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Spazio x Tempo
Atelier
Marco Bagnoli

 
Atelier Marco BagnoliAtelier Marco Bagnoli, veduta della mostra 2017



Atelier
Marco Bagnoli

“L'opera d'arte è un serbatoio che permette a Bagnoli di “risvegliarsi” in ogni situazione e di proporre un meccanismo di vita come gioco di polarità antagoniste. Lo fa anche creando un dialogo tra l’interno architettonico e l’esterno, stabilendo una dialettica tra struttura urbana e Spazio x Tempo, 1975 (2016) a Bolognano, ovvero tra undici cumuli di terra in Sentiero, 2017, abbinato ad una proiezione luminosa sulla superficie del suo studio a Montelupo Fiorentino nel 2017.
Dopo decenni di ricerca per la riappropriazione di un unicum e di un continuum, lo studio diventa l'epifania del riassorbimento, in cui l'artista ritrova calma ritrovata e luce costante. L'intera struttura architettonica, insieme alle sue opere interne ed esterne, racchiude un viaggio nell'ineluttabile in cui l'artista tenta di ritornare ad una creazione sublime e spirituale, abbandonando la sua condizione di essere concreto e vitale, che riappare decenni dopo nella sintesi di un luogo governato dalla sua presenza e dalla sua arte. Il cerchio si chiude così, in attesa di ulteriori manifestazioni magiche, metafisiche, ermetiche e mistiche.”
Germano Celant

Atelier Marco BagnoliAtelier Marco Bagnoli, Pianta, Sezione Longitudinale


L'Atelier Marco Bagnoli è stato inaugurato il 5 maggio 2017 a Montelupo Fiorentino (Firenze). L'edificio, progettato dall'architetto Toti Semerano, in collaborazione con l'artista, ha una superficie di circa 2000 mq. Questo complesso architettonico, caratterizzato da un cortile centrale attorno al quale sono disposti i diversi spazi, utilizza prevalentemente materiali naturali come terra e pozzolana, legno, pietra, fibre naturali, argilla e canne intrecciate trattate col fuoco (da sostituire con piante a lenta crescita, vegetazione quando alla fine appassiscono).
Lo studio è anche la sede dell'Associazione Spazio x Tempo, che organizza attività che prevedono l'interazione tra arte, impresa e territorio. Si tratta di uno spazio nuovo che permette al pubblico di vivere in prima persona l'opera dell'artista:

"[...] individui altamente creativi, siano essi poeti, romanzieri, artisti, scienziati, musicisti o figure spirituali, offrono la propria produzione creativa per il bene comune. Sono donatori: contribuiscono cioè con i risultati delle proprie azioni e conoscenze all’arricchimento dell’umanità intera. E il loro esempio vale per tutti, in ogni campo di attività, anche quello più semplice e la creatività, infatti, non è un'attività isolata: potremmo ben chiamarla l'incanalamento di tutta l'esistenza nel flusso creativo della Vita Universale.

Atelier Marco BagnoliAtelier Marco Bagnoli, Pianta, Sezione Longitudinale


L'Atelier è dedicato all'arte contemporanea in un ambiente lontano da quelli in cui l'arte viene abitualmente esposta, ma vicino ai luoghi che danno origine alle opere stesse di Bagnoli […] È una sorta di gesamtkunstwerk, un'opera d'arte totale, in un edificio multipiano che riesce a svolgere tutte le funzioni tipiche di uno studio d'artista: laboratorio, showroom, magazzino, archivio e spazio di coworking.

La prima mostra che inaugura il nuovo spazio, curata da Tazzi, ha presentato un'ampia selezione di oltre cinquanta opere di Bagnoli che abbracciano tutta la sua carriera. Tra questi inclusi : Quattro gambe topologiche, 1972; Gambe incrociate a tetraedro, 1972; Anti Hertz, 1979; Testa di rappresentante, 1979; Metrica e Mantrica, 1983-1984; Quattro punti cardinali (Tutto il tempo penso a quella fonte dove bevve il cavaliere la cui sete da allora cessò per sempre), 1988; L'immagine è una pietra gettata nel lago, 1988; Janua Coeli, 1988; L'anello mancante alla catena che non c'è, 1989; Sette dormienti, 1990; Come figura d'arciere, 1993 (1994); Fonte battesimale, 1994; and Disegno A.R.S., 1997; così come lavori più recenti come π (Torre), 2000; Sonovasoro, 1997 (2000); Colonna a Delphi (modello), 2001 (2007); Rintocco, 2003; Terra delle Madri, 2006 (2017); Il vaso desiderabile, 2006; IO X TE (Libreria), 2007; Araba Fenice, 2011 (2016); X, 2016; Sette dormienti, 2016 e Sentiero, 2017. La mostra ha adottato un modus operandi che si discostava dalle procedure consuete.

