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Fondazione Trussardi
Fata Morgana
Memorie dall’invisibile

 
Fata Morgana Fata Morgana: memorie dall'invisibile, 2025. Installation view, Courtesy Fondazione Nicola Trussardi. Ph Marco De Scalzi.


ARTEXT
Sintomo
L'invenzione del tempo


Per arrivare a Palazzo Morando alla mostra “Fata Morgana: memorie dall’invisibile” si attraversa il quartiere della Moda, uno spazio magico che con la sua geometria precisa e la sua densità di segni, funziona oggi come un contenitore di desideri, di proiezioni, di storie che si intrecciano lungo un tracciato urbano carico di tempo psichico — fatto di rituali quotidiani, gesti estetici, apparizioni fugaci. Un quadrato magico di flussi, un modo di ordinare l’esperienza, di ricordare ciò che resta quando nelle forme, i suoi movimenti la vita sembra evaporare.
L’abito dunque che qui comporta la creazione di un “mito della novità”, la celebrazione della rottura, e della notazione continua del vedersi vedere.

Eppure sotto questa rotazione incessante del guardaroba pulsa una memoria: quella del corpo umano che veste, trasforma, consuma e trasmette. In vendita, l’eco delle stagioni che l’hanno preceduto, ciò che veste, delle storie che hanno attraversato quel tessuto, delle figure che abiteranno un evento temporale: un’interruzione e insieme una prosecuzione di un flusso che raccoglie memoria, desideri, status, appartenenze. In questo senso le stagioni della moda sono come anni — cicli — strati di tempo – Ma tuttavia tessuto, costruzione sul corpo che introduce una nota di fragilità: la moda come promessa di eternità dell’immagine, ma anche come testimonianza della mortalità, della caducità del corpo e delle sue stagioni.

In scena la memoria vivente che forse in questa dialettica tra corpo e immagine trova il suo testo più evidente proprio nella trasparenza: superfici di scambio, vetrine come memorie di un sogno luminoso.
Di Giorgio Armani che come architetto dell’essenziale, ha costruito un impero dei segni, riformulando il simbolo di modernità.
Krizia che trasformava le stagioni in cicli di identità, reinventava il corpo trascrivendolo forse da quel dialogo di Platone che racconta di Atlantide in quel “ritorno dell’immagine” che continua a vivere come sintomo e dissimulazione.

La moda, l'abito resta un ancoraggio al corpo, alla sua fisicità, al tempo concreto per entrare in ogni ruolo. Eppure la sua ciclicità incarna anche una dialettica tra memoria e oblio: ogni stagione consuma la precedente, ma ne lascia tracce, fantasmi, impronte. Le vite quelle invisibili, sfuggenti, che abitano l’abito, il filo, la piega, il ricordo. Sarà in mostra questa tensione che si fa presente: l’invisibile che prende forma? l’abito si dà quindi a vedere, spazio se ne traccia la durata… gesto fa riaffiorare, l'immagine improntata di tempo cui esso dà vita e movimento?

Eccoci un po' meglio attrezzati per comprendere i paradossi di una storia delle immagini concepita come una storia di fantasmi - sopravvivenze, latenze e ritornanze mescolate allo sviluppo più manifesto dei periodi e degli stili. Una delle formule più sorprendenti di Warburg quella che lo ha portato a definire la storia delle immagini da lui praticata come una «storia di fantasmi per adulti» (Gespenstergeschichte flür]ganz Erwachsene). Ma di chi sono, da dove vengono, di quando sono questi fantasmi? I mirabili testi di Warburg sul ritratto - con il loro connubio di precisione archeologica ed empatia melanconica – fanno subito pensare che questi fantasmi riguardino l'insistenza, la sopravvivenza di una post-morte.

Scienza del sintomo, dunque, come «patologia del tempo» resa leggibile agli altri. Ma lo trasmette anche all'interno di se stesso come esperienza del sintomo, come «empatia del tempo» in cui rischia di perdersi. Sarebbe questa la dialettica dell'immagine proposta da Aby Warburg che renderà giustizia ai ‘rischi del mestiere» di storico’.

Fata MorganaFata Morgana: memorie dall'invisibile, 2025. Installation view, Courtesy Fondazione Nicola Trussardi. Ph Marco De Scalzi.


