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Jacopo Jenna
Conversazione

 
Jacopo JennaJacopo Jenna, Come as You Are, 2017. Foto di Giuseppe di Stefano


Artext - Puoi parlare della tua pratica artistica?
Che tipo di preparazione sviluppi per i tuoi lavori con il movimento?

Jacopo Jenna - La mia pratica si sviluppa attraverso diversi linguaggi, principalmente considerando la coreografia come una pratica aperta ed estesa, generando diversi contesti dove posso ricollocare il corpo, costruendo formati prettamente performativi o di natura altra. Negli ultimi anni sono sempre più interessato alla “danza”, qualsiasi tipologia di danza si intenda, sopratutto sono interessato a ricevere le informazioni prodotte dal movimento scaturite dall’immediatezza di questo linguaggio. Rifletto anche sulla percezione che abbiamo della danza oggi, cercando di indagare i processi di incorporazione e trasmissione del movimento tra i diversi codici del corpo.

La preparazione ai lavori è sempre ridefinibile in base ai progetti, mi pongo in un processo di ricerca di approcci, strumenti o tecniche, anche se ritengo sia importante trovare un rigore nello studio con il corpo, una forma quasi ossessiva di allenamento che possa ampliare la percezione, la coscienza fisica e la performatività dei gesti. Ricerco continuamente nel movimento la sua specificità, la definizione di una grammatica cineticamente chiara, che possa generare un flusso dove l’intelletto viene affossato dal corpo.

Jacopo JennaJacopo Jenna, Come as You Are, 2017. Foto di Giulia Broggi


A - Come si configura questa tensione nell'essere, qui e ora, nel corpo, in relazione all'esperienza? Tracciando da una Visione che muove su una prospettiva del Reale? E' questo lo spazio o la distanza che segna il tuo prendere posizione e prendere corpo... se ciò che è del corpo, è perdere al finale i confini del corpo stesso.

JJ - La mia visione parte più che su una prospettiva del reale, da una ricerca fisica che cerca di relazionarsi ad elementi altri, cercando strategie di astrazione e decostruzione all’interno di una sistema coreografico che possa contenere delle regole fisiche che si stratificano nel tempo trasformandosi. Il corpo, ma principalmente la danza, mi porta ad una forma di “libera espressione” che si pone nell’immanenza dell’azione, diventando quasi un atto visivo, una totale azione dell’IO. Il movimento è un puro mezzo, non c’è una ricerca su forme di narrazione o trasposizione del reale, non c’è una ricerca verso una tensione emotiva, ma una continua trasformazione per essere nelle cose, per essere nel tempo.

Jacopo JennaJacopo Jenna, Choreographing Rappers, 2017. Foto di Ilaria Costanzo.


A - Tra pratica fisica e progetto artistico come il tuo lavoro esplora il rapporto tra codici diversi? Si tratta di unificare o configurare in una dimensione possibile il potenziale virtuale, pur nella differenza agli stili o alle frasi di danza? -Choreographing Rappers, Come as You Are ad esempio- Danza e performance, come sono differenti? Sono gradi diversi a domande relative al senso, l'indeterminatezza fra linguaggi e la realtà?

JJ - Non ricerco una unificazione, ma piuttosto una sorta di sistema di relazioni tra più oggetti o linguaggi che a volte sono messi soltanto in una condizione parallela o di coesistenza, per generare delle forme terze. A volte invece cerco di lavorare sulla decostruzione di certi immaginari, infrangendo qualcosa e lasciando spazio al nuovo. La decostruzione mi interessa come un forma di eliminazione consapevole di punti di vista privilegiati da cui guardare il mondo. Choreographing Rappers ad esempio si concentra sull’immediatezza della musica rap decostruendo una serie di brani e liriche hip-hop dagli anni ’80 in poi, estendendo la coreografia sulle parole, trasformandole in mezzi potenti e significativi per far reagire il corpo attorno a questi testi e flow di parole.

Jacopo JennaJacopo Jenna, IF, IF, IF, THEN, 2018. Foto di Alessandro Sala.