“Non è una mostra, nel senso comune del termine - ha spiegato il curatore - dato che non c'è nulla di definitivo; si prevede che le opere subiranno modifiche in futuro, con nuove opportunità di interazione."
L'evento è stato pensato per dare un'idea delle future attività previste per lo studio, in uno spirito di mobilità e apertura ai diversi media. "Come suggerisce il titolo della mostra, l'apertura segna davvero l'inizio di un'attività piuttosto che la conclusione di un processo.

Atelier Marco BagnoliApertura Atelier Marco Bagnoli 2017


Spazio x Tempo
Opere da Collezione

Testi

Memorie d’acqua, di terra e di rugiada.
Nel suo libro: “La pittura cos'è: un linguaggio alchemico” James Elkins sostiene che la pittura sia un linguaggio alchemico. Scrive infatti: “In alchimia si ha la distillazione quando la sostanza perde il suo corpo materiale e diventa spirito, in pittura quando il colore diventa luce.” *

Riferendosi ai medium e alle sostanze utilizzate dagli artisti fa riferimento anche ai contraries di Aristotele, che per gli alchimisti diventano qualitates: “Aristotele definiva contraires le qualità umido, asciutto, caldo e freddo, associate sia ai quattro elementi, terra, aria, fuoco e acqua, sia ai quattro umori, bile nera, flemma, sangue, bile gialla, e attorializzate come nero, rosso, giallo.” *

"Nell’esplicitare il significato spirituale in pittura, l’Alchimia ha il vantaggio rispetto alla teologia, alla psicologia di Jung o alla critica d’arte, di essere una disciplina consorella.
Anche l’Alchimia è schiva, si cimenta sulle sostanze e lascia che si riempiano silenziosamente di significati invece di dichiararne la presunta preziosità.” *

*da “La pittura cos'è: un linguaggio alchemico” di James Elkins; a cura di Tiziana Migliore - Mimesis, 2012.

Sali d'acqua
Per acqua divina mi riferisco alla rugiada, l’acqua volatile”. Olimpiodoro “Commentario al libro di Zosimo ‘sulla forza’, alle sentenze di ermete e degli altri filosofi.”

Forse è giusto sapere che le acque, in particolare quelle che abbiano una più densa attinenza con la creazione del mondo, possono produrre un loro sale quando siano distillate propriamente varie volte, cioè non essendo bollite e gettandone la prima parte flemmatica. Oppure essendo ridotte per asciugamento in una poltiglia da cui venga estratto il sale suddetto.

Voglio aggiungere un fatto che può maggiormente distinguere la teoria in ambito alchemico da quella di tipo chimico, sebbene entrambe siano vaghe, dato che l’unica vera risposta resta celata nei fatti: l’acqua chimica H2O non esiste e non può esistere in natura e, probabilmente, potrebbe non essere potabile. Infatti l’acqua, chimicamente parlando, è un solvente eccezionale che non solo scioglie molti tipi di sostanza fisica che incontra in forma di polvere ma, immediatamente, anche i gas che sono nell’aria, gli stessi che respiriamo della nostra atmosfera.

Quindi la formula reale dell’acqua è sempre cangiante, non è afferrabile né, peraltro, immaginabile.
Aggiungo che un pesce messo in acqua marina artificiale, cioè riprodotta chimicamente, vi muore, se non ve ne viene messa un poco di naturale.

*Reiyo Ekai, Quaderno di Alchimia Operativa, Fontana Editore.

Atelier Marco BagnoliApertura Atelier Marco Bagnoli 2017


Spazio x Tempo
Nota 3

Il Tempo. È qui.

Questo divenire di un essere spaziale.
O questo non voler divenire. A un essere.
Dalla relatività del moto ad una relativa quiete. = LISI.

Il tempo come variabile di spazio
è tenuto nella salda mano dell'arte.
Così che ogni distanza appena vista
è ripresa con salda mano
e attimo dopo attimo
più niente resta di visibile
più niente di visivo
più niente di visione.

