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Raffaele Di Vaia | Rachel Morellet
JE VOIS DE LA LUMIÈRE NOIRE
a cura di Špela Zidar

 
Špela ZidarJe vois de la lumiere noire Foto Eva Sauer


"Je vois de la lumière noire" a cura di Špela Zidar presso la SACI Maidoff Gallery è una doppia personale di Raffaele Di Vaia e Rachel Morellet, due artisti che lavorano in Toscana e che per la prima volta espongono insieme esplorando la convergenza tra le loro pratiche artistiche giustapponendo due soggetti a cui spesso si riferiscono nel loro lavoro presenza e assenza. Questi soggetti sembrano molto chiaramente definiti ma il loro significato diventa ambiguo nelle opere di Raffaele e Rachel. "Je vois de la lumière noire" (“Vedo una luce nera”) le ultime parole di Victor Hugo si riferiscono a un ossimoro, cioè luce nera, la luce che nasconde quando dovrebbe rivelare. Come nelle opere di Raffaele e Rachel che rendono visibile attraverso l'occultamento o scoprono i pezzi del nascosto, non potendolo svelare interamente. Il pennarello nero nella serie di Rachel "Marks" invece di nascondere rafforza la presenza degli intrusi, oggetti abbandonati nell'ambiente naturale. Mentre la serie di disegni su carta nera "Sul diciannovesimo gradino", di Raffaele Di Vaia, presenta le sfere luminose che emergono dallo sfondo nero, apparentemente vuote ma contenente ciascuna una storia diversa, una parte del nostro universo, come descritto nell'Aleph, racconto di Jorge Luis Borges al quale si riferisce anche il titolo dell'opera di Raffaele. Per l'occasione gli artisti hanno creato “The Gaze” una video-installazione a quattro mani. Su un cielo notturno attraversato da nuvole e foschie, lentamente emerge una lettera che da inizio alla successione di parole scritte da Rachel una sera osservando le stelle: “È come per le stelle, ne percepiamo meglio la luce se non le guardiamo direttamente ma se volgiamo leggermente di lato lo sguardo”. Ed è proprio questo guardare leggermente di lato che accomuna la pratica dei due artisti.

ŠZ - "Je vois de la lumière noire" è una doppia personale che cerca quindi di raccontare le dualità intrinseche nel mondo e che Raffaele Di Vaia e Rachel Morellet affrontano nella loro pratica artistica. È proprio questa affinità che vi ha portato a lavorare insieme per la prima volta nonostante vi conoscete già da diversi anni? Come si è sviluppata l’idea di collaborazione?

RDV - La mostra è conseguenza prima di tutto di una lunga amicizia e stima reciproca che ci ha visto nel tempo e in tante occasioni collaborare assieme in numerosi progetti artistici legati ai rispettivi spazi espositivi: ArtForms per Rachel e Studiomdt per me. Questa continua collaborazione ha inevitabilmente richiesto un confronto anche sulla personale produzione artistica. Quindi discutendone insieme è risultato subito evidente il concetto di ambiguità che, anche se con linguaggi decisamente diversi, entrambi esprimiamo nel nostro lavoro.

RM - Credo che la spinta a lavorare insieme sia stata un modo per rafforzare un rapporto che dura da ben 15 anni. Abbiamo una reciproca ammirazione per il lavoro l’uno dell’altro. Infatti Raffaele mi ha invitata allo studio MDT nel 2009 per la mostra HSP e a sua volta Raffaele ha presentato una sua personale a Vinci, nel mio studio/galleria di allora.
Essendo entrambi maturati nel nostro lavoro credo che abbiamo avuto necessità di confrontarci maggiormente.

Rachel MorelletRachel Morellet, Je vois de la lumiere noire Foto Eva Sauer

ŠZ - Raffaele, hai prodotto un lavoro ex nuovo per la mostra mentre quello di Rachel è una serie che era iniziata nei primi mesi del 2018, come hai trovato questa modalità e in che maniera ti sei ispirato o adattato all’opera di Rachel?

RDV - È sì una produzione nuova, ma conseguenza di un processo cominciato due anni prima con l’opera “Corpi” dove si pone l’attenzione sul punto come limite del disegno: elemento che in matematica non ha dimensione e che senza di esso non c’è disegno, ma dal momento che si palesa è esso stesso disegno. Quindi questo concetto di “assenza/presenza” ben si sposava con la recente produzione di Rachel dove la negazione (omissis) di una parte dell’immagine ne sottolinea in realtà la presenza.

ŠZ - Cosa aggiunge il dialogo, il confronto tra le vostre opere all’opera singola?

