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Deutscher Pavillon
ANKERSENTRUM
Natascha Süder Happelmann

 
Natascha Süder Happelmann



Natascha Süder Happelmann
ANKERSENTRUM (SURVIVING IN THE RUINOUS RUIN)

Venezia, 8/5/2019 – Alcuni spazi nascono già come rovine e sono pertanto irreparabili. Ma le rovine possono provocare danni permanenti e restare rovinose per sempre?

In occasione della 58. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia l’artista Natascha Süder Happelmann e la sua portavoce personale Helene Duldung, già apparse insieme alla prima conferenza stampa del Padiglione Germania lo scorso ottobre, presentano al pubblico il loro contributo artistico: per tutta la durata della Biennale Arte 2019 il Padiglione Germania sarà dichiarato “Ankersentrum”.

Alla ricerca di forme in continuo mutamento e di possibilità di sopravvivenza, resistenza e solidarietà, le rovine sono occupate, riadattate, ricostruite, abitate. Perdono d’importanza, mentre la loro appropriazione si rende più urgente.

L’Ankersentrum è composto da un’installazione immersiva che riconfigura lo spazio del Padiglione Germania attraverso elementi architettonici, scultorei e sonori e lo trasforma in un’esperienza sinestetica per il visitatore. Sei musicisti e compositori, con stili e linguaggi diversi, hanno contribuito alla realizzazione dell’installazione sonora tribute to whistle. Lo strumento principale è il fischietto, il cui suono penetrante è stato rielaborato in una molteplice varietà di ritmi e suoni. Ciascun contributo sonoro è stato registrato su otto canali e sarà riprodotto, in costellazioni mai uguali tra loro, da 48 altoparlanti distribuiti su una struttura di impalcature. Il visitatore, interagendo con la struttura attraverso il suo movimento all’interno del Padiglione, contribuirà a generare uno spazio sonoro cangiante.

Contemporaneamente all’apertura dell’Ankersentrum, il terzo e ultimo video di Natascha Süder Happelmann sarà pubblicato sul sito del Padiglione Germania: www.deutscherpavillon.de e sui diversi social media dell’artista. Con questo capitolo si conclude la trilogia che ha segnato l’approdo all’Ankersentrum. I video testimoniano e mettono in relazione, senza commento, gli AnkERzentren (“centri di ancoraggio” per richiedenti asilo) in Baviera, i campi di pomodori in Puglia e una nave di salvataggio nel porto doganale di Trapani.

Natascha Süder Happelmann Natascha Süder Happelmann, Ankersentrum, German Pavilion 2019. Sound installation.


Altro importante contributo al progetto artistico del Padiglione Germania è la pubblicazione Ankersentrum (surviving in the ruinous ruin) concepita da Maziyar Pahlevan ed edita da Archive Books. Il progetto editoriale contiene poesie, disegni, fotografie e testi di Natascha Süder Happelmann, Nida Ghouse, Franciska Zólyom, Helene Duldung, Rheim Alkadhi, Aino Korvensyrjä, David Jassey, Rex Osa, Jasper Kettner, Fritz Lazlo Weber e Felix Meyer.


Entre Chien et Loup (Extrait)
di Franciska Zólyom.

Il ritorno dei lupi non è senza precedenti. Il controverso rapporto tra l'uomo e il lupo, da sempre caratterizzato da sentimenti ambivalenti di ammirazione e antagonismo, è stato trattato in moltissimi racconti popolari, miti e leggende. Il mito del lupo suscita fascinazione e al contempo paura: l'uomo che si trasforma in uomo-lupo feroce, assetato di sangue.

Tra il XIII e il XVII secolo questa credenza si diffonde in maniera così preponderante nell'immaginario collettivo europeo che anche i presunti lupi mannari, come già le streghe, sono bruciati sul rogo. La leggenda della caccia al lupo coincide inoltre con la fondazione degli Stati sovrani e con l'affermarsi del concetto di cittadinanza. Si tramanda e si dispiega attraverso distinzioni e dicotomie: vita selvatica e domesticazione, uomo e natura, sostanzialità e mobilità prosperità e indigenza.