Le operazioni fisiche si risolvono sul loro stesso piano.
Il piano dell'osservazione La dimensione, ecc.
Anche l'ennesima rimane su questo stesso piano. (Kalusa)
La misura è riassorbita dal piano stesso.
ZERO = CHAOS
Lo spazio è risolto in operazioni ed operatori.

Portare la costituzione (dell'uomo) verso i suoi elementi. (Formulare meglio)
Il problema si ridurrà sempre a una scelta tra discontinuo e continuo.
Una lunghezza minima discontinua o una continuità indefinita. CONTINUUM = QUANTUM.
Uno scostamento infinitesimale al limite o un punto dove lo spazio è trasceso
Un punto ad energia infinita.
Un corpo rigido non può essere accelerato.
Sat-cit-ananda

Marco Bagnoli, IO X TE, Museo Pecci, 1995


Il senso dell’arte: fra Tazzi e Bagnoli

Pier Luigi Tazzi: “In quegli anni, nella seconda metà degli Anni Settanta, io facevo teatro e insegnavo all’università. Quindi in un ruolo facevo un’esperienza scenico-performativa di quanto il mondo dell’arte e una certa cultura diffusa nel sociale di certe minoranze – i giovani, le sacche intellettuali e creative in opposizione ai sistemi dominanti, e non solo in Italia, ma in tutta l’area occidentale, la scena musicale coeva – avevano suscitato in me e intorno a me; nell’altro conducevo insieme ai miei studenti ricerche sull’analisi teorica delle scienze umane – dalla semiologia all’antropologia culturale, dalla retorica alla filosofia, dai cultural studies all’art theory – in relazione alle pratiche e agli strumenti espressivi utilizzati nella comunicazione. Nell’arte anzitutto, ma anche nella moda e nella pubblicità.
Non c’era fra noi evidentemente alcuna possibilità di incontro. Da quanto dici questo risulta palese. Sarà quindi solo all’inizio degli Anni Ottanta, nel momento in cui i giochi sono già stati tutti fatti – il ritorno alle tecniche tradizionali dell’arte quali pittura e scultura, principalmente, ma non solo – che si delinea un’area di convergenza. Da un lato si è andato esaurendo l’impulso democratico delle avanguardie – da quelle storiche a quelle neo –, dall’altro si è andata configurando una élite, intellettuale quanto sociale, che usa codici propri che prendono volontariamente una distanza da ogni vulgata. A partire da questa situazione tuttavia si sviluppa nell’arte, soprattutto europea (Austria, Germania Occidentale, Inghilterra, Paesi Bassi, Belgio, Francia, Spagna, Polonia, ma con importanti apporti nord-americani oltre a New York, la California, la West Coast del Canada), una modalità operativa che si fa carico di una tradizione e di una storia che sono quelle che caratterizzano il modello di cultura dell’occidente. Questa modalità non solo non si oppone a quanto la ha preceduta, ma anzi si vede in diretta continuità con quello, pur passando da un concetto di individualità, uno degli assi portanti del modello occidentale, ad un concetto di singolarità, ma anche si mostra aliena ad ogni aspirazione elitaria, configurandosi come minorità che non tenderà mai ad essere maggioranza. In questo ambito mi sembra allora di poter inscrivere la tua opera.”

Marco Bagnoli: “Caro Pier Luigi questo incedere m'assomiglia a quello della scienza, per scoperte. Questo fino a che rimani estraneo o esterno. Se nell'equazione tu ed io siamo più stretti o ci consideriamo, succede qualcosa.
Nella visione tutto è possibile. Ma bisogna aspettare, cuocere l'occhio nel fuoco della parabola. Aspettare una visione senz'immagine, una Janua Coeli. Presagita sì, ma vista?
Tengo sul comodino una processione dei magi di Leonardo infittita di segni. E una volta la guardai di traverso... c'erano tre figure a triangolo con il bambino al centro sospeso. C'era una volta di paglia ingiallita con un foro in alto e nel foro una stella cometa d'un oro metallico in un cielo notturno d'un blu elettrico bellissimo. Solo questo. Ma vista di fronte v'erano cavalli uomini scale terrapieni alberi... di tutto. Come se l'ultima cena non fosse riflessa in uno specchio concavo: una apocalisse figurativa... qualcuno l'ha tentata.
Ma era americano.”

Atelier Marco BagnoliApertura Atelier Marco Bagnoli, veduta della mostra 2017


Il senso del mostrare.
Conversazione d’arte fra Bazzini e Bagnoli.

