stato creata un'equipe di persone con diverse professionalità che tutti gli anni lavorano al progetto TAI. Siamo giunti sempre di più alla consapevolezza di far diventare TAI un centro di ricerca permanente sul territorio in cui mettere insieme i diversi saperi per spronare il riutilizzo dell'esistente in architettura per nuove e diverse attività.  Dall’inizio del progetto abbiamo instaurato un rapporto stretto con Giuseppe Guanci, che rimane per me un riferimento importante per tutta la parte storica e architettonica dei fabbricati, punto di partenza, la Storia, inevitabile, base per qualsiasi slancio futuro. Giuseppe è coinvolto in maniera attiva negli itinerari che conduce all’interno dei luoghi che scegliamo, con lui stiamo realizzando tutti gli anni delle video interviste, che vanno a formare quello che un giorno spero diventi un vero e proprio archivio di questo progetto, che possa rimanere alle nuove generazioni.
Alla base dei progetti c’è sempre il desiderio di creare qualcosa che lasci una traccia e un segno che possa nel tempo sviluppare nuove coscienze sensibili a queste tematiche o come dici tu un giardino di idee in espansione, attitudine che si potrà evolvere solo con un contatto diretto e con una frequentazione quotidiana delle cose che si vivono e ci appartengono. La particolarità del progetto TAI sta appunto nell’unire il contenitore al contenuto che andiamo a scegliere di inserire di volta in volta, e anche per questo la scelta è andata verso il coinvolgimento di artisti sempre più strettamente legati al territorio come per esempio nell’ultima edizione di questo anno Lorenzo Banci, pittore che da sempre ha dipinto paesaggi industriali della nostra città.

Chiara BettazziInstallazione video TAI - Tuscan Art Industry presso Laboral Centro de Arte Y Creation Industrial di Gijon. Spagna (Incuna 2017)

EB - Credo che anche questa tua attenzione verso artisti pratesi oppure operatori culturali radicati sul territorio da tempo, sia una delle carte vincenti del progetto TAI, ..... una volontà precisa, la tua, di valorizzare l'esistente facendo cortocircuitare persone che hanno da sempre privilegiato il territorio, spesso anche prima di incrociarti in quest'avventura, ... dove la matrice di questa comune sensibilità mi pare sia  proprio l'estraneità a qualsiasi tipo di strategia 'politica' che non sia passione.... Come nel caso di Lorenzo Banci, artista che ha da sempre interrogato a tutto tondo il nostro paesaggio attraverso il disegno , la pittura e il teatro... Con lui è nato Grand Tour, un laboratorio per tornare a guardare più intensamente i luoghi della nostra storia, della nostra architettura attraverso un linguaggio -il disegno e la pittura- per riflettere immagini e immaginare mondi.

CB - Credo che l’esperienza del Grand Tour, realizzata per TAI 2017 sia sicuramente l’edizione più matura del progetto. Ho voluto creare un evento trasversale, mettendo insieme molte associazioni del territorio; i vari appuntamenti del programma non riguardavano solo l’arte contemporanea, ma toccavano pubblici differenti.
Volevo che l’evento diviso in più tappe ed esteso in un arco di tempo più lungo rispetto agli scorsi anni, riunisse a livello di progettazione tutta la ricerca legata alla mappatura fatta in precedenza, agli itinerari storici e al materiale d’archivio che in questa occasione, raccontava la vita e gli svaghi degli operai intorno al lavoro in fabbrica.

Chiara BettazziLaboratorio Grand Tour con Lorenzo Banci - TAI 2017

Lorenzo Banci è stato chiamato come artista, a tenere un laboratorio di pittura di paesaggio industriale en plein air all’interno di luoghi industriali della Val di Bisenzio, e ha condotto i giovani studenti in un itinerario/esplorazione davvero coinvolgente. Il laboratorio, caratterizzato dalla presa diretta della realtà attraverso non solo il disegno ma anche la fotografia, ha trascinato tutti i partecipanti in maniera intensa a lavorare all’interno delle fabbriche, ad appoggiare tavolette, fogli da disegno, matite su balle di cenci e vecchi macchinari tessili abbandonati...
Gli elaborati finali sono stati allestiti prima al Polo Campolmi e poi al Museo MUMAT a Vernio. Con Lorenzo abbiamo dialogato sulla scelta dell’allestimento della mostra e sull’idea di aggiungere gli oggetti trovati, insieme al materiale d’archivio che proveniva anche dallo studio di Lorenzo, concordando sull’idea di lavorare sul concetto di “archeologia del presente”. Credo che in definitiva Lorenzo sia riuscito ad andare oltre la mera tecnica pittorica o la semplice lezione, trasmettendo un sentire autentico, avvicinando i ragazzi alla sua poetica e mostrando loro la suggestione di queste vere e proprie cattedrali dimenticate, forma e sostanza della nostra storia. Per me resta dunque fondamentale ricercare all’interno del progetto e quindi delle persone che coinvolgo la medesima passione che mi ha spinto a coltivare questo sogno e ad indagare sempre più a fondo le esperienze che vivo e che portano alla realizzazione di un lavoro condiviso, basato sulla verità della collaborazione e lo scambio dei saperi.  

