AMAZOOM di Luca Trevisani è la sedicesima uscita di XONG collection (Xing) - dischi d'artista. L’uscita è su vinile bianco, in edizione limitata e numerata di 150 copie, assieme ad una tiratura di 30 collector’s edition ciascuna delle quali è accompagnata da un multiplo d’artista, una scultura ispirata a dei semi di Parartocarpus venenosa, provenienti dalla giungla amazzonica e usati dalle scimmie come pettine, ora oggetti da montare sul giradischi durante l’ascolto. L’edizione contiene un testo partitura di Luca Trevisani.
“Quel che al buio non si può esprimere col colore, nella notte della giungla si fa concerto. La gara dei decibel nel nero della foresta amazzonica non lascia scampo: senza tappi per le orecchie dormire risulta decisamente impossibile. È una vertigine sonora, una voce primordiale che ti avvolge e ti rapisce. Volevo registrare quel concerto che non mi lasciava scampo, spaventoso e brulicante, ossessivo e travolgente. Il solo antidoto che mi è venuto in mente, un po’ per tentare di resistere allo sconforto, ma forse ancor più per sprofondare nel canto di quel pullulare, è stato di provare a descriverne le voci, i timbri, le sfumature. Così, ho acceso il computer e ho cercato di trascrivere ogni suono che mi attraversava, diventando uno stenografo al servizio di quel concerto eccessivo.” Per questo disco Trevisani ha interpretato prima, per il lato A, il suo testo/partitura in chiave sonora producendo centinaia di suoni sparpagliati in sequenza, accavallati e conviventi fino a ingolfarsi in una giungla da schermo. Ne ha scelti poi una trentina, per il lato B, associando ognuno a un diverso tasto della pulsantiera del computer, ed ha iniziato a battere il testo “anzi a suonarlo, trasformando il mio portatile in un improbabile ma esattissimo strumento musicale, in una mitraglia rumoristica smandrappata. Umori, rumori, linfe, membrane, vibrazioni. Ho registrato quel che ne usciva in presa diretta, ascoltando quella foresta da tastiera che prendeva forma attorno dentro e sopra alla mia scrivania.”
Artext / Luca Trevisani
Dialogo
Artext - Tanta arte moderna è il suono delle cose che vanno fuori controllo, di un mezzo spinto al limite e che va in pezzi. Ciò che produce il computer è il suono di qualcosa di troppo forte per lo strumento che dovrebbe veicolarlo. Puoi parlare della natura processuale del tuo lavoro e in questo caso il sogno di tradurre in suoni i simboli di una tastiera?
Luca Trevisani - Il mio lavoro è processuale. La materia per me è come qualcosa di instabile, fluido e trasformativo. Ho lavorato spesso con materiali leggeri e sensibili al contesto, come l’acqua, il ghiaccio, i fiori, il pane, i fossili. Tempo fatto carne, sempre, in una visione della scultura non come un oggetto statico e definitivo, ma come un processo in divenire, in dialogo con le forze ambientali e con il tempo. Il mio interesse per le tecnologie digitali e la simulazione si combina con un’attitudine manuale e artigianale, creando un rapporto complesso tra il naturale e l’artificiale. In questo disco ho trascritto dei suoni che non potevo registrare in una descrizione così accurata da mostrare le sue stesse smagliature, i suoi limiti, la sua grana. AMAZOOM esplora la traduzione di segni e simboli in suono, portando avanti la mia ricerca sulla processualità e sulla trasformazione della materia, ma questa volta sforando in ambito acustico e linguistico. Parte dai simboli di una tastiera, che sono di per sé elementi grafici e convenzionali, e li trasforma in suoni, lavorando in una traduzione e trasposizione tra linguaggi ibrida e bastarda, giocando tra sistemi di significazione diversi: così la scrittura si smaterializza e diventa suono, e il codice tipografico si converte in pianoforte, in paesaggio acustico.Questo doppio livello di lettura si riflette nella natura stessa del disco, che si muove tra astrazione sonora e una sorta di materialità immateriale.
AT - ‘AMAZOOM, il disco - propone all’ascoltatore due ipotesi di reincarnazione di un paesaggio, due traduzioni, due protocolli’. Quali i motivi di ispirazione al testo/partitura che accompagna questa tua nuova produzione?
LT - Descrivere è un atto di emulsione: le cose si sciolgono, si rapprendono, si insinuano nelle fessure del linguaggio. Non è nominare, è spingere la materia dentro le parole finché non iniziano a gocciolare, a mutare stato. Un oggetto non è mai solo la sua superficie, ma il sudore che lascia sulle mani, il suono che fa quando si rompe, il sapore che si immagina possa avere. AMAZOOM nasce dal descrivere i suoni che sentivo nella notte in amazzonia, è come fare il bagno in un'acqua torbida: ci si immerge interi, lasciando che il corpo assorba il gusto ferroso delle cose. È una tensione osmotica tra pelle e spazio, un assedio di particelle che si depositano senza chiedere permesso. Essere in un luogo è un palinsesto di odori e suoni; descrivere è una forma di tocco, e deve avere la consistenza di un cibo lasciato a fermentare: una scrittura che sfiora, che sbava, che accumula strati come il grasso sugli altari. Ogni parola è una fuga d’acqua, un drenaggio della memoria. AMAZOOM è un calco, ma non un calco di gomma, aderente e preciso, o un calco digitale, come quello che fa il dentista del nostro palato, esatto come un guanto millimetrico, AMAZOOM è un calco di farina e uova, un animale cavo che si riempie di vento.