Fata Morgana
Memorie dall’invisibile
Beatrice Trussardi

Fata Morgana è un personaggio mitologico appartenente al ciclo delle leggende di Re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda, spesso associata a luoghi misteriosi come l'isola di Avalon, terra di passaggio tra il mondo dei vivi e quello dei morti: nell’immaginario collettivo è una maga potente – ora benevola, ora spietata, custode di segreti, illusioni e mondi intermedi, capace di potenti incantesimi, sortilegi e inganni – ma anche, nelle interpretazioni più recenti, una donna libera, indipendente e anticonformista che vive senza seguire le regole imposte dalla società.

La mostra trae ispirazione dal poema Fata Morgana, scritto da André Breton nel 1940, e intreccia storia, arte e misticismo in un viaggio attraverso visioni, estasi, apparizioni e immaginari alternativi per esplorare il rapporto tra arte, occulto e dimensioni interiori. Con dipinti, fotografie, documenti, disegni e oggetti rituali Fata Morgana: memorie dall’invisibile presenta le opere di medium, mistiche e mistici, visionarie e visionari, artiste e artisti che hanno aperto varchi tra il visibile e l’invisibile. La mostra indaga le contaminazioni tra arti visive e fenomeni paranormali, esoterismo, spiritismo, teosofia e pratiche simboliche, restituendo un panorama vibrante e frammentario di ricerche nate ai margini della storia ufficiale ma capaci di trasformare radicalmente le convenzioni dell’arte e della società.

Al centro della mostra ha un posto di rilievo un prezioso nucleo di opere di Hilma af Klint, leggendaria pittrice svedese che agli inizi del Novecento – guidata da presenze medianiche – sviluppò un linguaggio astratto del tutto originale, precorrendo pionieri dell’astrazione come Wassily Kandinsky e Piet Mondrian.
Accanto a quelle di Hilma af Klint verranno presentate opere e documenti di altre straordinarie figure storiche tra cui Georgiana Houghton, Emma Kunz, Linda Gazzera, Hélène Smith, Eusapia Palladino, Carol Rama, Man Ray, Pierre Klossowski, Victorien Sardou, Augustine Lesage, Annie Besant e Wilhelmine Assmann, che saranno poste in dialogo con artiste e artisti contemporanei che hanno interrogato gli stessi temi attraverso nuovi media e nuovi linguaggi come, tra gli altri, Judy Chicago, Kerstin Brätsch, Marianna Simnett, Andra Ursuţa, Diego Marcon e Chiara Fumai. In mostra anche alcuni preziosi testi provenienti dalla biblioteca della Contessa Morando, concessi in prestito dalla Biblioteca Trivulziana.

“Con Fata Morgana la Fondazione Nicola Trussardi rinnova la propria vocazione a esplorare territori artistici inattesi e a dare spazio a narrazioni alternative, portando l’arte contemporanea oltre i confini tradizionali – dichiara Beatrice Trussardi, Presidente della Fondazione Nicola Trussardi –. Dopo progetti come La Grande Madre e La Terra Inquieta, ci confrontiamo oggi con il potere perturbante dell’invisibile: in un’epoca attraversata da nuove forme di spiritualità e di ricerca interiore, abbiamo scelto di indagare come ciò che sfugge alla vista continui a segnare profondamente la storia dell’arte e a interrogare il presente.
Non è un caso che il poema Fata Morgana di André Breton sia stato scritto nel 1940: nei momenti più bui, il bisogno di immaginare un altrove e di riconnettersi a dimensioni invisibili si fa più urgente. Questo progetto nasce dall’incontro tra visioni radicali e sensibilità eccentriche, in un intreccio di arte, scienza e ignoto che interpreta pienamente la missione culturale della Fondazione.”

Fata MorganaFata Morgana: memorie dall'invisibile, 2025. Installation view, Courtesy Fondazione Nicola Trussardi. Ph Marco De Scalzi.


