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Museo Novecento
Giulio Paolini
“Quando è il presente?”

 
Giulio PaoliniGiulio Paolini “Quando è il presente?” 2022 Museo del Novecento, Firenze. Photo Alessandra Cinquemani



Giulio Paolini
“Quando è il presente?”
a cura di Bettina Della Casa e Sergio Risaliti

«Quando è il presente? si chiedeva Rilke e ancora noi ci chiediamo: dentro o fuori dal Tempo? Solo l’arte, eccezione o testimone dell’eternità, è in grado di risolvere le contraddizioni della cronologia, l’illusione di un’apparenza. Ma se – come si dice – l’apparenza inganna, dove mai potremo volgere lo sguardo?»
(Giulio Paolini).

Tra i grandi maestri dell’arte italiana del Novecento, Giulio Paolini (Genova, 1940) è il protagonista di un progetto espositivo inedito, che riunisce opere della sua produzione più recente all’interno della mostra Quando è il presente?, a cura di Bettina Della Casa e Sergio Risaliti. Il titolo della mostra, tratto da una lettera scritta nel 1922 da Rainer Maria Rilke a Lou Andreas Salomè, costituisce lo spunto da cui Giulio Paolini traccia una propria meditazione sul tempo e sulla nostra impossibilità di afferrarlo, combinando gli interrogativi sul ruolo dell’arte e la figura dell’artista con quelli sull’esistenza e il suo fluire. I lavori presenti in mostra, al centro di un percorso ideato dallo stesso artista, dialogano con l’architettura rinascimentale delle sale al piano terra del Museo Novecento, invitandoci a compiere un viaggio all’interno delle sue ultime riflessioni sul significato della creazione artistica e sulle sue molteplici implicazioni.

Giulio PaoliniGiulio Paolini “Quando è il presente?” 2022 Museo del Novecento, Firenze. Photo Ela Bialkowska


Con la peculiare raffinatezza che caratterizza da sempre la sua opera, Paolini ci introduce in una dimensione ‘altra’, toccando corde fra le più nascoste e vibranti dell’animo umano. Come in un incessante gioco di specchi, l’osservatore – con il proprio bagaglio di aspirazioni, timori, passioni – è chiamato direttamente in causa dal dispiegarsi di disegni, collage, installazioni, che ridefiniscono lo spazio e il nostro ‘incedere’ al suo interno.

«L’arte accade», è solito ricordare Paolini, citando Whistler nelle parole di Jorge Luis Borges. La meraviglia dell’arte, il suo incondizionato manifestarsi, accomunano idealmente l’artista e l’osservatore, chiamati a partecipare ad un’incessante ricerca di senso, in un gioco di rimandi spesso venato di ironia. Le opere non veicolano riflessioni sulla cronaca e la mondanità, sulla nostra società tormentata, sui fatti e misfatti della globalizzazione: in esse si manifesta l’incontro stupito dell’artista con l’arte stessa, un processo che si colloca nel nostro tempo ma che è, inevitabilmente, al di fuori di esso, superando ogni contingenza, in quanto appartenente ad una dimensione metafisica.

Giulio PaoliniGiulio Paolini “Quando è il presente?” 2022 Museo di San Marco, Firenze. Photo Ela Bialkowska


