Xing presenta il nuovo LP L’altro Hotel di Michele Di Stefano, diciannovesima uscita di XONG collection - dischi d'artista. L’uscita è su vinile bianco, in edizione limitata e numerata di 150 copie, assieme ad una tiratura di 20 collector’s edition accompagnate ciascuna da un set di foto-cartoline pseudo-esotiche scattate dall’artista, con note e appunti originali.
L’altro Hotel è un progetto discografico concepito e realizzato da Michele Di Stefano che fa collimare in maniera lucida e divertita frammenti di una vasta collezione di memo vocali raccolte in giro per il mondo come un catalogo di suoni localizzati, momenti precisi dell’esperienza personale. Convertendo il riferimento diaristico e individuale in un oggetto fruibile da chiunque, l’elaborazione del disco è consistita nella trasformazione di queste registrazioni in brani di musica ‘situazionata’, ispirati da fantomatiche teorie sull’ascolto non selettivo (‘placed music’ o ‘accanto theory’) e presentati sotto forma di un programma radiofonico ormai alla sua cinquantesima puntata. Michele Di Stefano, il conduttore, li contestualizza secondo i canoni del giornalismo musicale: titolo, band o artista, aneddoti relativi alla creazione del brano, tecniche di registrazione, fantasie etnomusicologiche e altre notizie sparse. Il risultato è una fuga dal field recording e dalla letteratura di viaggio, con l’approdo ad un territorio più complesso, dove finzione e realtà cospirano per immergere l’irrequietezza dello spostamento in una foschia condensata dal potere immaginifico del suono. L’autore espone attraverso queste credibilissime ‘fake news’ una visione del fare arte a 360 gradi. Le hits di improbabili artisti quali Marina Lee Orghad o Jonathan Evelos si intrecciano con un mix di atmosfere, paesaggi, prospettive che connettono Tunisi, i Traghetti Grimaldi Lines, il Marais parigino, la Reserva Nacional Tambopata in Perù, i tram di Roma, i fiumi del Botswana…
Michele Di Stefano
L’altro Hotel
Record launch
Fabbrica Europa
D – Puoi raccontare la nascita di questo progetto e come hai trovato la chiave per trasformare le tue esperienze personali in un lavoro pubblico come L’altro Hotel?
Di Stefano – Il lavoro nasce da una commissione precisa: ho ricevuto un invito che mi ha fatto molto piacere, perché avevo già fatto un disco negli anni ’80, ma un disco molto diverso da questo progetto. Era un disco di post-punk e new wave italiana, prodotto da Contempo Records, una casa discografica di Firenze che oggi non esiste più, e che riguardava quel periodo rockerilla, gli anni ’80, della new wave italiana, ma con molta sperimentazione in più.
Ho una grande affezione per l’oggetto in sé, e all’inizio ho fatto un po’ di resistenza, perché non sapevo bene come trovare la chiave giusta per questo lavoro. Avevo una collezione di memo vocali registrati con il telefono durante i miei viaggi nel mondo, che si arricchiva sempre di più, e che desideravo “scaricare”, portarla fuori dal privato e renderla pubblica.
Così ho associato questa esigenza alla proposta, fino a trovare il modo di contestualizzare visionariamente questi oggetti, vere e proprie registrazioni di suoni, rumori e musiche captate all’aria aperta.
D – Hai costruito un contesto immaginario intorno a queste registrazioni?
Di Stefano – Avevo selezionato un tipo di musica che chiamo placed music, cioè musica situazionata in luoghi, che ha bisogno di uno spazio colmato da altri suoni per essere ascoltata veramente. In pratica, una mescola, una confusione dalla quale si potessero percepire i suoni originali all’aria aperta. Questo è stato l’impianto teorico: su di esso ho costruito l’intero contesto del progetto.
Ho deciso di nominare ogni registrazione come se fosse una canzone, inventando praticamente l’autore o l’autrice, il titolo del disco, il contesto in cui è nato, il motivo per cui quella particolare canzone ha quel titolo, la sua fortuna, critica o meno. Creando così un vero e proprio mondo attorno a questi oggetti, cercando di uscire sia dal field recording sia da una sorta di diaristica di viaggio, della quale non mi interessava comunicare all’esterno.
Mi importava invece creare uno spazio immaginario in cui il potere del suono, ma anche quello evocativo della parola, trovassero un equilibrio capace di permettere un ascolto universale di fatti estremamente privati.
D – Come hai conciliato la memoria precisa dei tuoi viaggi e delle registrazioni originali con l’invenzione di elementi completamente nuovi, e in che modo questo approccio ha influenzato la presentazione radiofonica del disco e il tuo rapporto con la collana XONG?
Di Stefano – Ricordo esattamente ogni particolare di ogni registrazione, ogni luogo e ogni circostanza. Eppure, inventando elementi completamente nuovi, penso che il progetto possa diventare ancora più interessante per il pubblico.
Da questo lavoro è nato anche un atteggiamento, per così dire, radiofonico nella presentazione dei pezzi, che abbiamo sperimentato in questi giorni sia a Bologna sia a Milano. Per me questo formato è molto stimolante, e potrebbe aprire la strada a ulteriori sviluppi futuri.
D – In “L’altro Hotel” il contesto reale della registrazione diventa parte integrante della storia del brano, trasformando un’esperienza personale in narrazione sonora. Puoi raccontarci come hai operato questa trasposizione, del reale e in che modo il contesto ha guidato la costruzione del pezzo?