A - Come nascono le tue azioni, cosa anima il movimento? Crei un dispositivo per tracciare flussi energetici o vibrazioni e poi mettreli in forma? In 'IF, IF, IF, THEN' quali gli input generatori di occasioni e relazioni tra suono, corpo, luce, spazio.
E' Il corpo che crea lo spazio per far apparire qualcos'altro da sè?

JJ - IF, IF, IF, THEN non è un dispositivo, ma piuttosto un sistema coreografico con delle regole precise che si evolve evidenziando qualità del corpo in continua ridefinizione. Volevo lavorare con dei corpi che venissero da un background ibrido, legato molto al mondo della street dance, in primis come codice di movimento, ma sopratutto come elemento energetico. Da sempre sono stato attratto dalle qualità di movimento sviluppate nella sfera legata all’hip-hop, che determina una forte immediatezza con il linguaggio del corpo facendo entrare in relazione istantanea chi guarda e, in un certo senso, ridefinendo culturalmente il significato contemporaneo di corpo. In questo progetto che prevede la collaborazione di tre danzatori e la musicista Caterina Barbieri, che attraverso l’esplorazione del potenziale polifonico e poliritmico dei sequencers crea una permutazione sonora complessa e atemporale, cerca di mettere in evidenza un corpo contemporaneo completamente ibrido ed influenzato memeticamente da una molteplicità materiale o, forse attraversato da innumerevoli stati materiali, che solo in parte si concretizzano o si realizzano nel tempo attraverso un processo continuamente ridefinibile. Mi interessava che questo corpo ibrido potesse spostarsi in un secondo da questo a quel genere in un modo anche virtuosistico, ma senza mai trovare un terreno stabile. Mi interessava costruire un sistema coreografico che potesse contenere una danza con alcune figure dalla street dance per cambiare ciò che può essere la danza stessa, ma non per provare a rendere accessibile qualcosa attraverso la relazione con un certo immaginario pop.

In questo progetto il corpo, la coreografia e la musica, determinano uno spazio circolare, elemento tipico delle battle hip-hop appunto detto cypher o cerchio. ll Cerchio rappresenta un elemento geometrico aggregante di una ritualità collettiva, uno spazio per la condivisione, dove non esiste una quarta parete come in teatro, ma l’adiacenza fisica è l’elemento che riguarda tutti, sia gli spettatori, che i performers, il suono e la dinamica delle luci.

Jacopo JennaJacopo Jenna, I Wish I Could Dance like M.J. Foto di Alessandro Sala.


A - Nella narrazione tramite se stesso di tutte le biografie possibili "sorge spontaneo il confronto con chi ha assunto una funzione iconica in questo dominio"... In 'I Wish I Could Dance like M.J.' un tuo lavoro del 2016, hai messo in parallelo Michael Jackson e Merce Cunningham. Mi puoi raccontare di questo processo creativo di decostruzione, codifica e incorporazione di movimenti provenienti da fonti diverse? Si tratta di 'emulare' da una memoria l'approccio alla questione dello spazio e al piano della temporalità..

