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Museo Marino Marini
ANDATURE II
Elisabetta Di Maggio / Sophie Ko

 
Andature II al Museo Marino MariniElisabetta Di Maggio / Sophie Ko, Andature II, Museo Marino Marini, Firenze. Foto di Serge Domengie


Elisabetta Di Maggio
ANDATURE II
Sophie Ko
a cura di Marcella Cangioli e Antonella Nicola

In continuità con l’edizione precedente, Andature prosegue la riflessione sul nostro essere e stare nel mondo, esseri complessi in continua trasformazione, in una realtà multidimensionale che non può non tenere conto del legame inscindibile che unisce l’Uomo alla Natura, ma anche alle leggi e ai processi evolutivi dell’Universo. Scienza, cosmologia, macro e microcosmo, ecologia, natura e ritmi biologici, dinamiche di confronto e di relazione, equilibri e tensioni, sono questi i temi che scandiscono il cammino dell’uomo lungo la strada della sua evoluzione e che caratterizzano questo progetto definito proprio dal passo, dall’ANDATURA dell’artista, singolarmente o congiuntamente.

Questa seconda edizione vede protagoniste Elisabetta di Maggio e Sophie Ko, due tra le più interessanti artiste del panorama italiano, attive ormai da tempo sulla scena internazionale.
Una mostra che inizia con due opere che rappresentano l’uomo e la civiltà, il suo cammino lungo le ere e la storia -Fez di Elisabetta di Maggio e Atlanti di Sophie Ko- e prosegue conducendoci dentro il tempo e il suo inarrestabile flusso, al centro -tra confronti e similitudini- della poetica delle due artiste, che lo indagano attraverso un linguaggio ricco di riferimenti culturali e poetici.

Andature al Museo Marino MariniElisabetta Di Maggio / Sophie Ko, Andature II, Museo Marino Marini, Firenze. Foto di Serge Domengie


Francesco Guzzetti
Physica curiosa


“Ed è proprio del filosofo questo che tu provi, di esser pieno di meraviglia; né altro cominciamento ha il filosofare che questo”. La sentenza con cui Socrate rassicura Teeteto, smarrito dalle argomentazioni del maestro nell’omonimo dialogo di Platone, riverbera fino a oggi e ci interroga con la stessa forza di secoli fa. Talmente radicata – spesso abusata – nel lessico corrente, la parola meraviglia ha perso molto della complessità della sua storia e del suo significato. Derivante dal latino mirabilia, la sua etimologia definisce innanzitutto le cose che possono suscitare uno sguardo di ammirazione, di attenta concentrazione. Nel corso del tempo, la parola è giunta a definire entrambi i termini della relazione che si instaura tra un oggetto e l’eventuale osservatore: meraviglia come stato d’animo di chi guarda, ma anche come oggetto che si distingue per particolari qualità. Si può provare meraviglia, ma una cosa può anche essere una meraviglia. In questo senso, la parola condivide lo stesso destino di un altro termine, curiosità. In esso si nasconde il sostantivo latino cura. Il curioso è colui che si cura di qualcosa. Al contempo, ciò che suscita attenzione è una curiosità.

Andature al Museo Marino MariniElisabetta Di Maggio / Sophie Ko, Andature II, Museo Marino Marini, Firenze. Foto di Serge Domengie


Di fronte alle opere di Elisabetta Di Maggio e Sophie Ko, si avverte la forza della meraviglia e ci si interroga come se ci si trovasse all’interno di un’antica Wunderkammer (Wunder = meraviglia) o di un Cabinet de curiosités. Nell’immaginario, la stanza delle meraviglie o l’armadio delle curiosità sembrano evocare raccolte di stravaganze, buone a suscitare un interesse superficiale. Non è questo, tuttavia, il significato profondo di quelle raccolte, nate a partire dal XVI secolo. Il lavoro delle due artiste riconduce esattamente alla radice profonda del concetto di meraviglia. La raccolta di mirabilia era la forma più alta dell’ambizione utopica di incarnare e racchiudere un atlante del mondo in uno spazio ristretto. L’esplorazione del mondo nella sua multiformità e nelle sue profonde ragioni costituiva l’obiettivo ultimo di una Wunderkammer. Come punti di contatto e luoghi di mediazione, le opere delle due artiste riconducono entro lo spazio dell’arte l’infinita varietà del mondo, danno forma visibile a condizioni di esistenza e a possibilità di conoscenza che permeano in profondità la nostra esperienza delle cose. Non è un caso che sia l’avverbio greco μεταξύ (Metaxy) a dare il titolo a un lavoro di Sophie Ko, a ribadire quella condizione di mediazione tra dimensioni diverse che, nella tradizione filosofica platonica, è la caratteristica distintiva delle forme esplorate dalla conoscenza a partire dall’esperienza del mondo.