Sulla Ruota del tempo, conversazione romana dell’11 novembre 2010 fra Bazzini e Bagnoli, moderata da Astrid Welter al Palazzo delle Pietre, è occasione preziosa per riprendere un’intervista del lontano 2010 fra i conversanti in cui si metteva luce su domande che ancora restano aperte.
Possibili luoghi di riflessione.

Bazzini: “Oltre dieci anni fa, mentre allestivamo una tua mostra in una chiesa, ricevesti una telefonata che ti annunciava la morte di Gino De Dominicis. Nello stesso momento uno dei grandi pannelli dei Sette Dormienti montato ormai molti giorni prima, cadde al suolo da una notevole altezza rimanendo integro. Un episodio che non abbiamo mai raccontato e che ancora, almeno in me, non trova razionale spiegazione. Ogni tanto mi chiedo se fu una visione o un'apparizione.
Tu su questi temi ci lavori da sempre.”

Bagnoli: “In certi stati ed in certi momenti non c'è nessuna differenza. Immagine è il luogo dell'apparizione e immaginario il suo strumento. Del resto, se si apre quest'occhio, anche il sensibile prende forme diverse e si diviene consapevoli che è una conseguenza mentale. Per quanto sottile.”

Bazzini: “È la persistenza di un mistero che la nostra società tende sempre più a emarginare. Oggi l'arte si vede, ma forse non appare, non è più un fenomeno epifanico.”

Bagnoli: Appare probabile, come sempre. Da qui e nella più pura tradizione dell'Arte, il tentativo di disattivare l'oggetto. Al fine di ottenere una certa stabilità. Almeno dopo Cezanne. Gli oggetti hanno però anche assunto una loro pseudo-vita fantasmatica (compreso il corpo dell'artista). Come l'Atomo della Fisica. Che nessuno ha mai visto. Un puro modello probabilistico.

Bazzini: “Tu hai lavorato spesso intorno al concetto di mappa, di modello. Se l'immagine non coincide con il modello, dove trova la radice della sua forma?”

Bagnoli: “È evidente la caduta del modello naturale, pur avendolo costantemente di fronte. Cosa sta succedendo? La Natura s'impone nella struttura della pittura, per arrivare al punto in cui si può affermare che il pittore è cieco. Che cosa sta osservando allora? Una domanda che rimane aperta.”

Bazzini: “Qual è il senso di esporre un'opera d'arte? Lasciare aperta la domanda?”

Bagnoli: “Lo spazio dell'Arte, almeno in Occidente, rimane l'unico possibile per affrontare una domanda simile e forse devo dire che è l'unica Tradizione che ci rimane (intendo tradizione che non sta in un passato o un tempo storico da riconfigurare, ma sul filo dell'essere presenti a noi stessi). Anche il Rinascimento a Firenze ha un'accezione ermetica e questo è il suo valore, non certo l'estetica neo classica. È la rinascita del passato che configura l'archetipo del Dio Apollo (l’influenza spirituale), che fa volgere lo sguardo nordico verso il santuario di Delfi (il sé). Ciò potrebbe essere un nuovo inizio di senso per l'opera d'arte. Certo allo scopo servirebbero artigiani iniziati, più che artisti creativi ed un mondo meno pieno di musei che di Templi. Non ci rimane che voltarci indietro. Volgersi verso l'origine che è sempre costantemente dinnanzi a noi.”

Bazzini: “Qual è il rapporto con il contemporaneo?”

Bagnoli: “Ho sempre parlato con Mario Merz, con Alighiero e anche con Gino e non abbiamo mai pronunciato la parola contemporaneo. Eppure siamo vivi lo stesso.”

Intervista di Marco Bazzini a Marco Bagnoli del 24 novembre 2010

Atelier Marco BagnoliApertura Atelier Marco Bagnoli 2017


Opere


Mandala di tutte le direzioni, omaggio a Germano.

Lettura di Marco Bagnoli: La scrittura editoriale di Germano Celant e l'archivio come metodologia. Nell’ambito delle Giornate di studio intitolate: “Germano Celant. Cronistoria di un critico militante” realizzate a cura dello Studio Celant, da una proposta dell’Accademia Nazionale di San Luca.
Museo Pecci, Prato - 25 febbraio 2023

C’è un’arte capace di instaurare le condizioni della propria messa in opera?
Ma anche capace di liberarsi da ogni condizione?
Queste questioni, mi pare, facciano parte della domanda che ci ha portato fin qui.
E qui mi vorrei fermare.
Soffermarmi e soffermarvi nell’attesa della domanda, per allargare il campo. Senza affrettare risposte, disporsi solo nell’ascolto.