Voci dall'altrove
Daniel Birnbaum,
Massimiliano Gioni,
Marta Papini


"La clef des songes ouvre la porte des morts."
André Breton, Fata Morgana, 1940

In Fata Morgana, composta in esilio e sotto l'incombere della guerra, André Breton dà forma a una delle espressioni più incandescenti della vocazione medianica del Surrealismo. La poesia non si articola in una confessione o in una narrazione personale, ma in una serie di dichiarazioni oracolari e immagini visionarie, che sembrano sgorgare da una fonte che trascende il sé. Attingendo alla scrittura automatica, al simbolismo alchemico e alla figura della celebre maga, Breton indica il poeta come medium del mira- colo: colui che incanala la conoscenza cosmica, non mediante il controllo, ma mediante la resa.

Fata Morgana non descrive il mondo: tende l'orecchio per capta- re trasmissioni. Le sue cadenze sono più vicine alla profezia che alla narrazione, la sua struttura più vicina a una seduta spiritica che a una sequenza lirica. Mette in scena la medianità e, al tempo stesso, la teorizza: "La clef des songes ouvre la porte des morts" ("La chiave dei sogni apre la porta dei morti")'. I sogni, qui, non si limi- tano a riflettere stati interiori, ma dischiudono zone che travalicano la psiche individuale.

Fata MorganaFata Morgana: memorie dall'invisibile, 2025. Installation view, Courtesy Fondazione Nicola Trussardi. Ph Marco De Scalzi.

A metà del XX secolo, André Breton aveva spostato la sua attenzione dalle tecniche dell'automatismo psichico, praticate all'interno del gruppo surrealista, alla produzione visionaria involontaria di artisti sconosciuti e medianici. Questi creatori - autodidatti, spesso socialmente emarginati e il più delle volte impegnati in pratiche basate sullo spiritismo e la trance incarnavano, per Breton, una forma più pura di espressione surrealista, non contaminata dall'ambizione artistica o dal calcolo estetico.
Breton si riferiva al loro lavoro con il termine 'medianico', non solo in senso spiritista, ma anche per indicare che tali artisti fungevano da canali per una forza che oltrepassava il loro controllo cosciente.

Chiamando la mostra "Fata Morgana: memorie dall'invisibile", rendiamo omaggio a questa visione e lasciamo che essa si espanda oltre i confini storici e geografici che definirono il Surrealismo come movimento storico.
Breton notoriamente espelleva individui dal movimento con uno zelo che sconfinava nel dogmatismo ecclesiastico. Eppure, per paradossale che sia, al tempo stesso ammetteva e glorificava personaggi distanti o deceduti, privi di qualsiasi affiliazione con il gruppo surrealista e, in molti casi, ignari perfino della sua esistenza.
Potrebbe risiedere proprio in questo la sua eredità più duratura - certo più affascinante della sua militanza direttiva: Breton riconosceva la grandezza dove pochissimi dei suoi contemporanei erano disposti a guardare e forgiò un concetto di arte elastico e generoso, che sembra essere rilevante anche per i nostri tempi. Celebrò forme di produzione estetica che sfidano le ortodossie della curatela istituzionale e riservano uno scarso rispetto ai modi tradizionali di categorizzare il mondo.

La mostra, prodotta dalla Fondazione Nicola Trussardi, è concepita appositamente per gli spazi di Palazzo Morando, un tempo residenza di una figura affascinante: la contessa Lydia Caprara Morando Attendolo Bolognini (1870-1954). Alla tenebrosa periferia del modernismo spirituale europeo, questa donna si erge come una presenza singolare, capace di incarnare, attraverso la propria vita, l'intreccio tra privilegio aristocratico, curiosità per l'occultismo e ambizione metafisica. Nobile italiana nata ad Alessandria d'Egitto in una ricchissima famiglia di banchieri di origine veneziana, si muoveva nelle cerchie sociali dell'élite e, al contempo, coltivava un profondo interesse per le tradizioni esoteriche, in particolare per la teosofia, lo spiritismo e il lascito mistico dell'Ermetismo rinascimentale'.(2)

Fata MorganaFata Morgana: memorie dall'invisibile, 2025. Installation view, Courtesy Fondazione Nicola Trussardi. Ph Marco De Scalzi.