Andature al Museo Marino MariniElisabetta Di Maggio / Sophie Ko, Andature II, Museo Marino Marini, Firenze. Foto di Serge Domengie


Raccogliere mirabilia è dunque, secondo tradizione, l’unica modalità possibile per trattenere una traccia viva, un’impronta della natura da offrire alla conoscenza. Raccogliere mirabilia implica la volontà di ricreare la condizione di meraviglia attraverso cui l’uomo penetra i segreti del mondo. I lavori di Elisabetta Di Maggio e Sophie Ko sono il risultato della distillazione dell’esperienza, il precipitato della natura delle cose. Essi racchiudono la visione e l’utopia dell’atlante, dell’enciclopedia, della raccolta, e al contempo accolgono l’indeterminatezza, la possibilità di esistenza come margine necessariamente sfuggente alla comprensione. L’essiccazione delle foglie è il primo motore di un processo che, nelle opere di Elisabetta Di Maggio, culmina con un chirurgico lavoro di intaglio che rivela le nervature della foglia stessa. L’infinito intreccio di canali che ne deriva è impronta della vita naturale e al contempo simbolo di uno scheletro come struttura, rete, condizione necessaria di esperienza del mondo. Oltre la soglia fissata dalle opere dell’artista si nasconde il labirinto, ma esso rimane distante dal suo orizzonte. Ogni lavoro è in bilico, si insinua nel solco che è l’equilibrio dinamico tra un sistema e la sua scomparsa, tra la planimetria di una città e i meandri impossibili della perdita di orientamento. Le polveri, le ceneri, i puri pigmenti dei lavori di Sophie Ko si dispongono secondo ordini imprevisti, cadono come terre franate, stratigrafie di pura immaginazione, che conservano però la forza ancestrale di conformazioni geologiche provenienti da luoghi e tempi impossibili da determinare. La caduta delle particelle non è solo sottoposta al puro peso di gravità, ma accoglie improvvise inclinazioni, variazioni di rotta. Come nella teoria del clinamen, dell’inclinazione di Lucrezio, è la variazione nel moto delle particelle – “nec regione loci certa nec tempore certo” – che costituisce l’indeterminatezza della natura delle cose, dalla quale si genera la meraviglia. Sospesi tra geografia e geologia, i lavori delle due artiste sono mappature, carotaggi, prelievi di porzioni di meraviglia. Non a caso, i titoli dei lavori di Sophie Ko spesso evocano la geografia o l’atlante, come modalità di restituzione del mondo alla sua natura primaria di movimento, stratificazione o espansione, attraverso la ricomposizione di tracce e frammenti.

Andature al Museo Marino MariniElisabetta Di Maggio / Sophie Ko, Andature II, Museo Marino Marini, Firenze. Foto di Serge Domengie


I lavori di Elisabetta Di Maggio e Sophie Ko sono affacci sulla natura delle cose. Non c’è romanticismo, non c’è nostalgia. L’utopia delle due artiste si regge sulla solida e profonda consapevolezza della complessità del reale, capace anche di aprirsi a venature di natura politica o sociale. Ad esempio, la mappa di una città, l’utopia della geografia come immagine del mondo, può diventare riflessione sui modelli storici della dominazione europea. E dunque nei loro lavori il significato più autentico della meraviglia, platonicamente intesa come base della filosofia, riverbera con intensità e giunge allo sguardo che vi si posa sopra. L’esplorazione della meraviglia è, in fondo, l’utopia della scienza. In questo senso, le due artiste sembrano rievocare una secolare tradizione di letteratura manualistica, enciclopedica e filosofica che ha descritto e analizzato la meraviglia che il modo dischiude, cercandone una mappatura “scientifica”. Recependo una precedente tradizione greca, Plinio il Vecchio investigò i mirabilia in quel compendio della conoscenza universale del mondo noto come Naturalis historia. L’impegno dell’indagine portò l’autore latino a chiarire, in taluni casi, che ciò che era stato creduto fino a quel momento non fosse vero, e che dunque “falsum esse confidenter existimare debemus aut credere omnia quae fabulosa tot saeculis conperimus”. Basta la natura stessa del mondo a generare meraviglia, senza bisogno di invenzioni o finzioni.