AT - In cosa consiste la tua pratica multidisciplinare. Quali i modelli di ricerca?
LT - La mia pratica multidisciplinare è un modo di alimentare la mia metamorfosi, per diventare mondo mutando in quel che non sapevo di essere. È un processo di osmosi e risonanza, un corpo poroso che assorbe e rilascia, che si lascia attraversare da forme, gesti, superfici. È uno scambio senza freno e senza sosta, un’energia che si addensa e si dirada, che mi fa crescere mentre scopro il mondo, e che mi fa scoprire il mondo mentre, mano a mano, mi disvelo in lui. Penso molto a Julio Cortázar, a Manganelli che inventa parole antiche, a Eva Hesse, ad Arcimboldo cuoco alchemico, a Alina Szapocznikow poetessa della metastasi, a Cristina Campo, implacabile e inarrivabile.
AT - Si tratta di attraversare dei confini tra oggetti, discipline, persone?
LT - Sì, è esattamente questo. Mano, mente, materie e sostanze: un invito a fondersi con l’altro. Un invito alla metamorfosi, forza onnipervasiva, marcia onnivora che trasforma tutto in se stessa, processo che sfida le gerarchie e le distinzioni tra il sé, il corpo e l’ambiente, obbligandoci a rinunciare all’idea di un’identità fissa. Anche questo disco è un’opportunità per dissolversi e ricostruirsi, per chi l’ha fatto e per chi l’ascolta.
AT - Le grandi questioni che l’arte coltiva, è un (eco)sistema complesso e cangiante che ridefinisce costantemente i suoi confini. Cosa fa la scultura (il Formalismo) nel tuo pensiero, nella declinazione della presenza, nell’ascolto che diviene temporalità?
LT - La scultura non è un esercizio di forma, ma un'arte di corpi; un po' come cucinare, danzare, fare l’amore, camminare, sudare, ridere, tagliarsi, accarezzare, rabbrividire. È materia che vibra, si piega, si sfalda, si fa pelle e ferita. È un modo in cui la vita ci attraversa, e ci perfora.
AT - Arte ed entropia, fenomenologia del disordine contemporaneo. Causalità - L’intuito ci suggerisce ancora che la probabilità di ritrovarsi e riscriverne una partitura naturale di forte componente biologica non è più remota?
LT - Il disordine è un pattern interrotto, una comunicazione disturbata, una mancanza di retroazione. Ma in quello che è un disfacimento forse solo percepito esistono nuove possibilità di connessione e di apprendimento, una struttura fresca che ci connette nell’inaspettato. Ogni forma è una partitura instabile, una danza tra il caso e la necessità. La materia cerca sempre di organizzarsi, ma lo fa seguendo traiettorie affatto umane, più simili al vento che non alla nostra idea di geometria. L’idea di una partitura biologica mi interessa come ritorno al corpo, al sensibile, alla dimensione carnale. Per questo ritrovarci assieme in una nuova sintassi della materia è un auspicio, perché la materia stessa è in cerca di un respiro, anche se è vero che la nostra epoca tende a estetizzare l’entropia, a farne un’icona culturale, dimenticandone la violenza inintelligibile.
Luca Trevisani – ritratto – fotografa Gaia Cambiaggi
Luca Trevisani
Artista multidisciplinare la cui pratica è stata esposta a livello internazionale in musei e istituzioni, tra cui MAXXI Roma, Biennale of Sydney, Manifesta 7 Rovereto, Biennale di Architettura di Venezia, MOT Museum of Contemporary Art Tokyo, Kunsthalle Wien, Kunstverein Braunschweig, ZKM Karlsruhe, Magasin Grenoble. Oltre a premi e mostre in importanti centri d’arte e musei ha pubblicato diversi libri tra cui: The effort took ist tools(Argobooks, 2008), Luca Trevisani (Silvana Editoriale, 2009), The art of Folding for young and old (Cura Books, 2012), Water Ikebana (Humboldt Books, 2014), Grand Hotel et des Palmes (NERO Editions, 2015), Via Roma 398. Palermo (Humboldt Books, 2018), Walking loaves (NERO, 2023), Insalata di Fossili (COLLI, Viaindustriae, 2024) e realizzato il documentario di fantascienza Glaucocamaleo (2014). Ha scritto testi e saggi, tra gli altri, sul lavoro di Francesco Lo Savio, Luca Vitone, Giovanni Anceschi, Gianni Colombo, Liam Gillick, Mark Manders. Ha pubblicato il disco AMAZOOM per Xong collection – dischi d’artista (Xing, 2025). Insegna allo IUAV a Venezia, presso la Libera Università di Bolzano, e NABA a Milano. La sua ricerca spazia fra la scultura e il video, e attraversa discipline di confine come le arti performative e quelle grafiche, l’architettura e il design, il cinema di ricerca o l’architettura, in una perpetua condizione magnetica e mutante. Nelle sue opere le caratteristiche storiche della scultura sono interrogate se non addirittura sovvertite, in un’incessante indagine sulla materia e sulle narrazioni. La traiettoria della ricerca di Trevisani è quella di un esploratore; un libero pensatore che studia con curiosità – ma anche con distacco – le più diverse ed eclettiche forme del linguaggio plastico, agendole dall’interno pur senza mai ambire a possederle definitivamente, ma piuttosto cercando di svelarne – e se possibile modificarne – la loro microfisica. Conservando sopra ogni altra quell’assoluta passione per l’utilità pratica e sociale del proprio lavoro e per le grandi questioni che esso coltiva, che costituisce forse la vera cifra di chi pratica con autorevolezza la ricerca artistica.
Luca Trevisani