Con queste parole ebbe termine la mia relazione al Forum di Ars Aevi in Sarajevo il 26 novembre del 2001, in occasione della presentazione dell’opera “La stanza dei sette dormienti” donata e inserita nella Ars Aevi Collection, Museum of Contemporary Art Sarajevo. La tematica del Forum verteva sulle problematiche del Museo. Alla discussione parteciparono, oltre a me, Amnon Barzel, Enver Hažiomerspahić, Harald Szeemann.

Con mio stupore Germano è partito da quel mio discorso per la scrittura del suo testo critico che introduce la mia monografia e che si intitola infatti:
“Senza affrettare risposte su Marco Bagnoli”.

È sempre sorprendente la capacità di Celant di cogliere un segno e illuminarlo nel flusso inesauribile delle forme.
Fermarsi dove tutto scorre.
Fermarsi o soffermarsi nella meraviglia.
E nell’ascolto.

E ciò vale soprattutto quando si voglia far ricorso ad una affrettata definizione di arte contemporanea, che pone tutti – artisti e critici – in una posizione di scomoda ambiguità.

Per Giorgio Agamben contemporaneo è l’inattuale, o l’inopportuno e – ricordando Nietzsche, contemporaneo è colui “che sa vedere come un male, un inconveniente, un difetto, qualcosa di cui la sua epoca va giustamente orgogliosa”.

(In G. Agamben, Che cos’è il contemporaneo e altri scritti, Roma, Nottetempo, collana I sassi, 2010, pp. 22-33)[F. Nietzsche, Considerazioni inattuali, II, 1874].

Questa “lettura” del contemporaneo, andrebbe indagata meglio per comprendere ciò che Germano scrive nel suo l’Inespressionismo, specificatamente nell’introduzione dal titolo Periodi di marmo, (titolo che sarà anche quello della mostra che seguirà ad Acireale):
“L’Inespressionismo non è devoto del contemporaneo e non crede nelle sue semplificazioni rituali, è piuttosto profano e scettico tanto da incamminarsi sulla via del non-essere.

… non è interessato a contrapporre l’ispirazione e l’invenzione alla conoscenza, si muove piuttosto nel campo dell’apparenza e della sua applicazione. …si muove in questo “deserto”, dove il miraggio si confonde con la realtà ed il trapasso da originale a copia non ha fine.”

Con Germano non si parla di contemporaneo e – seguendo Wittengstein: ciò di cui non si può parlare, non può essere detto.

Per me la difficoltà di parlare con Celant dipendeva soprattutto dal fatto che in lui vedevo il rappresentante della generazione che mi precedeva verso cui mi ponevo con tensione e rispetto.

L’unica volta in cui davvero parlai con lui fu a Genova alla Samangallery, mentre ero disteso nel Tunnel Impossibile: invisibili l’uno all’altro.
Forse fu proprio la magia dell’opera, l’impossibilità del tunnel a rendere possibile l’impossibile!!!

Fu comunque un incontro di premesse che si manifestarono oggettivate e scomposte nella mia stanza della mostra “Identitè Italienne” di Parigi nel 1981.

Un’altra volta tentai una corrispondenza con Germano, molti anni dopo, per la copertina del mio libro: vi leggo qui le mail che ci scambiammo.

Il giorno 08/ago/2016, alle ore 12.54, Gmail Marco Bagnoli ha scritto:
Caro Germano, spero di trovarti bene e scusa il ritardo, ma aspettavo di trovare un momento più tranquillo per poterti scrivere.
Sì, hai ragione che per la copertina avevamo deciso per le ombre e credo sia giusto proseguire su questa linea.
Ma vorrei dirti i motivi che mi hanno portato all'immagine che ti ho inviato.
Allora mi è apparso un episodio narrato da Jonathan Littell sul "rifacimento" di "Las Meninas", dopo che il primo quadro, pur compiuto, era stato superato dai tempi e per due anni abbandonato nello studio del pittore.