Nella sala cinema del museo viene proiettata la registrazione video di Teorema, balletto ispirato all’omonimo romanzo di Pier Paolo Pasolini, messo in scena al Teatro del Maggio Musicale di Firenze dal 28 aprile al 6 maggio 1999. Cogliendo la «sfida all’impossibilità del racconto» offerta dal testo pasoliniano, Giulio Paolini aveva realizzato una scenografia essenziale, il cui rigore geometrico dialoga con la fisicità di danzatori vestiti in abiti contemporanei.
Con l’installazione La pittura abbandonata (1985), presente all’interno di una delle sale al piano terra del museo, viene rappresentata la figura scontornata di una giovane donna. È la silhouette capovolta dell’Arianna addormentata, la cui iconografia affonda le proprie radici nella statuaria classica divenendo nei secoli fonte di ispirazione per artisti e letterati. La figura appare riversa sulla riva del lago di Nemi, che trae il suo nome da un bosco sacro anticamente dedicato al culto di Diana, divinità del pantheon romano usualmente assimilata alla greca Artemide. Proprio per mano di quest’ultima, secondo una versione del mito, Arianna sarebbe stata uccisa. La rappresentazione del piccolo invaso, che prende le forme di una tavolozza, si lega quindi alle vicende che hanno avuto per protagonista la giovane, il cui braccio sembra sorreggere il grande telaio addossato alla parete, con un angolo poggiato a terra. In alto, all’estremità superiore, la struttura in legno è avvolta dal lembo di una lunga tela preparata che ricade sul pavimento. Come un grande quadro “abbandonato”, l’opera ci pone di fronte all’enigma di una ‘visione’ tradita (così come fu Arianna nel mito: tradita e abbandonata da Teseo dopo averlo aiutato ad uscire dal labirinto in seguito all’uccisione del Minotauro).

Giulio PaoliniGiulio Paolini “Quando è il presente?” 2022 Museo del Novecento, Firenze. Photo Alessandra Cinquemani


«L’arte – suggerisce Paolini – è imitazione di un modello non dato. L’arte è l’imitazione dell’arte e non dice, perché non sa, a che cosa vuol aderire, quale sia appunto il modello da scoprire». L’opera conserva quindi «la materia intatta e ancora segreta del suo divenire», rendendo vano qualsiasi tentativo di interpretarla e di ricondurla ad un modello.
Le opere presentate al Museo Novecento vengono integrate da un collage su cavalletto esposto presso il Convento di San Marco, grazie alla collaborazione con la Direzione regionale musei della Toscana.
Da sempre ritenuto dallo stesso artista il suo museo ideale, San Marco accoglie il lavoro di Giulio Paolini Noli me tangere (2022), ispirato all’omonimo affresco di Beato Angelico. Quest’opera ci pone di fronte al vuoto che scaturisce dalla ricerca di un contatto costantemente mancato, dando vita ad un confronto con la luminosa e leggera perfezione della pittura del frate domenicano, ricercato da Paolini sin dagli inizi della sua carriera.
Nelle opere esposte nelle due sedi ritroviamo le indagini sul ruolo dell’artista e sugli strumenti del fare arte che hanno caratterizzato gran parte della produzione di Paolini. La riflessione, tuttavia, sembra oggi guidata da una più profonda meditazione sull’esaurirsi della vita, in un racconto che si svolge sulle note leggere di una malinconica melodia. Come suggerito dal titolo stesso, Quando è il presente?, la mostra ci appare come un invito a sondare la nostra incapacità di cogliere la vita nella sua essenza, potendola afferrare solo nel suo divenire. In questo percorso, necessariamente individuale pur nella sua universalità, Paolini ci fa immergere in uno spazio costellato di richiami al crepuscolo della vita, agli interrogativi che accompagnano l’inarrestabile scorrere dei giorni, alle relazioni (con noi stessi, con gli altri, con ciò che ci ha preceduto e che deve ancora accadere) che segnano il nostro passaggio su questa terra: un passaggio scandito da istanti infiniti, in cui si annida, nonostante tutto, l’eternità.

Giulio PaoliniGiulio Paolini “Quando è il presente?” 2022 Museo del Novecento, Firenze. Photo Alessandra Cinquemani


Giulio Paolini
“Quando è il presente?”

Non so perché ma ho sempre provato un certo imbarazzo nel considerarmi – come invece tutto o quasi sembra ormai confermare – un artista. Un curriculum invidiabile, titoli e risultati conseguiti non mi autorizzano ad avere alcun dubbio. Sono, o comunque sono ritenuto, un artista. Sarà per la mancata formazione specialistica, la propensione a osservare più che a produrre o una pura questione di carattere... il fatto è che, al di là di tutto, mi sento più uno spettatore che l’autore che sono.
L’urgenza che ora mi coglie è motivata dal crescente sconcerto che provo e riprovo dinanzi all’assillante e grottesca preoccupazione espressa dalla quasi totalità del mondo dell’arte contemporanea per i destini del mondo (quello vero) e dalla necessità per noi di prenderne responsabilità in nome di una cieca venerazione della Natura. Quale vanità e soprattutto quale smisurato senso di superiorità e onnipotenza!
L’artista non è fuori “dal mondo” ma neppure “nel mondo”. Non vuole comunicare in forma diretta, in tempo reale e imporre la sua voce ma ascoltare, cogliere un’eco.