Chiara-Bettazzi Itinerari TAI 2017 - Val di Bisenzio

EB - Ogni anno nella rassegna TAI sottolinei  presenze architettoniche di rilievo sul nostro territorio attivando delle vere e proprie Visitazioni site-specific oppure inneschi visioni stranianti attraverso installazioni sonore fruibili dal pubblico; penso alla Gualchiera di Coiano dove i visitatori hanno avuto l'occasione in notturna di vederla da un punto di vista inedito, oppure come nel caso della Fabbrica Forti  un 'installazione sonora a cura di Tempo Reale (prestigioso Centro di Ricerca Sonora) che ha creato una tensione in una parte specifica dello spazio ... Da segnalare anche le  fotografie di Paolo Meoni che suggerivano un inedita visione della nostra città ritratta nei suoi sconfinamenti urbanistici. Tutte queste nuove visioni ci hanno mostrato come si può riattraversare con lo sguardo le nostre vestigia attraverso l'arte contemporanea, suggerendoci la nostalgia del futuro e riaprendo un dialogo reale con ciò che ci appartiene e non deve essere disperso...

CB - Oltre agli itinerari storici e architettonici guidati da Giuseppe Guanci e alle documentazioni fotografiche e video, negli anni abbiamo creato alcuni site-specific attraverso l'illuminazione  e il suono. Con il tempo questa scelta è divenuta una cifra distintiva del progetto che evidenzia l’attenzione e il rispetto che cerchiamo di mantenere nei confronti delle strutture che esaminiamo, operando vere e proprie sottolineature che non  snaturano ma semplicemente ne mostrano la bellezza attraverso l'arte. Come nel caso dell'Ex fabbrica Lucchesi – in occasione della prima rassegna TAI -  dove sono state illuminate tutte le finestre del piano superiore creando nei passanti, in notturna, una sospensione metafisica che mostrava le linee di forza di quel gioiello architettonico.... oppure l’anno successivo presso l’Ex Anonima Calamai, l’intervento di illuminazione e sonorizzazione si è concentrato nella parte che era destinata in origine alla Tintoria e che fu progettata da P. Luigi Nervi.
Il suono (prodotto da Alessandra Tempesti / Gea Brown) poteva essere ascoltato mediante cuffie per uno spettatore alla volta, che si trovava a sostare sull’ingresso dell’enorme cattedrale illuminata, un vero e proprio capolavoro del nostro territorio, con potenzialità infinite. Le strutture su cui ci siamo focalizzati si presentano sempre con dei limiti dovuti all’inagibilità e alla precarietà dei muri, dei tetti o dei detriti che vi si trovano all’interno, ostacoli che in vari modi dobbiamo superare. Quando inizio ad approcciarmi a questi spazi, attendo che sia il luogo stesso a suggerirmi le nuove soluzioni da adottare cercando di non  forzare o alterare troppo il luogo, ma al contrario ,esaltando oggetti, macchinari, resti, che vi si trovano all’interno, come nel  caso della Gualchiera di Coiano in cui era impossibile accedere fisicamente.

Chiara Bettazzi Tai Gran Tour 2017 Fabbrica Forti (Isola) Vaiano Installazione Tempo Reale.

In questa occasione l'ostacolo è diventato un suggerimento per aggirarlo in maniera poetica, infatti gli spettatori stavano davanti alla visione di un quadro luminoso da cui ci si poteva affacciare tramite un vecchio oblò uno alla volta, ognuno era solo difronte a quest'immagine.... Mentre all’interno della Fabbrica Forti alla Briglia (Isola) è stata realizzata un istallazione sonora -di Francesco Giomi a cura di Tempo Reale-  ispirata all'energia naturale dei geyser, posizionata al centro della navata centrale della parte più aulica e storica del fabbricato, il lavoro di sound-art ha avuto un forte impatto elettroacustico e rifletteva sul concetto di attesa e sorpresa. Sempre nella stessa occasione ho invitato Paolo Meoni, artista pratese che da sempre ha lavorato sul paesaggio urbano attraverso la fotografia. Sono stati proiettati una serie di scatti realizzati da alcuni punti di vista collinari della città, effettuati in diverse ore del giorno, un vero e proprio spaesamento che ci costringeva a ripensare la città come un organismo complesso e tentacolare. Credo che il valore del progetto TAI, stia appunto in ciò che, come dici tu suggerisce un dialogo tra quello che rappresenta il nostro passato, ma che può e deve essere collegato ad una visione futura delle cose tramite un filo unico che leghi insieme il tempo e le possibili interpretazioni successive.

Chiara BettazziSolo Show Chiara Bettazzi, What About my objects? a cura di Alessandro Gallicchio. Localedue, Bologna.