RDV - Nonostante le opere abbiano vita autonoma e modalità narrativa completamente diversa, nel confronto che abbiamo creato tendono a completarsi vicendevolmente ma senza fisicamente incontrarsi. Questo è molto evidente nell’allestimento dove Rachel ha sviluppato il lavoro totalmente in orizzontale occupando il percorso a pavimento, mentre io, occupando completamente le pareti ho distribuito il lavoro esclusivamente in verticale.

RM - Prima di tutto le rispettive opere si rispecchiano l’una nell’altra, sia nel concetto che nella forma. Questo ci ha permesso di stimolare maggiormente i nostri impulsi creativi permettendoci di sviluppare nuovi percorsi nella propria opera, anche durante la mostra stessa. Infatti Raffaele ha progettato un nuovo lavoro che fosse in dialogo col mio ma conseguenza di un percorso già avviato. Mentre per me si è sviluppata una nuova declinazione del progetto esposto.

Raffaele Di VaiaRaffaele Di Vaia, Je vois de la lumiere noire Foto Rachel Morellet

ŠZ - Avete prodotto anche un’opera a due mani: avevate bisogno di intrecciare le vostre ricerche ancora di più?

RDV - Non saprei, ma è evidente che nel mio processo creativo, di base molto chiuso, si stia lentamente inserendo la possibilità/necessità di aprirmi a un dialogo in quegli ambiti dove la mia conoscenza è carente. Esempio palese è stata la collaborazione attiva dei musicisti Alessandra Panerai e Francesco Pellegrino per la realizzazione della performance “SxT” presentata a ottobre del 2017.

RM - A proposito dell’opera a due mani, personalmente stavo cercando da diversi tempi di introdurre il testo nel mio lavoro. Ho quindi proposto a Raffaele una frase che enunciai parecchi anni fa, durante una conversazione con un giovane poeta. Questi rimase così colpito da decidere di seguirmi per tutto il giorno, perfino vegliando su di me per tutta la notte. Quando mi svegliai lui però non c’era più e non l’ho mai più rivisto. Ho quindi scritto la frase e messa in un cassetto.
Essa è tornata fuori perché ci sembrava riassumesse bene la convergenza dei nostri lavori rispetto al tema della mostra Presenza/Assenza. Raffaele ha poi sviluppato l’idea di declinarla in video a cui poi insieme abbiamo dato forma.

ŠZ - Il lavoro è presentato in maniera molto scientifica, la ripetizione degli moduli quadrati quasi monocromi, le fotografie come reperti museali nelle teche. Come è legata al vostro lavoro?

RDV - Nel mio percorso l’approccio scientifico, che si riflette poi in una ricerca analitica e una produzione ripetitiva ma impercettibilmente mutabile, è da sempre presente. Inoltre negli ultimi lavori il riferimento alla ricerca scientifica è dichiarato esplicitamente facendo spesso riferimento a teorie sia di matematica che di fisica e al tempo stesso prendendo a prestito immagini o elementi grafici di queste discipline.

RM - Siamo tutti e due abbastanza razionali e amanti di un’estetica pura o minimale quindi il rigore appare inevitabile. Nel mio caso il fatto che abbia presentato le fotografie in teche di legno, che ho appositamente disegnato, è una diretta referenza al sistema di presentazione dei reperti nei musei di scienze naturali. Gli oggetti abbandonati nel bosco dall’uomo possono essere ormai considerati i reperti archeologici del futuro. Tracce che l’uomo lascia e che la terre ingloberà. Le mie fotografie sono quindi, possiamo dire, una eventuale ricerca antropologica del futuro.

Rachel MorelletRachel Morellet, Je vois de la lumiere noire Foto Eva Sauer


ŠZ - Il titolo Je vois de la lumière noire è un ossimoro, come accendere la luce per non vedere o per nascondere, ma forse è proprio il contrario. Tutti e due utilizzate il nero per rivelare qualcosa.
Nelle serie Marks Rachel copre con il pennarello nero i soggetti fotografati, segnando così un percorso. Infatti l’opera è un percorso, un ritrovamento del nascosto che l’artista cerca di nascondere un’altra volta rafforzando così la sua presenza?