Di Stefano – C'è un brano che si chiama L’altro Hotel, è stato il primo pezzo in cui ho capito come contestualizzare un’esperienza realmente accaduta. Ero in un resort a Capodanno in Tunisia, assolutamente abbandonato, deserto, un po’ fané, e invece nel resort accanto c’era un grande concerto. Pensavo fosse qualcosa di pacchiano da Capodanno, invece era un meraviglioso cantante tunisino che suonava e che sentivo da lontano.
Mi sono avvicinato al muro che separava i due resort e ho registrato quella scena. Poi mi sono inventato una storia: l’ultimo concerto di un famosissimo cantante arabo. La registrazione è poi finita in mano a case discografiche, con questioni legali, e quindi l’ho chiamata L’altro Hotel, perché era l’hotel dove la musica era veramente.
Da lì è scattata questa intuizione, perché era il meme vocale più aneddotico: mi riconoscevo nel momento in cui, come un ninja tra i cespugli con il telefono, cercavo di prendere la registrazione senza farmi bloccare dalle guardie in uniformi che controllavano gli accessi, perché era un evento molto importante, che io avevo completamente ignorato.
D : Hai parlato del fascino che nasce dall’ascolto “indiretto” della musica, di quel suono che arriva da lontano, filtrato dallo spazio e dall’ambiente. Cosa ti attrae di questa distanza fra la fonte sonora e l’ascoltatore?
Di Stefano: È questa idea che un brano — anche uno molto noto, che già conosci — acquisti una qualità diversa, quasi unica, quando lo ascolti accanto alla sua fonte sonora, ma non troppo vicino. Idealmente, a una distanza di qualche metro, abbastanza perché tra te e il suono possano inserirsi altri rumori, altre presenze. È in quello spazio che accade qualcosa di interessante: la musica si contamina, si sporca, si lascia attraversare dal mondo.
Quella “sporcatura” dell’informazione principale, il suo essere modificata dall’atmosfera, è ciò che mi affascina davvero. È un po’ come quando penso al corpo in scena: non lo immagino mai protetto, ma sempre all’aperto, esposto alle intemperie, con il rischio della pioggia sulla testa. È un atteggiamento, una condizione di vulnerabilità che trovo necessaria, quasi una forma di verità.
D – Hai citato prima Brian Eno.
Di Stefano:È stata un’assonanza del tutto casuale. Ho però un grande amore per un disco in particolare di Brian Eno, On Land, che è stato per me una sorta di rivelazione: un lavoro di field recording ma già molto evoluto, trattato, raffinato. È quel disco che mi ha fatto scoprire un certo tipo di sonorità, un modo di intendere il paesaggio sonoro come materia viva, e così ho voluto fargli una piccola dedica.
Michele Di Stefano – ritratto – fotografa Gaia Cambiaggi.
Michele Di Stefano
Coreografo e performer, dopo gli studi universitari ha attraversato la scena musicale punk-new wave degli anni ottanta per approdare ad un progetto autodidatta di ricerca corporea con la fondazione di MK, gruppo presente sulla scena internazionale dal 2000 con una biografia molto ricca ed un vasto corpus di spettacoli, ambienti coreografici e sistemi evolutivi basati sulla ricerca dinamica, la letteratura di viaggio e la meteorologia. Figura centrale della danza italiana, Michele Di Stefano è un esploratore di sistemi coreografici e campi dinamici che ridefiniscono costantemente il rapporto tra progetto individuale e sistema generale di movimento. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti per la sua attività (Premio Ubu 2019 e Premio Danza&Danza 2018 e 2020, Premio Speciale Ubu 2021) e commissioni coreografiche da Aterballetto, Korean National Contemporary Dance Company, Nuovo Balletto di Toscana e dal Ballet de Lorraine. Alla circuitazione degli spettacoli si affianca una intensa attività di conferenze, laboratori e proposte sperimentali e fuori formato tra le quali -in dialogo con Xing- Instruction Series, Wasted, WAT e Accademie Eventuali; così come l'Istituto di Alti Studi Coreografici, Piscina, Clima, Reform club, Radio India, la Piattaforma della Danza Balinese assieme a Cristina Rizzo e Fabrizio Favale al Festival di Santarcangelo (2014 e 2015), i progetti per la BiennaleDanza 2013-15, workshop di ricerca per la Scuola Paolo Grassi di Milano, l’Anghiari Dance Hub, l’ISIA di Urbino e per l’Università IUAV a Venezia. E’ stato consulente della programmazione danza (GRANDI PIANURE 2018-22) del Teatro di Roma, co-curatore con Francesca Corona del progetto Giacimenta per Matera Capitale della Cultura 2019, e ideatore dei cicli di performance TROPICI (Angelo Mai Roma 2013-18) e BUFFALO (Palazzo delle Esposizioni, MACRO Roma e Museo Nazionale Romano 2021-24). Nel 2018 ha curato la sezione in esterni (Outdoor) del Festival BolzanoDanza. Dal 2025 fa parte del team curatoriale del festival Short Theatre. E’ stato artista associato al progetto Oceano Indiano del Teatro di Roma (2020-21) e alla Triennale di Milano per il triennio 2022-24. MK è una delle cinque formazioni internazionali alle quali è dedicato il libro Corpo sottile. Uno sguardo sulla nuova coreografia europea, a cura di Silvia Fanti/Xing (Ubulibri 2003). Di Stefano ha pubblicato Agenti autonomi e sistemi multiagente (Quodlibet 2012) assieme a Margherita Morgantin, un testo di istruzioni coreografiche e report climatici, e l’LP L’altro Hotel (Xong collection – dischi d’artista, Xing 2025).