Andature al Museo Marino MariniElisabetta Di Maggio / Sophie Ko, Andature II, Museo Marino Marini, Firenze. Foto di Serge Domengie


Analogamente, nella pratica delle due artiste, non ci sono favole, evasioni. Ciò che è evocato, è evocato dalla necessità della materia e dall’essenzialità del gesto. La durezza della natura essiccata, l’esattezza di un intaglio nella consistenza profumata del sapone o della traiettoria del volo di una farfalla, così come l’accumulazione del puro pigmento, il disegno imprevedibile delle ceneri e della polvere, il tremolio attutito della luce su strati di superfici porose, bastano a sé stessi. La conformazione e le proprietà dei materiali e delle materie impiegati sono esibiti nella loro naturalità, nella loro fisicità, semmai ricomposti in forme necessarie a farne emerge l’insita e connaturata meraviglia.
È significativo osservare come il secolo della meraviglia barocca, il Seicento, sia stato anche attraversato da correnti e figure fondanti della scienza intesa in senso moderno. La possibilità del metodo sperimentale, la vertigine della raccolta enciclopedica ove catalogare la varietà infinita del mondo, caratterizzavano il lavoro di scienziati e pensatori, nello stesso tempo in cui il maggiore autore della nostra letteratura barocca, Giovan Battista Marino, tuonava contro i rivali con il celebre ammonimento: “È del poeta il fin la meraviglia / (parlo de l’eccellente e non del goffo): / chi non sa far stupir, vada alla striglia!”.

Andature al Museo Marino MariniElisabetta Di Maggio / Sophie Ko, Andature II, Museo Marino Marini, Firenze. Foto di Serge Domengie


Anche la scienza era una forma di stupefazione per i mirabilia naturae, da indagare e di cui conservare traccia in musei reali o letterari. Fu in quel torno di tempo che fioccarono monumentali enciclopedie in cui pensatori, come i gesuiti tedeschi Gaspar Schott e Athanasius Kircher, raccolsero i frutti di ricerche poderose, anticipatrici di un pensiero scientifico della meraviglia. A Schott si devono alcuni testi fondamentali, come l’enciclopedia in dodici volumi dal titolo Physica curiosa, in cui il mondo è catalogato e studiato come in un museo immaginario. La cura con cui Elisabetta Di Maggio e Sophie Ko integrano cornici, piedistalli, teche – addirittura un rivestimento in tela simile alla legatura di un libro – a protezione e svelamento delle proprie opere, risente dello spirito delle Wunderkammer e dei cabinets degli scienziati di quel tempo.

Andature al Museo Marino MariniElisabetta Di Maggio / Sophie Ko, Andature II, Museo Marino Marini, Firenze. Foto di Serge Domengie


La presenza così insistita di teche e cornici sottolinea l’intima fragilità di ciò che in esse è contenuto. La delicatezza è del resto attributo specifico della meraviglia. Fermarla nel tentativo di sottrarre alla caducità inevitabile un frammento delle cose è il compito di chi, del mondo, vuole cercare di conoscere le leggi e l’armonia. Consapevoli dell’impossibilità di portarla a compimento, Elisabetta Di Maggio e Sophie Ko si fanno comunque carico dell’esplorazione. Non rifiutano l’utopia, né la sublimano, ma la accolgono nella propria pratica, con la stessa delicata ostinazione con cui raccolgono e osservano lacerti e ceneri dell’esperienza. Come padre Athanasius Kircher, “in labyrintho […] Mundi errantem e laborantem”, le due artiste vagano ed esplorano i meandri del “geocosmo”, della tessitura di connessioni e della stratificazione che ne caratterizzano l’essenza, restituendocene per frammenti, protetti entro teche, la semplice, indeterminabile, infinita meraviglia. Ed è la meraviglia, nella complessità del suo significato originario, a costituire l’unica forma possibile di resistenza e sopravvivenza di uno sguardo autentico su ciò che ci circonda e sulle nostre possibilità di risonanza interiore. Un’autenticità tanto antica, quanto mai così necessaria come in questo tempo.

Francesco Guzzetti

Andature al Museo Marino MariniElisabetta Di Maggio / Sophie Ko, Andature II, Museo Marino Marini, Firenze. Foto di Serge Domengie


 


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