Giulio PaoliniGiulio Paolini “Quando è il presente?” 2022 Museo del Novecento, Firenze. Photo Alessandra Cinquemani


Che cos’è l’arte? Credo nessuno possa certo rispondere, fissare a lungo quella sfera, quel punto luminoso che non abbiamo capito se è una stella, un pianeta o un satellite: se cioè la sua luce sia radente, naturale o riflessa. Parlo dell’arte senza poterne parlare. Non si tratta soltanto di aggiustare la mira. Proviamo a immaginare: l'astronomo siede alla sua postazione quando si accorge che la distanza che lo separa dalle stelle è la stessa che ormai lo separa dalla Terra. Intento a scrutare la volta celeste, vaga nello spazio in assenza di forza di gravità senza più avere contatto col mondo, senza poter più inviare messaggi. Forse è il telescopio a essersi orientato nella direzione opposta... e il vero? Di vero non resta all’astronomo che il suo solo strumento, proprio lo strumento che dovrebbe consentirgli l’osservazione del vero.

Che cos’è l’arte?... torno a domandarmi. Paradossalmente l’ultimo a poter rispondere è proprio l’artista, il quale certamente sa cos’è l’arte ma non può formulare una risposta salvo affermare – apponendo una firma e una data – trattarsi di “opera autentica”. Ma un’opera, per essere autentica, deve dimenticare il suo autore. L’arte al presente si affatica a trovare un’identità che nessuno è in grado di attribuirle. L’attenzione – voglio dire – è tutta rivolta ai dati di una sociologia dell’arte che incarna il vero e proprio peccato originale compiuto ai danni dell’essenza primaria, della dimensione unica, sempre uguale e sempre diversa, che anima la sfera dell’arte.

Giulio PaoliniGiulio Paolini “Quando è il presente?” 2022 Museo del Novecento, Firenze. Photo Alessandra Cinquemani


Credo occorra a questo punto fare chiarezza: se da un lato, non possiamo fare a meno dell’arte è altrettanto vero che quella “verità” che abbiamo chiamato Arte può, anzi deve, fare a meno di noi. In altri termini voglio qui affermare la mia contrarietà a ogni tipo di partecipazione attiva o coinvolgimento, di interazione – come si dice – che oggi diviene una sorta di intervento complementare cui lo spettatore è chiamato a sottoporsi per esplicitare il significato di un’opera. Insomma, che l’opera non possa valersi della corrispondenza con l’osservatore è perché semplicemente l’opera non può concepire l’esistenza né tanto meno la presenza di chi la osserva.

Non posso evitare di leggere infelici espressioni di uso corrente come “fare arte”, “fare politica” o “fare sesso”... mi limito a dire che l’arte fa da sé, non sa che farsene di noi e si manifesta senza interlocutori e intermediari. La sua parola – o il suo silenzio – sono quanto di più lontano dall’ambito di quella sconsiderata idolatria della comunicazione praticata dalle dilaganti kermesse di fiere e festival. La parola dell’arte è il silenzio. Ritengo insomma superata la stagione delle prediche liberatorie: “la rivoluzione siamo noi” (ieri) o “salviamo il pianeta” (oggi). Nessuno dunque è in grado di “fare arte” perché è l’opera, essa stessa, ad accedere alla cifra segreta e immutabile della propria esistenza.

L’arte non parla, non è né pubblica né sociale come si torna oggi ad affermare, per esempio attraverso la pratica della Street Art, la funzione di “cura del mondo” e ogni altra formula o congettura mirate a corrompere la vocazione sommessa e malinconica del singolo artefice.

