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Mark WallingerMark Wallinger, The unconscious, 2010 Ph. OKNOstudio.


Mark Wallinger Mark
Laura Vecere


 


Da qualche parte, James Ballard ha detto che in un museo ci si può innamorare, al contrario di un un aeroporto dove innamorarsi è impossibile. Ballard non specifica però di chi, di cosa e neanche quando si sia innamorato, forse perché è difficile parlare di quello che ci sta più a cuore. Non è quindi mia intenzione inoltrarmi in una comparazione tra le differenze qualitative-percettive-concettuali attivate da un museo rispetto a quelle attivate da un aeroporto, indagate per altro in brillanti saggi specialistici filosofici e sociologici. Ciò che mi preme è, se mai, tentare dire qualcosa circa uno stato di innamoramento a-specifico che il museo può favorire.
Nell’innamoramento c’è un momento in cui si è consapevoli dello sguardo di qualcuno e quando succede, si è sorpresi dal percepire all’improvviso che l’involucro che ci avvolgeva e ci rendeva padroni di noi stessi, ha una falla. Ci si sente scoperti, messi in pericolo, sul piano della nostra identità e tuttavia non si può più ignorare o censurare la nuova “presenza” ritraendosi da essa fino a tornare allo status quo protetto di prima.

Il museo è un luogo dove si esercita lo sguardo ad un alto livello di consapevolezza. Non solo quello che si posa sulle opere, ma anche quello che le opere rivolgono verso chi guarda.
Succedere di recarsi in un museo per i motivi più diversi, come addetti ai lavori ma il più delle volte come pubblico eterogeneo senza una qualifica o uno scopo specifico, in ogni caso, è probabile trovarsi irretiti dall’alta densità di sguardi che le opere rimandano con la loro presenza. Può accadere abbastanza facilmente che un’opera sopra le altre totalizzi l’attenzione, senza un motivo apparente. Ci si chiede allora, non senza una vertigine, chi sia in effetti il soggetto interrogante tra noi e l’opera ed entriamo in uno spazio enigmatico che sposta l’asse equilibrio gerarchico tra soggetto che osserva e l’oggetto osservato. Si passa da un io guardo a un reciproco “guardarsi”. Si si avverte un’allerta totale di sé molto vicina ai sintomi disorientanti dell’innamoramento. Si penetra in una area poco definibile dove ogni parola nel suo potere di distinzione è inappropriata a dire. Si apre un varco che una volta intravisto non si desidera sigillare nuovamente.

Ci riferiamo alle due sale centrali e contigue, cuore pulsante della mostra Mark Wallinger Mark (in corso al Centro d’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato). A differenza degli altri spazi dove sono impiegati altri medium come video o fotografie…, esse sono dominate dai bianchi e i neri di una pittura stesa con gioiosa velocità. Ricordiamo che la pittura, allontanata volontariamente dall’artista dalla metà degli anni Novanta, qui trova una motivazione totalmente rinnovata di esistenza. Più in dettaglio diciamo che la prima sala, in ordine di percorso, è tappezzata da una serie di tele di grandezza omogenea costruite su quella che Wallinger definisce una variante “darwiniana” dell’uomo vitruviano raffigurato da Leonardo. Le tele misurano così 180x260, raddoppiate in altezza in relazione alla vastità e altezza del nuovo studio di Wallinger situato in una vecchia fabbrica di materiali bellici. Così proporzionate esse accolgono la serie degli id Paintings (2015), ovvero “l’altra faccia” dei Self Potraits (2007-2015) esposti nella sala seguente e cronologicamente antecedenti.

Mark WallingerMark Wallinger, Self-Portrait (Freehand 69), 2013 Acrylic on canvas, 183 x 122 cm. Ph.Okno studio

Negli id Paintings, la pittura è mossa da una azione contemporaneamente centrifuga e centripeta, impregnata da una dinamica primordiale fatta di segni che conservano l’energia del movimento compiuto sulla tela dall’artista. Wallinger entra direttamente nella pittura con entrambe le mani costruendo immagini in formazione fatte da un labirinto di segni e da una moltiplicazione di impronte. La materia pittorica è sollecitata da un conato ripetuto verso una forma mai raggiunta ma è proprio il suo essere tumultuoso a far intravedere il grande potenziale di tutte le forme possibili racchiuse in essa. Forse per questo nel loro insieme, le dodici tele monumentali esposte creano un ambiente carico di uno stupore primordiale come fossero le Grotte di Lascaux della “pittura.” I segni tracciati benché nebulosi nel loro aspetto seguono un percorso vincolato da un principio d’ordine imprescindibile fissato dalla simmetria speculare che li organizza lungo l’intero asse verticale della tela e che riflette quella del corpo umano. Con esso tutte le tele condividono una spina dorsale o asse centrale di simmetria di irradiamento/convergenza. E proprio in virtù di questo vincolo assiale simmetrico gli id Paintings si presentano intenzionalmente anche come gigantesche macchie di Rorschach offerte alle interpretazioni proiettive del pubblico. La rete di scambio di sguardi tra opera e spettatore si infittisce ad ogni tela, ogni volta in cui l’artista scrive e riscrive in esse la dinamica vitale e inarrestabile che si sprigiona nel rapporto mai sopito tra ordine e caos, dalla preistoria al dopo- storia e viceversa.