Natascha Süder HappelmannNatascha Süder Happelmann, onco-mickey-catch, 2016, Installationsansicht Neuer Berliner Kunstverein, 2016, Foto Jens Ziehe


In Homo sacer Giorgio Agamben indaga mettendo in relazione la figura dell'uomo, confrontando le sembianze del lupo con quella del friedlos, ovvero l’uomo che non ha pace, con il bandito o fuorilegge che è espulso dalle comunità; il bando o “condizione liminale del bandito” (1) trova la sua corrispondenza nell’uomo-lupo o lupo mannaro: creatura metà uomo, metà bestia. Come l’homo sacer, che secondo il diritto romano non era sacrificabile ma poteva tuttavia essere ucciso da chiunque impunemente, anche l'uomo lupo dimora nei luoghi liminali tra natura e cultura, è in contesa per entrambi, ma non appartiene a nessuno di essi. La soglia tra physis (legge naturale) e nòmos (legge umana e divina), e la violenza insita in questo spazio indistinto, non descrivono soltanto la condizione pre-giuridica, cioè lo stato di natura che precede l'istituzione dei diritti civili e la fondazione della socìetas. La violenza perpetuata inpunemente sulla “nuda vita” del bandito, dell'homo sacer, è il presupposto permanente “dell'altro politico autentico” (2), è il fondamento del potere sovrano.

La relazione che lega diritto e violenza è messa chiaramente in luce nello stato di eccezione: nell'istante in cui si sente minacciato da un conflitto fra Stati o da una guerra civile, il potere sovrano rivela la sua natura profondamente violenta (e qui riecheggia il concetto hobbessiano di homo homini lupus est: “ogni uomo e lupo per l'altro uomo). Il campo di sterminio è lo spazio extragiuridico in cui questa violenza connaturata al diritto si estende nella maniera più aberrante.

Natascha Süder Happelmann Natascha Süder Happelmann, Pssst Leopard 2A7+, 2013–ongoing. Ausstellungsansicht Accentism, Taxispalais Kunsthalle Tirol, 2017


La zona indiscernibile fra l'esclusione e l'inclusione, presente in ogni società o Stato, è il paradosso già affrontato da Roland Barthes: “l'escluso è incluso (nella società) senza perdere il suo statuto di escluso”. Ovvero è “incluso in quanto individuo esiliato ed emarginato”. (3) E’ dunque facile immaginare come lo stato di eccezione dal diritto possa non soltanto essere prolungato, ma possa anche trasformarsi in una condizione di emergenza permanente, così che l'esclusione inclusiva possa legittimare, a propria discrezione l'uso della violenza.

In Grammaire africaine (4) Roland Barthes analizza la retorica del potere coloniale francese in Algeria e in Marocco e parla di un “uso del linguaggio assiomatico” che scredita le popolazioni indigene, svaluta le strutture locali e normalizza il dominio coloniale. Il linguaggio assiomatico trasforma il significato delle parole nel loro contrario, allo scopo di affermare e legittimare la dominazione straniera.

La combinazione di attribuzione, dominazione e mascheramento non è esente dalla retorica del discorso politico contemporaneo. Abbiamo esempi di questo lessico nel momento in cui un qualunque scontro armato viene esaltato come lotta di liberazione, quando una vittima di violenza è degradata a persona sospetta, quando i centri di prima accoglienza che annientano i valori di comunità vengono definiti strutture residenziali collettive o quando gli immigrati e le persone che li assistono sono criminalizzati. La “cultura di accoglienza” vuole che i migranti siano chiamati “ospiti”, così che i termini di ospitalità - ovvero il dove, il quando e il come essere ospiti - possano essere prescritti e stabiliti. Di fatto, anche il loro nome è richiesto unicamente allo scopo di registrarli, identificarli e classificarli. Questa retorica ha quindi escogitato una terminologia per così dire “cosmetica” e concetti quali “tolleranza” o Ankerzentrum”. I migranti tuttavia percepiscono gli affetti di questo lessico ben prima di riuscire a coglierne appieno il significato o di capire di non essere né ospiti né tantomeno benvenuti.

Natascha Süder Happelmann Natascha Süder Happelmann, Ankersentrum 2019, Press Preview, Photo Jasper Kettner.


Oggi i processi migratori coinvolgono globalmente oltre 250 milioni di persone. Secondo Avery F. Gordon il transito migratorio ha conseguenze oggettive. Sottoporsi ai controlli alle frontiere significa infatti non potersi mai muovere da soli. (5) “La persona che non si muove mai da sola” vive da decenni in una zona extraterritoriale e “transitoria” quale è il campo profughi, è schiacciata contro centinaia di corpi a bordo di un gommone in mare aperto, condivide la stanza sovraffollata di un “centro di prima accoglienza”, esiste senza diritti civili (come cifra oscura), lavora nei campi o in fabbrica senza diritti, con il corpo degradato a strumento di lavoro, in condizioni inaccettabili. Questa persona è emarginata, inglobata all'interno delle logiche di sfruttamento neoliberaliste e nazionaliste.