L’arte non è né potrà mai essere politica. Ma cos’è, cosa sarà mai quell’immagine miracolosa capace di manifestarsi pur rimanendo segreta e di abbagliare lo sguardo innocente dell’osservatore? Del resto noi che guardiamo altro non vorremmo vedere se non quella luce, a rischio di perdere la vista. Di trovarci al buio impenetrabile dietro al sipario sulla scena dei nostri giorni.

Giulio PaoliniGiulio Paolini “Quando è il presente?” 2022 Museo del Novecento, Firenze. Photo Alessandra Cinquemani


Tutto ciò che tutti i giorni vediamo, leggiamo o ascoltiamo è una barriera sorda e opaca che non lascia trasparire il “non detto”, ovvero la parola dell’arte. “Art happens” – dice Whistler citato da Borges – “L’arte succede, accade. L’arte è un piccolo miracolo... che sfugge in certo modo all’organizzata causalità della Storia. Sì, l’arte accade o non accade; questo non dipende dall’artista”. Una sentenza inequivocabile, alla quale mi limiterei ad aggiungere: “quando l’artista si crede Autore, perde la propria innocenza”.

Questa esposizione allinea le mie più recenti e forse ultime prove (come appunto l’ultima opera in mostra recita nel titolo L’ultimo sigillo), in gran parte realizzate espressamente per questa occasione.
Insomma il senso (se di senso si può parlare) di un’esposizione non riguarda il chi o il che cosa, chi sia cioè l’autore e cosa significhino le opere esposte. Un’opera non concederà mai a nessuno, in nessun caso, il pieno possesso delle sue generalità e il suo autore sarà soltanto il primo testimone prescelto per compiere la delicata missione di custodire un insondabile segreto. L’opera riguarda invece il come e il perché, cioè le ragioni (sempre che ve ne siano) che determinano l’apertura del sipario della rappresentazione.
È la rappresentazione a dar nome alle cose, a mostrarle promuovendole a personaggi e figure che soltanto così riusciamo a riconoscere.

Giulio PaoliniGiulio Paolini “Quando è il presente?” 2022 Museo del Novecento, Firenze. Photo Alessandra Cinquemani


Cinquant’anni di attività artistica, sempre protesa ad avvistare i segnali del nuovo, sono serviti paradossalmente a far arretrare le mie predilezioni di quasi tre secoli: oggi mi trovo a corrispondere con qualcosa che non mi è facile individuare e collocare nella tavola sinottica cui fare riferimento. “Et in Arcadia ego”: forse l’immagine più promettente, condivisibile, è un panorama di rovine classiche per la fascinazione che una tale visione procura ai nostri occhi, desiderosi di consolazione e riposo.

Terra, cielo, personaggi come figure esitanti fra tanta grandezza che ci sovrasta e ci relega al ruolo complementare di pellegrini o viandanti: luoghi posseduti da qualcosa di superiore, inaccessibile ai nostri passi.

“Quando è il presente?” si chiedeva Rilke e ancora noi ci chiediamo: dentro o fuori dal Tempo? Solo l’arte, eccezione o testimone dell’eternità, è in grado di risolvere le contraddizioni della cronologia, l’illusione di un’apparenza. Ma se – come si dice – l’apparenza inganna, dove mai potremo volgere lo sguardo? L’opera è lì, la vediamo ma non riusciamo a raggiungerla. Dunque, fissare in profondità fino a dimenticare il soggetto è la condizione necessaria per poter penetrare la superficie dietro alla quale scorgiamo il profilo sempre uguale e sempre diverso, di un modello ancora sconosciuto, capace però di risvegliare nella nostra memoria un’antica e rinnovata “conoscenza”.

Guardare un quadro significa vederlo a occhi chiusi, dimenticarlo – e quindi esserne osservati – come accade a chiunque riesca a trovarsi in condizioni normali (per esempio in un museo o a teatro) piuttosto che in condizioni accidentali (per esempio nella vita). Prendere distanza da ciò che ci tocca, mettersi in viaggio senza muovere un passo.
Guardare, vedere, dimenticare... Andata, ritorno, fine.

 

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“Quando è il presente?”
A cura di Bettina Della Casa e Sergio Risaliti
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