Pur non essendo famosa quanto Helena Blavatsky, Bolognini faceva parte di una costellazione di donne europee a cui lo status sociale permetteva di fare da mediatrici tra cercatori spirituali e cultura istituzionale. Il suo salotto milanese era, a quanto pare, un luogo di incontro per artisti e intellettuali all'intersezione tra misticismo e sperimentalismo d'avanguardia. Come le sue contemporanee in Francia, Inghilterra e Scandinavia, gravitò verso la teosofia, filtrata però da una lente distintamente italiana, imbevuta di neoplatonismo, simbolismo dantesco e tradizione mistica cattolica, Bolognini si concentrò sulla medianità e la scrittura automatica, che considerava una via legittima per la comprensione metafisica, A quanto si racconta, partecipava a sedute spiritiche e intratteneva una fitta corrispondenza con i circoli spiritisti di tutta Europa. I suoi archivi - frammentari e in gran parte inediti - includono invocazioni, annotazioni sulla proiezione astrale e riflessioni sulla reincarnazione, che riecheggiano il linguaggio di Blavatsky, ma rivelano anche una smaccata affinità con gli scritti mistici di Jacob Böhme e Giordano Bruno'.(3)

Difficile immaginare una sede migliore per "Fata Morgana: memorie dall'invisibile", che prende spunto da una concezione estesa del Surrealismo, quella che includeva praticanti della medianità come Madge Gill, Fleury-Joseph Crépin e Augustin Lesage: artisti i cui lavori erano generati attraverso un processo automatico, quasi in uno stato di incoscienza. Nel 1945, a Haiti, Breton arrivò persino a celebrare l'arte di Hector Hyppolite, intrisa di vudù. Nessuna di queste figure aderiva alle precedenti dottrine di Breton; alcuni non si identificavano nemmeno come artisti nel senso occidentale del termine. Eppure, Breton li incluse, in modo retroattivo o trans-storico, all'interno del Surrealismo.

Già nel Manifesto del 1924, Breton racconta di una frase che entrò nella sua mente "con la forza terrificante di un oracolo", segno di una voce interna capace di parlare autonomamente, al di là del controllo cosciente. (4) Nel corso del tempo, sarebbe giunto a vedere questi personaggi autodidatti estranei alla cerchia del Surrealismo come praticanti più avanzati o più radicali di questa modalità di ricezione. Quelle persone non imitavano stati onirici, ma vive- vano al loro interno. Le loro opere non erano immaginate, ma trasmesse. Per Breton, era proprio la loro evidente marginalità a costituire la fonte della loro autorevolezza.

Fata MorganaFata Morgana: memorie dall'invisibile, 2025. Installation view, Courtesy Fondazione Nicola Trussardi. Ph Marco De Scalzi.

Augustin Lesage (1876-1954) era un minatore francese di carbone che, nel 1911, dichiarò di sentire una voce mentre lavorava nel sottosuolo: "Sarai un pittore". Privo di educazione formale, Lesage cominciò a realizzare tele monumentali e rigorosamente simmetriche, piene di motivi architettonici, fantasie floreali ed elaborati sistemi ornamentali. Raccontò che non sapeva mai in anticipo che cosa avrebbe dipinto, e si limitava a obbedire agli spiriti guida che, secondo lui, muovevano la sua mano. (5) Breton celebrò il lavoro di Lesage come un modello di produzione automatica, spogliata dell'ego e della vanità artistica. In occasione del catalogo del 1947 per la "Exposition internationale du surréalisme", lo inserì tra i grandi visionari dell'arte moderna".(6)

Spiritista in un modo ancora più esplicito era Fleury-Joseph Crépin (1875-1948), un altro autodidatta di estrazione operaia, che cominciò a dipingere in risposta ai messaggi dall'aldilà. Dopo la morte del figlio, Crépin affermò di essere in contatto con uno spirito guida che gli ordinò di creare esattamente trecento quadri per contribuire a portare la pace nel mondo. L'ultimo venne completato poco prima della fine della Seconda guerra mondiale. I lavori di Crépin, come quelli di Lesage, si basano su una simmetria ossessiva e sembrano seguire una logica geometrica, architettonica o sacra, spesso, con motivi simili a gioielli o strutture da cattedrale. Nel 1945 Breton vide i suoi quadri e scrisse con ammirazione del loro strano potere e della loro origine profetica, definendoli "strutture in sospensione": immagini criptiche e senza tempo, dettate da una ragione soprannaturale. Inserì Crépin accanto a Lesage nei suoi testi e mostre tardivi, in particolare in L'Art magique (1957), in cui sostenne che quei lavori rivelavano "il ritorno del pensiero magico nella sua forma più autentica".(7)

Fata MorganaFata Morgana: memorie dall'invisibile, 2025. Installation view, Courtesy Fondazione Nicola Trussardi. Ph Marco De Scalzi.