JJ - Il confronto immaginario tra due figure che in modo diverso hanno rivoluzionato la danza e che hanno progressivamente assunto una funzione iconica in questo dominio, Merce Cunningham e Michael Jackson, ha portato nel 2016 alla creazione del progetto dal titolo I Wish I could Dance like M.J. (dove M.J. sta per Michael Jackson), coinvolgendo David Memeti ,un impersonator (o imitatore in Italiano) di M.J., che sin dall’età di 5 anni da autodidatta ha studiato maniacalmente tutte le coreografie prodotte nei video di Michael Jackson, solo provando e copiando i passi di fronte alla televisione. Per quanto mi riguarda mettere in parallelo M.J. e Merce Cunningham, per il quale il codice di movimento era l’elemento fondante del lavoro sul corpo evidenziando la compostezza intrinseca al movimento e mostrando la danza come pura attività del corpo, significa andare di là della riconoscibilità iconica del codice da cui è originata. In I Wish I Could Dance like M.J. ho voluto usare la sintassi dei movimenti di Michael Jackson come frame di riferimento per riflettere sull’incorporazione e la trasmissione della danza. Il lavoro cerca di spostare la riconoscibilità iconica del codice da cui è originata, per poter contemplare un corpo contemporaneo impegnato in una coreografia rigorosa, quasi un esercizio spirituale in forma fisica, allontanandosi dall’imitazione di identità somatica o estetica di M.J. Nella performance I Wish I could Dance like M.J ho pensato di sviluppare la ricostruzione dei passi all’interno di una coreografia molto geometrica e chiara, che portasse nella ripetizione un approccio sonoro e ritmico lontano dall’immaginario di partenza. Il progetto non è una semplice forma di ready made, ma tende a svuotare il gesto iconico di M.J. da alcune componenti:
1_la relazione con la musica da cui questi passi si originano.
2_L’attitudine o l’intenzione del gesto legato allo “show business”, cioè la componente espressionista della pop-culture.
3_l’utilizzo frontale dello spazio nella coreografia, perché questi movimenti nascono per stare al centro dello spazio, frontalmente ad un pubblico o al centro della macchina da presa nei video clip.
La coreografia è un rigoroso campionamento di alcuni passi del repertorio di M.J., che si concentrano sul presente allontanandosi dall’immaginario di partenza per aprire lo sguardo del pubblico verso qualcos’altro, che non ha niente a che vedere con M.J. o con l’iconografia consumistica che si trascina.

Jacopo JennaJacopo Jenna, Désir Mimétique, 2018 (still da video).


A - In Désir Mimétique, laboratorio dedicato al rapporto tra immagini e uso del corpo è evidente l'aspetto ludico e ricreativo del ricconnette il virtuale sul reale. E' questo un modo per analizzare ciò che sta dietro l’evoluzione di quel sistema cognitivo nel quale siamo immersi?  Puoi parlare di questa esperienza dove copia e mimesi si confrontano al tempo stesso - ristabilendo il concetto fondante della teatralità in sé e per sé...

JJ - Désir Mimétique è un progetto di ricerca che si sviluppa in un laboratorio per bambini e ragazzi dove l’elemento primario della copia del movimento serve per generare un esperienza fisica, prettamente ludica, che tende ad innescare un processo di trasmissione di diverse qualità di movimento che definiscono alcuni aspetti legati alla danza contemporanea. I bambini si relazionano con delle playlist di video di 4 minuti dove ho montato un mash-up di varie immagini di danza che spaziano dai Balletti Russi, passando per la postmodern dance, la danza contemporanea più d’avanguardia o la street dance. La relazione con il video è fondamentale per mettere in moto certi schemi di movimento, per far muovere i cosiddetti “neuroni specchio” e far nascere un gioco di stimolo/risposta/trasformazione in tempo-reale, che fa perdere ai bambini l’imbarazzo del corpo, spogliandosi anche da alcuni aspetti “sociali” o relazionali tipici della loro età, quasi per non pensare ed essere solo attraversati fisicamente dalle immagini che vedono senza giudicarle. Le nuove generazioni, più della mia, sono totalmente abituate a relazionarsi con l’immagine in movimento, il confronto con le playlist video coreografiche genera un rigore nel compito della copia al di là di ciò viene proposto sullo schermo. Sostanzialmente è un processo indiretto di trasmissione culturale o di educazione alla danza, alla sua storia, alla sua diversità, alla sua evoluzione continua, senza però parlare di ciò che rappresenta come linguaggio, ma solo facendola vivere in un processo esperienziale che poi si cristallizza in un video che produco a posteriori dove rimetto la referenza proposta in sincro. È interessante vedere quanto alcuni elementi proposti nei video si trasferiscono in momenti di ilarità o imbarazzo, perché fanno emergere iconografie legate ad esempio al tema dell’identità che può apparire nei video di Vouging, o in alcune versioni del Bolero di Béjart, o in Single Ladies di Beyoncé.

Jacopo JennaJacopo Jenna, Quadri. (still da video)


A - Della tua produzione di video, a volte produzione documentaria si può dire che ti "aiutano a sviluppare una sensibilità multipla nei confronti della materia su cui lavori e delle persone con cui ti relazioni di volta in volta"? Puoi parlare di questi studi sul linguaggio del movimento corporeo e di come questi possano costituire sistema di notazione.