L’episodio racconta:
la biblioteca del re, all'Alcazar, conteneva un volume che Velasquez sicuramente conosceva, i "Dialogos de la Pintura" di Vicente Carducho, del 1633; e sull'ultima pagina, compare un’incisione che va letta come emblema della pittura: un pennello che sfiora appena una tela bianca e vuota, senza lasciarvi altro segno che un’ombra... Questo è ciò che il pennello di Velasquez sta per fare in "Las Meninas": risolvere una infinita ma irrealizzata potenza in un atto singolo, un atto di pittura.
Mi trovo in risonanza con questo "singolo atto di pittura" come se il segno rosso apparisse d'un tratto sotto l'ombra di quel rovesciamento che ne inaugura l'evento.
Così mi è parso opportuno proportelo, sicuro di poter trovare insieme la "risoluzione" che se ne appropri o comunque trovare con te un confronto aperto su come porre un libro al posto di un quadro...

E la risposta di Germano…

Caro Marco
capisco e condivido il tuo desiderio… È difficile un'osmosi tra comunicazione e creazione… Vediamo al ritorno dalla vacanze, con la mente abbronzata... anche per Venezia, ciao.
Germano


Come è evidente in questa lapidaria risposta, Germano soleva avanzare per opposti, (come del resto avviene anche nella fisica del 900 con il principio di indeterminazione di Heisenberg) per dualità contrastanti: comunicazione e creazione, ad esempio.
Un tratto tipico suo - e se ne potrebbe fare una lunga lista pescando nel saggio introduttivo al mio libro - fino a giungere nella quarta di copertina alle sue parole che mettono in evidenza l’opposizione fra sentire e percepire.

Un’opposizione che siglava la conclusione di un libro dopo anni di lavoro con Antonella e Angelica sotto la sua attentissima direzione.

E io ho pensato che ci fosse bisogno di un segno, quasi un sigillo dell’opera compiuta. Andai allora con la mente, non so perché, al mio primo viaggio in Tibet quando visitando il monastero di Scigaze un dipinto su una parete aveva attratto la mia attenzione: era una scacchiera fatta di solo colore.
Chiesi a un monaco cosa rappresentasse quel disegno e lui mi rispose quasi sorpreso della mia ignoranza:
“Ma è il mandala di tutte le direzioni!”

Così il Mandala di tutte le direzioni, in cui unicità e molteplicità vengono unite, è divenuto la base per un Noli me Tangere di cui fargli dono a memoria del Noli me Tangere della Biennale di Venezia del 1997.

Avrei voluto fosse in ceramica, ma come al solito per Celant il tempo stringeva. Ne feci per lui un legno dipinto.

Atelier Marco BagnoliApertura Atelier Marco Bagnoli 2017


La parabola specchiante


Namaskar, un saluto che apre una conversazione sacra.

Intervista a Marco Bagnoli in occasione della mostra
The Wheel of Time - Ambasciata italiana, Centro Culturale, New Dheli 28 febbraio 2014

Miroslava Hajek - Nell’installazione che proponi qui il movimento inizia e finisce sull'immagine della scacchiera. Lo annunci con la poesia di Rumi, ma l'immagine è il cardine. Che cos'è per te l'immagine?

Marco Bagnoli - Il cerchio non ha modello e questa è la sua immagine.

Miroslava Hajek - Come riesci ad amalgamare la cultura e l'arte italiana con quella dell'India?

Marco Bagnoli - È una domanda che resta aperta. Diciamo che l'India e l'Italia sono al centro di due tradizioni, l'oriente e l'occidente, che vengono generalmente poste agli antipodi. Ma non è così. Vi è una lunga storia di scambi che si è fatta sempre più profonda. Ma dobbiamo anche ammettere che oggi, in un mondo destinato a una generica omogeneità, cadono proprio i presupposti di una differenza. Per ritrovare il centro di questa domanda, artisti e ricercatori, devono andare più a fondo. Rivolgersi al senso della parola Oriente come "origo", orientamento, origine. Che si affaccia oggi con urgenza per dar senso all'azione estetica e al suo appagamento. Sia ad oriente, sia a occidente.

Miroslava Hajek - Fino a che punto sono importanti nel tuo lavoro la tecnologia e la scienza?

Marco Bagnoli - Traduco la parola "techne", che in greco antico significa Arte, con tecnica. Ma si potrebbe dire: sapere. Vorrei anche dimostrare che c'è un limite in natura al sapere. Quando l'occhio arriva nel fuoco ottico dello specchio parabolico (parabola), l'immagine scompare. La punta del pennello che tenta di raggiungere quell'immagine riflessa, si irradia sul bordo della visione. Penetrandovi (il rosso) si dilata fino a invaderne il campo. In realtà è il Volto che si amplifica fino a che il fuoco dell'oggetto non coincida con il suo. E lì l'immagine scompare.