L'artista britannica Madge Gill (1882-1961) produsse decine di migliaia di disegni a inchiostro, spesso sotto la guida di uno spirito che chiamava Myrninerest. Lavorando perlopiù di notte e spesso in stato di trance, Gill creava opere intricate e ossessive, spesso popolate di figure femminili fluttuanti, motivi a spirale e ripetizioni architettoniche. Espose raramente la sua arte e di solito rifiutava di venderla, affermando che non le apparteneva.

In tutta apparenza l'artista agisce come un essere medianico che, dal labirinto al di là del tempo e dello spazio, cerca la sua via di uscita verso una radura'.(9) Chi è l'artista dietro questo credo medianico, forse un membro della cerchia della contessa Bolognini o uno dei pittori autodidatti ed emarginati celebrati da Breton?

In realtà, questa affermazione non appartiene ad altri che a Marcel Duchamp, e non può certo essere liquidata come un lapsus o una battuta frivola, poiché viene ripetuta, più o meno parola per parola, in alcune delle più note conversazioni con l'artista. È dunque lecito chiedersi come questa fede nelle pratiche medianiche possa riconciliarsi con l'idea consolidata di Duchamp come fondatore iperintellettuale dell'approccio concettuale nell'arte moderna, un pragmatico che notoriamente insisteva sulla necessità di reintrodurre la "materia grigia" nel mondo dell'arte moderna.
Se presa sul serio - e perché non dovrebbe esserlo? - questa dichiarazione motiva una volta per tutte una lettura alternativa dei primi anni dell'avanguardia europea e della sua introduzione negli Stati Uniti, diversa dalle versioni più consuete. Qui non possiamo presentare più di qualche istantanea.
Una fotografia scattata nel 1929 dal binario della stazione di Dessau cattura Vasilij Kandinskij e due ospiti internazionali: Marcel Duchamp e l'artista e collezionista americana Katherine S. Dreier (1877-1952).

Fata MorganaFata Morgana: memorie dall'invisibile, 2025. Installation view, Courtesy Fondazione Nicola Trussardi. Ph Marco De Scalzi.

Nel 1920, a New York, Dreier, Duchamp e Man Ray avevano fondato la Société Anonyme, Inc.: Museum of Modern Art, originariamente concepita come una biblioteca di consultazione di opere che incarnavano le nuove tendenze artistiche dell'epoca. Pur non avendo mai avuto una sede permanente per la sua collezione, la Société Anonyme fu la prima organizzazione negli Stati Uniti a descrivere se stessa come "museo di arte moderna". Nel 1923, Dreier organizzò la prima mostra personale di Kandinskij negli Stati Uniti, allestita nello spazio espositivo affittato dalla Société Anonyme al 19 della East 47th Street di New York e in seguito Kandinskij ne divenne vicepresidente. Nell'inverno del 1911-1912, Dreier raccontò che, nel periodo in cui studiva arte a Monaco, gli scritti di Kandinskij l'avevano aiutata a schiarirsi le idee. Poco dopo cominciò a farsi un nome come artista ed espose due lavori all'Armory Show del 1913, anche se la sua pratica fu senza dubbio oscura- ta da quella di celebri contemporanei come Kandinskij e Duchamp.