EB - Nel tuo ultimo solo show che ho visitato recentemente, a cura di Alessandro Gallicchio nella spazio di Localedue a Bologna risulta, entrando, immediatamente  evidente la continuità espressiva con la tua personalissima idea d'archivio che non sposa nessuna ideologia alla moda ma  procede per un sentiero  decisamente  introverso, un mal-d'archivio che sfiora una compulsione guidata da una facoltà rabdomantica che deborda in un riciclaggio d'oggetti trasformati in immagini abbaglianti oppure perdute nella penombra...... questa ricerca inesausta di accumulare ricchezze visive trovate nel chissà dove, sembra un sentiero iniziato da sempre, forse prima della tua coscienza di essere artista...

CB - Sono cresciuta all’interno di una casa in cui venivano accumulati gli oggetti più disparati, passavo il tempo ad organizzarli sistemarli ordinarli, era un grande gioco. Nel tempo ho lavorato, collaborando con architetti e designer, allestivo negozi per brand di moda, mi capitava giornalmente di vivere immersa in arredi industriali che selezionavo e spesso custodivo.
Sono arrivata a lavorare in maniera più precisa sul concetto di archivio e di collezione dopo aver passato anni ad accumulare non solo oggetti di uso quotidiano di vario genere, ma anche immagini scattate all’interno di mercatini dell'usato.
Contemporaneamente allo sviluppo del mio lavoro e di questa ricerca inesausta, lo studio si è ripulito e piano piano ho iniziato a costruire nello spazio contenitori che lo archiviassero, grandi scaffalature in cui conservare e dividere gli oggetti ai quali scattavo fotografie. Credo che l’ossessione verso la composizione e la giustapposizione mi abbia indirizzato verso l’idea della raccolta e della conservazione di alcune cose che sono divenute la grammatica del mio operare.
Il mio studio rappresenta un foglio bianco, in cui disegno attraverso lo spostamento degli oggetti... Allestire e disallestire continuamente produce talvolta degli errori di percorso che portano alla nascita di lavori necessariamente non programmati. Il mio lavoro nasce essenzialmente incontrando gli oggetti, oppure da insistenti spostamenti, o ad esempio da traslochi di intere collezioni di persone defunte. Alcuni anni fa ho avuto l'occasione di acquisire un intera collezione di Vetri da cui sono nati una serie di lavori sia scultorei sia fotografici; recentemente un appassionato di fotografia mi ha dato l'occasione di avere materiale di difficile reperibilità con il quale ho iniziato nuovi percorsi. Il lavoro è per me un atto rituale che porta ad una pratica e a un procedimento molto empatico in cui casualmente il lavoro prende forma e accade procedendo attraverso continue intuizioni. Qualche anno fa ad un mercatino dell’antiquariato ho trovato un libro edito nel 1967 e intitolato “La Fotografia del pensiero” di Ernesto Bozzano un parapsicologo affascinato di pensiero e volontà, di forze plasticizzanti e organizzanti in cui il concetto di “ideoplastia” mi ha particolarmente affascinato.

Chiara-BettazziSolo Show Chiara Bettazzi, What About my objects? a cura di Alessandro Gallicchio. Localedue, Bologna.

Nella mostra che ho presentato a Bologna presso Localedue che s’intitolava “What about my object”, ho messo insieme una serie di vecchi e nuovi lavori realizzati da me, accostati a fotografie di still life trovate. La mostra era composta da un tavolo su cui poggiavano i miei “Diari”, che sono stati composti attraverso continue registrazioni fotografiche che fissavano in molteplici scatti gli studi sugli oggetti in relazione allo spazio; questi libri sono caratterizzati da una ricerca legata al momento, all’istante dello scatto, un approssimazione  continua verso la sua rappresentazione... Al muro insieme a innumerevoli fotografie, ho proiettato un video a due canali, girato due anni fa all’interno della Pineta di Roccamare. Le riprese, girate a telecamera fissa, raffigurano una casa anni 70 abbandonata e composta quasi interamente da vetrate da cui era possibile scorgere tutti gli oggetti di design ancora intatti lasciati all’interno dell’abitazione.

Chiara-BettazziSolo Show Chiara Bettazzi, What About my objects? a cura di Alessandro Gallicchio. Localedue, Bologna.

-Il filmato mi ha suggerito l’accostamento ad un’ immagine fotografica che ho trovato di recente e che appunto rappresenta una casa simile degli stessi anni. Ho deciso così di proiettare il video della stessa misura della fotografia attaccata di fianco, creando appunto un ambiguità dell’immagine che è data dal risultato di due visioni diverse.
 Archivio” è l’ultima opera che ho realizzato, una scultura formata da un porta-cartoline in cui sono stati inseriti circa 300 still life scattati a tutti gli oggetti catalogati nel corso dei dieci anni, divisi in generi e presenti in questo momento in studio, oggetti eterogenei che non hanno subito trasformazioni o manipolazioni, una sorta di materiale oggettuale scartato o rimasto da tutti i lavori passati. Se negli oggetti fotografati dei lavori precedenti il mood che li abitava era la penombra e l'oscurità in quest'ultima serie mi sono concentrata sulla limpidezza dell'immagine, cercando, in piena luce, di esprimere l'oggetto nella sua massima naturalezza.

Chiara BettazziSolo Show Chiara Bettazzi, What About my objects? a cura di Alessandro Gallicchio. Localedue, Bologna.



 

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