Miroslava Hajek - In questa occasione stai presentando un tuo libro molto particolare che nasce dall'idea di un viaggio fisico e interiore nella tua opera artistica. Dunque usi una tecnica tradizionale. Si può essere innovativi anche usando tecniche tradizionali?

Marco Bagnoli - Molti anni fa ebbi la fortuna di incontrare il Dalai Lama ospite dei monaci benedettini della Basilica di San Miniato al Monte a Firenze. Quell'incontro mi era stato preannunciato da un altro, avvenuto prima ad Amsterdam e solo tramite un libro. Erano foto che ritraevano lo sguardo allarmato di Joseph Beuys. L'artista incrociava lo sguardo del Lama, schivo e incuriosito. Un Oriente in esilio, di fronte ad un Occidente che si spiritualizza per allargarsi nella infinita estensione del' Eurasia...
Un silenzio nel mezzo.
Ora nel libro che qui presento, ho raccolto molte pagine per colmare quel silenzio e accoglierlo. È una geografia del tempo e all'opposto una storia nello spazio. E siccome si muove intorno a un centro, il monte Kailash, vi ho riconosciuto una forma, una figura che ho chiamato col nome di un mandala. La ruota del tempo.

Miroslava Hajek - A partire dal 1988 spesso utilizzi parabole specchianti nelle tue installazioni. Potresti spiegare la nascita e l'evoluzione della tua filosofia legata all'uso di questo mezzo espressivo?

Marco Bagnoli In partenza per l'India ti ho mostrato un quadro del Pontormo, il San Michele Arcangelo. Ti ho indicato la bilancia squilibrata dalla presa dell’essere schiacciato sotto il suo piede Egli afferra la ciotola specchiante e la gira verso di noi. Ma chiaramente Pontormo non vi dipinge la nostra figura riflessa. Non sa chi siamo noi. Il ginocchio dorato dell'angelo rivela poi la sua essenza apollinea. Siamo fulminati, infatti dalla sua bellezza. Annientati dalla visione del Dio e dalla sua domanda:
“Chi sei?”
Lo spazio dell'arte, almeno in occidente, rimane l'unico possibile per affrontare una domanda simile. E forse è l'unica tradizione che ci rimane e intendo per tradizione, non tanto un passato da riconfigurare, ma il “filo” dell'essere presenti a noi stessi. Anche il Rinascimento a Firenze ha un significato ermetico ed è questo il suo valore, non certo l'estetica neoclassica. È la rinascita che configura l'archetipo del Dio Apollo (l'influenza spirituale) che fa volgere lo sguardo verso il Santuario di Delphi (il sé).

Atelier Marco BagnoliApertura Atelier Marco Bagnoli, veduta della mostra 2017


Sonovasoro


Suono e suoni. Oltre alla vista dall'alto, un'altra manifestazione della coordinata tempo è il suono. Con la scansione e il ritmo esso accompagna molte delle esposizioni di Marco Bagnoli, ad iniziare dalle prime a cui spesso è associata un'ampolla che emette casuali scoppiettii e lampeggiamenti elettrostatici. Questo livello minimo del suono corrisponde a una disposizione automatica e ricettiva dell'anima dinanzi all'evento artistico, quasi sopraffatta da esso. Nella mostra poi della mongolfiera alla Fortezza da Basso in Firenze, questo effetto dell'ampolla stroboscopica e sonora sottolinea la continua apparizione e scomparsa dei volti nello specchio mercuriale.
Abbandonata l'ampolla Marco Bagnoli abbina altri suoni alle sue installazioni: in Metrica e Mantrica un potente mantra cantato da monaci tibetani, sembra il rumore di una sega elettrica che in un'altra dimensione taglia i legni e dà forma alle sagome esposte nella scacchiera fluida della Cappella Pazzi. In certo modo il suono gracchiante delle rane, associate nelle mostre più recenti al vaso sonoro (Sonovasoro) che è metafora dell'anima, sostituisce nella sua valenza temporale lo scoppiettio dell'ampolla, ma con un significato diverso: mentre il suono dell'ampolla era espressione di una meccanica elettrostatica, quello delle rane è invece suono organico e metafisico, legato alla Palude Notturna (piantagione di canne a quinconce) che l'anima deve attraversare per giungere alla Porta fatale. In un certo senso il suono associato ai lavori di Marco Bagnoli circonda e chiude l'esposizione, come risulta chiaramente nel caso estremo e rivelatore della mostra alla Galleria Pieroni del 1983 che durò esattamente tre minuti, il tempo per un carilion che suonava un minuetto di Mozart di esaurire la propria carica. Bisogna inoltre ricordare la lunga cooperazione con il violinista americano Michael Galasso, che con i suoi concerti e con le sue installazioni sonore ha accompagnato alcune delle opere di Marco Bagnoli, quella con il mimo e musicista Luca Di Volo e, per il suono, con Giuseppe Scali.