Così come Hilla von Rebay, prima direttrice del Guggenheim Museum di New York, Dreier era una teosofa. Il suo intento era che i quadri da lei realizzati contribuissero a un più ampio rinnovamento spirituale, contribuendo a combattere il materialismo dominante. Oltre a leggere gli scritti di Kandinskij, studiò anche Teosofia di Rudolf Steiner, pubblicato nel 1904. È interessante confrontare queste due importanti promotrici dell'arte moderna negli Stati Uniti. Anche Rebay era un'artista a pieno titolo e, come Dreier, era attirata dai movimenti esoterici del suo tempo. Frequentò i corsi di Rudolf Steiner più o meno nello stesso periodo in cui Dreier lo ascoltò parlare a Monaco. Entrò nella Società Teosofica nel 1909 e, come molti degli artisti che in seguito avrebbe sostenuto come curatrice, riteneva che le filosofie occulte fossero fondamentali per comprendere le aspirazioni più profonde di questa nuova arte non oggettiva. "La Non-Oggettività sarà la religione del futuro" scrisse nel 19370. (10)
Non molto tempo dopo che Dreier lasciò Monaco nel 1912, il venticinquenne Duchamp che sarebbe anche diventato il suo consigliere più influente - arrivò in città, dove trascorse i successivi tre mesi. Durante il suo soggiorno, si immerse nell'ultimo libro di Kandinskij, Lo spirituale nell'arte e ricevette lui stesso una menzione, seppur di sfuggita, nell'almanacco del Blaue Reiter come artista da tenere d'occhio". (11)

Tracey EminFata Morgana: memorie dall'invisibile, 2025. Installation view, Courtesy Fondazione Nicola Trussardi. Ph Marco De Scalzi.

Perché Monaco? "Nel 1912 Monaco era a tutti gli effetti diventata [...] la capitale europea dell'occultismo" come disse Jean Clair, uno dei primi storici dell'arte a esplorare il rapporto di Duchamp con l'esoterismo europeo". (12) Clair elenca una quantità sorprendente di associazioni spirituali, medium e figure carismatiche che all'epoca risiedevano nella capitale bavarese e si chiede che impatto potesse avere questa atmosfera permeata di occultismo sull'artista francese, che in quella fase precoce della sua carriera era già considerato un cubista: "Nel 1907 la Società Teosofica tenne la generale annuale a Monaco; tra il 1909 e il 1913 in città venivano regolarmente messi in scena i Misteri drammatici di Rudolf Steiner. In quegli anni il grande maestro teosofico, che nel 1913 si distanziò dalla dottrina di Blavatsky, organizzò anche conferenze che Klee, Kandinskij, Jawlensky, Gabriele Münter e Marianne von Werefkin furono tutti ansiosi di ascoltare. Duchamp andò a sentirne qualcuna? Se si considera lo zelo con cui annotò la sua edizione di Lo spirituale nell'arte, come poteva non essere tentato di sentire il maestro parlare dal vivo?". (13)

Il giovane Duchamp - in seguito divenuto famoso per il suo freddo intelletto e la sua sottile ironia - era davvero aperto al misticismo moderno di questa città tedesca che egli stesso, in seguito, avrebbe descritto come la città della sua "liberazione assoluta"? Jean Clair osserva che, più o meno in quel periodo, Duchamp era in effetti interessato a concetti quali le aure e le aureole. Come membro della Section d'Or di Parigi - un collettivo di artisti e scrittori asso- ciati al Cubismo e all'Orfismo - Duchamp aveva studiato la teoria esoterica della quarta dimensione e citava regolarmente l'idea secondo cui le cose nel nostro mondo fisico potrebbero essere, in realtà, ombre proiettate da sfere invisibili che si muovono in un'altra dimensione.
Rebay, Dreier e Duchamp furono figure fondamentali nell'introduzione dell'avanguardia europea negli Stati Uniti. Vale la pena sottolineare come tutti e tre fossero irresistibilmente attratti dalle tradizioni esoteriche e come Duchamp abbia difeso aperta- mente le forme medianiche di creazione artistica, senza mai arre- trare rispetto a questa convinzione. Nel 1966, ormai quasi ottantenne, dichiarò alla critica d'arte Dore Ashton: "Vede, io credo nel ruolo medianico dell'artista". (14) E già nella celebre conferenza, "The Creative Act" (L'atto creativo), tenuta nel 1957 al Museum of Modern Art di New York, Duchamp aveva chiarito con forza la sua posizione:

Fata MorganaFata Morgana: memorie dall'invisibile, 2025. Installation view, Courtesy Fondazione Nicola Trussardi. Ph Marco De Scalzi.