Nel percorso offerto a Prato si ha la sensazione di transitare dal manifestarsi di un forza colta nel suo aspetto primordiale, ribollente e sorgivo, verso una organizzazione formale della stessa. Siamo invitati a procedere secondo una lettura che va dall’origine indistinta alla forma distinta. Così fece Adamo all’indomani della sua stessa apparizione nel mondo. Adamo, per simmetria o ad imitazione del Creatore, per primo disse Io e diede un nome e un ordine a tutte le cose create.
Nella sala successiva, sulla destra troviamo, appuntate precariamente alla parete come un promemoria, le fotografie di due mani, gli indici rivolti l’uno verso l’altro alla maniera dei celebri indici di Michelangelo nella volta della Sistina. Sono in realtà la destra e la sinistra di Wallinger riprese con un Iphone, Ego (2016). Un Ego autogenerato che a sua volta fronteggia Adam(2003), una lunga poesia riportata con caratteri trasferibili sulla parete opposta. E Adam a sua volta è una poesia ready-made fatta di altrettanti incipit di poesie di autori inglesi tra otto e novecento. Ciascun capoverso di Adam rimanda ad azioni, pulsioni, visioni, stati d’animo che si richiamano in una declinazione infinitibile dell'io. Adam inizia con: I am monarch of all I survey (Io sono il monarca di tutto ciò che osservo) e termina con I wonder do you feel to-day. (Io mi chiedo, ti senti oggi? oppure Mi chiedo come ti senti oggi ). Questi versi seguono l’ordine alfabetico dalla A alla W, una coincidenza casuale o voluta con le iniziali del cognome di Wallinger?
Io è il principio stesso di identità di quella identità che qui si mostra con entrambi i versanti di singolare-collettivo, quell’io plurale che ha parlato la lingua della poesia e che continuerà a risvegliarsi nel tempo ad ogni nuovo soggetto-poeta, in questo caso, Wallinger. A chi si riferisce l’ io, io, io, io, che risuona dalla parete opposta tappezzata dai quadri che riportano una unica iconica, la I maiuscola (io in inglese) dei Self Potraits? A quello dell’artista, ma anche ad un io collettivo, la cui forma fissata a-priori in un carattere tipografico è tuttavia passibile di mutazioni continue. Le tele dei Self Potraits sono infatti diversificate tra loro per misura, per carattere tipografico adottato e per esecuzione pittorica. Il nero avorio della pittura passa in questi dipinti da stesure compatte finalizzate a stabilire i contorni geometrici del carattere tipografico adottato a stesure liquefatte che portano le stesse ai limiti dell’evanescenza. Un solo soggetto crea un atlante di varianti. L’io è un fascio di singolarità diverse.

Nel loro insieme le I sembrano una dimostrazione figurata del teorema leibniziano degli indiscernibili. Nessuna foglia è identica all’altra. Tutte sono varianti di uno stesso soggetto comune. A questa vincolo di “serialità differente” si uniforma anche Self (Symbol) (2017),la grande I che campeggia solitaria su un plinto al centro della stanza. Anche se presentata come pezzo unico non è però l’unica ad esistere, perché ha un piccolo sciame di realizzazioni consimili derivanti da altre fonti tipografiche come ad esempio Self (Cambria), 2014 Self (Stencil) 2015, il Self (Sentury) 2014 tutte alte 180 cm. come l’artista. In questo andirivieni l’Io non è negato bensì articolato nella reiterazione. Non è isolato in se stesso, ma posto in dialogo con altri soggetti. Per esistere deve essere dotato del conforto di un orizzonte personale. Un orizzonte che può essere più o meno angusto o largo, basti pensare a quello dalla dilatazione indefinibile tracciato da Mark (2010), la scritta in gesso del proprio nome apposta sui mattoni di Londra e documentata in mostra con una serie di diapositive.

Mark WallingerMark Wallinger, id Painting 50, 2015 Acrylic on canvas, 360 x 180 cm.

La lettura di due spazi soltanto sull'intera mostra è sufficiente a rilevare la qualità speculativa, speculare, il ruolo bilaterale metamorfico e metaforico, attivo nell’opera di Wallinger. Le pieghe e i risvolti delle questioni poste sono simili ai meandri di un labirinto mentale-sensoriale-culturale che è tanto suo quanto nostro. Non a caso il labirinto nelle sue molteplici versioni iconografiche (da Pistoia a Otranto a Chartres …) è stato uno dei temi affrontati da Wallinger per un lavoro su Londra, realizzato su placche di metallo smaltato e disseminato nelle stazioni della metropolitana.
Ogni lavoro di Wallinger è prossimo e lontano, riporta a galla visoni sepolte in profondità, tocca questioni basilari: filosofiche, scientifiche , esistenziali, religiose, sociali. Interroga.
Più volte sono tornate alla mente scene bacchiche e più volte sono state scacciate. Bacco, il lato oscuro dai modi fanciulleschi, porta a trasgressioni efferate, alle possessioni, al fuori di senno. Tiziano ne ha dato figurazioni mirabili come fosse un leggendario cronista di quei festini selvaggiamente gioiosi. Cieli azzurri, paesaggi boschivi in vista di un mare lontano ma sempre presente mentre in primo piano lo spazio è affollato di un tumulto di ninfe, satiri e dei. La ninfa dalla pelle candida, scambia uno sguardo di intesa con un irsuto fauno dalle carni color della ruggine… a tra poco… ora balliamo e suoniamo cembali e flauti. Bacco distrugge. Bacco premia. Sposa Arianna lasciata sull'isola di Nasso da Teseo, la sua vela è già lontana, tutti festeggiano.
Gli eroi, umani, sono spergiuri e pusillanimi. Dopo aver raggiunto lo scopo dell’impresa- uccidere il Minotauro annidato del labirinto - fuggono verso nuove mete. Gli dei crudeli e capricciosi, in questo più umani degli umani ma più aristocratici di loro, concedono all’amato/a in un’altra forma di vita, la metamorfosi poetica in una costellazione, in un albero, una roccia, un fiore, una voce…

Laura Vecere - Marzo 2018


 

Laura Vecere
Mark Wallinger Mark
Site : Centro Pecci Prato
@ 2018 Artext

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