Fulvio Salvadori, Suono e suoni, in cat: Marco Bagnoli, a cura di Katalin Mollek Burmeister, Gli Ori, Pistoia, 2007, pp. 47-48.

Tra porta e campana

Tra Porta e Campana. Parola e Immagine. Suono e Luce. Ti chiedo: “C'è forse tra questi binomi una scala crescente o decrescente? C'è una biforcazione più essenziale ancora, per cui le differenze diminuiscono verso l'unità? E per la cui spinta luce si fa suono? O solo: la luce si fa più suono che la porta si faccia campana? Ma non è forse vero anche il contrario? La luce è tanto diversa dal suono quanto lo spazio rispetto al tempo. Ma questo solo lungo una crescita d'immagine, soltanto andando verso una maggiore quantità d'immagine, Porta e Campana sono così diverse in immagine. Perché la campana non suona? Fisicamente, in immagine non suona. La parola campana è qui. Scrivo campana, e posso anche dire campana, ma, come parola, non posso far suonare la parola come suona una campana. Non posso vedere nemmeno la parola in immagine. La parola in immagine è un nome, ma non un suono e la parola suono non suona. Nessuno riceve un suono. Perciò suono è più generale di campana. Tutti i suoni. Non questo o quel suono, ma il suono. Più generale di campana? Ci sono più suoni che campane? Forse sì, ma solo nella mia mente che può emettere numeri all'infinito verso un infinito. Non finito anche se limitato, accerchiato da un unico numero, il numero. Adesso, fuori dalla mente, in realtà non possono esistere più campane che suoni. Cioè ogni emissione di suono proviene da una campana. Tutti i suoni hanno forma di campana, anche se non sono emessi da una campana. Per esempio il suono di una canna non è emesso da una campana, eppure avrà forma di campana. Potrei disegnarla come una linea vagamente parabolica log 0 = - ∞ ecco un suono scritto.

Un’espressione geometrica generale che ha la forma parabolica della campana e che include la canna nella campana. Colpisco la campana con la canna. La intaglio. Definisco il suo spazio girandovi attorno. Scolpisco. Faccio un interno in me, e sono esterno ad esso. Resto tutto esterno. Non creo alcuna atmosfera, nessun colore atmosferico. Sono tutto nel colore. Il colore ha quel colore, ad esempio il rosso. Il capostipite, il testimone del colore è il rosso. Tutto si dilata, l'io ha una estensione massima. lo sono l'estensione. Materiale che si forma in me e che io circondo all'infinito con una grandissima estensione. Colpisco così la campana con il flauto di canna. Non soffio nel flauto. Se soffio, modello dall'interno. Tutto si fa interno. Ad ogni punto interno corrisponde una vibrazione. Sono cavo. Un'unica colonna cava: solo respiro. Atmosfera pregna di nubi terrestri. Un interno che preme verso l'esterno e lo crea plasticamente. Pitturo. Tutto è in vista. Tocco l'immagine con gli occhi. Come se la vista provenisse dall'occhio. L'occhio la emette, la tocca. Se però nel senso del suono si ha una crescita, porta e campana sono più vicini di suono e luce. Suono e luce sono, nel senso del suono, molto più lontani che porta e campana. Entriamo così nel tempo del sogno. Tempo arrovesciato rispetto alla veglia. Un tempo nel quale i fini dettano le cause. La campana come suono apre la porta.”[…]

Tra Porta e Campana, 1996. Testo scritto in occasione della mostra a Sogna (Arezzo), 1996. Pubblicato come giornale IO X TE per la presentazione dell'opera Spazio x Tempo, 2002, divenuta parte della collezione permanente al MART, Museo d'Arte Moderna e Contemporanea di Treno e Rovereto, 15 dicembre 2002.

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