RM - Questi oggetti nascosti da me con il pennarello indelebile sul sopporto fotografico, per rafforzare l’idea di perennità, sono oggetti che ho incontrato durante le mie passeggiate. Quindi la serie di fotografie illustra in effetti un percorso, il mio ma anche quello di chiunque, in cui è possibile fare questo tipo di incontri. Residui dell’umanità presenti ormai, con più o meno intensità, in ogni parte del mondo.
Mi intriga molto il gesto stesso di buttare, di lasciare i rifiuti nella natura. L’uomo l’ha fatto per migliaia di anni e la natura li ha riassorbiti e ritrasformati essendo questi biodegradabili. Da 50 anni invece non lo sono più, ma l’uomo attuale sembra non prendere in considerazione questa differenza. Mi affascina il fatto che creda che semplicemente nascondendo i rifiuti nel bosco o nell’ambiente naturale, questi spariranno. Come se si facesse affidamento a madre natura di occuparsene.
Cosi nascondendoli a mia volta sulla carta, colorandoli di nero profondo, ho voluto riprodurre questa caratteristica della psicologia umana, al fine di puntare metaforicamente una luce sopra.

Raffaele Di VaiaRaffaele Di Vaia, Je vois de la lumiere noire Foto Rachel Morellet


ŠZ - Raffaele, le tue opere cristallizzano le sfere di luce sullo sfondo nero e rendono visibili le immagini che esse contengono. Senza lo sfondo nero queste forse non sarebbero state percepite? Cosa contengono?

RDV - Il titolo dell’opera “sul diciannovesimo gradino” è una citazione dal racconto “Aleph” di Jorge Luis Borges dove il protagonista, chiusosi all’interno di una cantina immersa completamente nel buio e osservando al di sopra del diciannovesimo gradino della scalinata di accesso, ha l’opportunità di vedere l’Aleph: un punto in cui si può osservare tutto l’esistente e nello stesso istante. Questa idea di fusione dello spazio e del tempo ben si sposava con gli ultimi lavori relativi, come accennavo sopra, all’elemento “punto” come limite e totalità del disegno. Ho deciso quindi di raccontare questa visione proponendo dei disegni circolari di circa tre centimetri di diametro (proprio come indicato nel racconto), al cui interno fossero presenti immagini relative al mio vissuto, come infondo fa anche Borges essendo in grado di descrivere solo ciò che già conosce.
Ho utilizzato come fondo delle grandi carte nere in cui l’occhio potesse sprofondare e per i disegni la grafite che, per effetto del fondo scuro, da segno grigio diventa metallico e riflettente. Non essendo i fogli illuminati direttamente, lo spettatore deve cercare il disegno spostando lo sguardo fino a che la grafite non riflette la luce e ne rende quindi leggibile il contenuto: proprio come fa il protagonista del racconto, che per poter scorgere l’Aleph deve coricarsi sul pavimento e utilizzare un particolare cuscino che gli permetta di mettere la testa nella giusta inclinazione.
Insomma, il lavoro racconta un cortocircuito tra assenza e presenza, dove il vuoto contiene, negando così se stesso, un unico elemento che ha al suo interno il tutto e quindi il vuoto stesso.

Rachel MorelletRachel Morellet, Je vois de la lumiere noire Foto Eva Sauer

ŠZ - Entrambi lavori esprimono un percorso con diverse possibilità di lettura, per Rachel esterno, descrittivo mentre per Raffale molto più personale, intimo. Si potrebbe dire che utilizzate il nero e la luce/bianco, proprio per fare vedere che non tutto sia bianco e nero?

RDV - L’intera mia produzione gioca sia sull’impossibilità di decretare un giudizio definitivo, sia sulla difficoltà della comprensione totale e/o di avere visione d’insieme: quando si illumina un oggetto ne si lascia inevitabilmente in ombra la parte opposta e il problema non si risolve spostando la fonte luminosa sul lato in ombra.

RM - “Fare vedere”, credo siano queste le parole chiave. L’arte permette allo spettatore di affinare il suo sguardo, lo stimola sia a livello visivo che intellettuale. E questo gioco tra spettatore e opera è un aspetto ricorrente nel mio lavoro, offro sempre una chiave di lettura che permette poi di ampliare il proprio sguardo.
Con la mostra abbiamo declinato questo aspetto sia con le rispettive opere ma anche con un lavoro a quattro mani.
Raffaele indaga la messa a fuoco, un punto preciso dove tutto può essere visto. Io cerco di dirigere lo sguardo verso un certo fatto. Con il video proponiamo l’esistenza di uno sguardo oltre le cose, come metafora della vita subconscia e la difficoltà di mettere in luce situazioni, eventi o il senso stesso della vita.

Raffaele Di VaiaRaffaele Di Vaia, Rachel Morellet, The Gaze, 2018



 

Raffaele Di Vaia e Rachel Morellet
JE VOIS DE LA LUMIÈRE NOIRE
a cura di Špela Zidar
Site : SACI Maidoff Gallery
@ 2019 Artext

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