Ma non è forse questa la persona che ci insegnerà il vero significato di comunità - quella persona con cui il “soggetto universale” che può invece muoversi liberamente condivide così poco, con cui crede di avere così poco da condividere e con cui è poco pronto a condividere? Non è forse questa la persona che, erede di secoli di assoggettamento, ha imparato che lo sfruttamento delle risorse naturali e la distruzione delle strutture sociali per soddisfare l’accumulo sfrenato di merci e di capitale sono concetti dannosi che innescheranno una crisi distruttiva senza via d'uscita o possibilità di ritorno? Non è questa la persona che ha capito che non si potranno (più) fare distinzioni tra uomo e uomo, uomo e natura, esistenza soddisfacente e non soddisfacente?

La consapevolezza di queste conseguenze disastrose che daranno vita al “soggetto universale” dell'epoca moderna è con esso alla globalizzazione del capitale attraverso l'impoverimento delle risorse naturali, sociali e intellettuali non è certamente nuova, né oscura. Fino a quando la consapevolezza rimane occultata, chi perpetua questo stato delle cose passivamente o chi lo subisce senza ribellarsi ne è responsabile e complice gli stesso. Come si attiva allora questa consapevolezza? Si può pensare che avvenga attraverso la figura del testimone che incarna la nozione di “senso” e del “con” tematizzata da Jean Luc Nancy? Per André Lepecki la qualità estetica e politica della testimonianza risiede invece nella “relazione attiva della storicità dell'evento”.(6) Da qui l’urgenza di cogliere e di far comprendere l'intero spettro di possibilità future e la complessità di questo “evento”. Per esempio attraverso l'applicazione del concetto di “altrove nella presenza” (Trinh T. Minhha) -da non intendersi in senso puramente temporale né in senso puramente spaziale - che riconosce le problematiche di natura ecologica, sociale, culturale, economica e politica connesse all’impoverimento delle risorse e che invita ad affrontarle e a risolverle in maniera attiva.

Natascha Süder Happelmann Natascha Süder Happelmann, Ankersentrum, German Pavilion 2019 Photo Jasper Kettner.


In conclusione: se si potesse ipotizzare un modello di ospitalità radicale che escluda per sempre il ruolo “dell'eterno padrone di casa” (che con generosa umanità accoglie tutti, parla a nome di tutti e indica ai suoi ospiti dove sedersi, come comportarsi), questa ospitalità, per parafrasare Roland Barthes, si esprimerebbe attraverso un sentimento di stretta appartenenza in cui esistono “soltanto nomi, essenze, non ci sono figure, ma assenze”.(7) Questo tipo di ospitalità radicale inviterebbe dunque a rimpiazzare la consolidata teoria estetica del soggetto (non così tanto) “universale” con i concetti di “essere-in-comune” e “divenire-con” (Donna Haraway), e dunque a riformulare nuovi modi di vedere, sentire e parlare.

Un incontro in cui tutti sono contemporaneamente ospiti e padroni di casa sarebbe un evento incredibilmente gioioso, una manifestazione sentita, tacita, vociante, danzante e commovente di reciproca responsabilità. Un'estetica che nelle parole di Bell Hooks “più di filosofia o teoria dell'arte e della bellezza; è un modo di arbitrare lo spazio, un luogo specifico, un modo di guardare e divenire (8) un'estetica racchiusa nella forza sociopoetica della trasformazione.

 
Natascha Süder Happelmann Natascha Süder Happelmann, Ankersentrum, German Pavilion 2019 Photo Jasper Kettner.


1- Giorgio Agamben, Homo Sacer. Sovereign Power and Bare Life. Stanford, CA: Stanford University Press, 1988, p 63.
2- Ibid., p.64.
3- Roland Barthes, Wie zusammen leben. Simulationen einiger alltaglicher Raume inm Roman. Lezione tenuta presso il College de France 1976-1977. Frankfurt am Main: Suhrkamp, 2007, p. 143.
4- Roland Barthes, Grammaire africaine, in Mythologies, Paris: Editions du Seuil, 1957.
5- cfr. Avery F. Gordon, Migration - Talking Migration, presentazione nell'ambito di 100 Jahre Gegenwart, 24/3/2017, Haus der Kulturen der Welt, Berlin (Http://www.hkw.de/en/app/mediathek/video/55799)
6- André Lepecki, Singularities: Dance in the Age of Performance. New York / London : Routledge, 2016, p. 180.
7- Barthes, Wie zusammen legen, p. 171.
8- bell hooks, Belonging. a culture of place, New York / London : Routledge, 2009, p. 122.

 

Natascha Süder Happelmann
ANKERSENTRUM (SURVIVING IN THE RUINOUS RUIN)
A cura di Franciska Zólyom
Padiglione della Germania alla 58. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia
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