JJ - Gli ultimi lavori video nascono da un pensiero sul linguaggio video e la coreografia, cercando delle coreografie per la macchina da presa riflettendo sull’impossibilità di dare una restituzione filmica alla percezione della danza, al suo fluire che vive solo nel tempo in cui si genera, dove ogni gesto cancella il precedente. Mi sono posto molte questioni sul movimento e il video e su come questi due linguaggi possano dialogare, cercando strategie, approcci filmici e coreografici diversi. La ripresa video crea una cornice, un punto di vista, il montaggio, invece, non riesce a creare una sintesi di unità, ma una costante frammentazione e questo concetto è lontano dal movimento del corpo dal vivo. Sono rimasto affascinato da sempre dai pionieri del cosiddetto “choreocinema”, ad esempio da Charles Atlas e il suo rapporto con Merce Cunningham, ma soprattutto dal film A Study in Choreography for Camera (1945) di Maya Deren. Il progetto Camera Coreografica è stato il seme di questa ricerca molto spesso sviluppata e dialogata con la danzatrice Ramona Caia. In questo lavoro, ad esempio, si cerca attraverso un uso serrato del montaggio di far perdere il senso del movimento, tornando alla figura intera del soggetto solo nel momento di pausa tra un round di danza e un altro. È Il punto di vista che danza ed osserva i gesti veloci, si avvicina, analizza, rompe e ricompone. Il frame scorre, coreografa la danza, segnando il corpo in un ritmo sempre in bilico, sfruttando improvvise cesure.

Questi progetti non costituiscono per me un sistema di notazione, ma piuttosto proprio un utilizzo espanso della coreografia su un altro linguaggio. Per me il video è al pari del lavoro performativo come se fosse in definitiva una faccia di un stessa medaglia.

Jacopo JennaJacopo Jenna, Ritratto, Foto di Jacopo Jenna.


A - Si creano nella Danza, nelle produzioni, intense comunità artistiche temporanee e così si sviluppano interazioni e reti energetiche tra le diverse pratiche estetiche dei membri. Mi puoi parlare dei tuoi incontri, le tue appartenenze nelle compagnie e da dove nasce l'esigenza recente di coreografare?

JJ - Il rapporto nato circa 8 anni fa con Kinkaleri mi ha facilitato ad esternare un urgenza alla creazione performativa, potendo collaborare sul progetto ALL! dove la coreografia aperta lasciava molto spazio e libertà alla disposizione personale del performer. Lavorare con un questo collettivo storico è stato fondamentale, perché prima di tutto Kinkaleri ha rappresentato per me un punto di rifermento su un certo fare artistico sin da quando ho avuto i primi avvicinamenti intorno ai vent’anni al “teatro” e la “danza”, proponendomi modalità di ricerca indirizzate verso l’interazione tra linguaggi originali e la sperimentazione di diverse formati di esposizione. Questa collaborazione mi ha dato in un certo senso energia, credo mi abbia fatto sentire finalmente nel posto giusto, facendo nascere un dialogo su certe esigenze e tentativi che stavo mettendo in atto. Oggi cerco continuamente collaborazioni e ridefinizioni della mia pratica con artisti diversi. Nel 2012 ho fondato il gruppo CANI insieme a Ramona Caia e Giulia Mureddu creando insieme tre progetti di ricerca coreografica, collaboro ormai spesso da qualche hanno con l’artista visivo Jacopo Miliani con il quale abbiamo strutturato diverse perfromances. L’ultimo progetto IF, IF, IF, THEN mi ha dato una possibilità chiara che voglio portare avanti, quella della coreografia e della regia senza la responsabilità dello stare in scena, poter lavorare dall’esterno con un gruppo di danzatori/ performers è un esperienza che vorrei portare avanti nel prossimo futuro.

Jacopo JennaJacopo Jenna, Come as You Are, 2017 Foto di Giulia Broggi.




 

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