In tutta apparenza, l'artista agisce come un essere medianico che, dal labirinto al di là del tempo e dello spazio, cerca la sua via di uscita verso una radura. Se conferiamo all'artista gli attributi di un medium, dobbiamo a quel punto negargli sul piano estetico lo stato di coscienza su ciò che sta facendo o perché. Tutte le sue decisioni nell'esecuzione artistica del lavoro poggiano sulla pura intuizione e non possono essere tradotte in una autoanalisi, scritta o parlata, o anche solo pensata". (15)

Ancora una volta, questa potrebbe giungere come una sorpresa da parte di un artista che è comunemente considerato il fondatore del concettualismo. Eppure, ciò che qui suona come il discorso di uno spiritista richiama alla mente il commento della pittrice svedese Hilma af Klint, secondo cui i suoi quadri veniva- no dipinti "attraverso" di lei, "senza nessuno schizzo preliminare, con forza trascinante". (16) La fiducia di Duchamp nel rapporto tra arte e sfera trascendentale torna alla luce negli anni cinquanta, in quella che resta la sua unica intervista televisiva di una certa durata, condotta da James Johnson Sweeney, successore di Hilla von Rebay alla direzione del Solomon R. Guggenheim Museum: "L'arte è uno sbocco verso regioni che non sono governate da tempo e spazio" (17).

Creatività, dice Gilles Deleuze, è una parola che dovremmo lasciare ai parrucchieri. Senza dubbio avrebbe potuto dire lo stesso di un altro concetto, anch'esso logorato da secoli di uso improprio: ispirazione. (18)
Come dovremmo chiamare, però, quei momenti di sconvolgimento attorno al 1906 in cui Hilma af Klint ricevette e accettò il grandioso compito di realizzare dipinti a livello "astrale"? Quel compito le si presentò come un mandato proveniente da un'autorità che le era esterna, come chiariscono, senza ombra di dubbio, i suoi scritti. A quanto pare, af Klint era convinta che i suoi quadri convogliassero forze spirituali, registrando messaggi trasmessi dai suoi Maestri durante le sue esperienze medianiche. In effetti, che altro avrebbe potuto pensare? Nel 1906, nessun altro aveva simili ispirazioni o dipingeva quadri come i suoi. Quella dovette apparire come l'unica spiegazione plausibile. ca con una certa visibilità e successo nella sua Svezia natale, infatti, Nonostante il fatto che lei fosse un'artista di formazione accademi- immagini. E nel 1907 nessuno avrebbe potuto prevedere i suoi gran- nessuno in quegli anni l'avrebbe incoraggiata a dipingere quelle di quadri astratti, alti più di tre metri: nessuno nella comunità arti nessuno sulla Terra in grado di legittimare l'ambizione di af Klint a stica né nella comunità esoterica. "Poiché non c'era letteralmente produrre lavori nell'ordine dei "The Ten Largest"" - scrive Branden - "lei cercò e ricevette l'autorizzazione da una forza ultraterrena". (19)

Fata MorganaFata Morgana: memorie dall'invisibile, 2025. Installation view, Courtesy Fondazione Nicola Trussardi. Ph Marco De Scalzi.

L'autorizzazione di una forza soprannaturale... è questo che oggi chiamiamo ispirazione? Qualcuno ha forse una nozione preci- sa di ciò che nelle "epoche forti" era inteso con quella parola? È questa la domanda che Nietzsche affronta di petto in Ecce Homo , il suoultimo libro:

Se si serba in sé anche un minimo residuo di superstizione, sarà difficile riuscire a rifiutare di fatto la rappresentazione secondo cui noi siamo soltanto incarnazione, soltanto strumento sonoro, soltanto medium di poteri che ci sovrastano. Il concetto di rivelazione, nel senso di qualcosa che, subitanea- mente, con indicibile sicurezza e sottigliezza, si fa visibile, udibile, qualcosa che ci scuote e sconvolge nel più profondo, è una semplice descrizione dell'evidenza di fatto. Si ode, non si cerca; si prende, non si domanda da chi ci sia dato; un pensiero brilla come un lampo, con necessità, senza esitazione [...]. (20)

Quando si è trasformati nel medium di una forza onnipotente, e nuove idee divampano come tuoni, il nostro io si riempie della sensazione estatica di essere fuori da sé. In ciò che resta il resoconto più interessante e citato della rivelazione artistica, o ispirazione, Nietzsche sottolinea la natura involontaria delle immagini e la passività del medium stesso. L'esplosione intensa e turbolenta di libertà e di potere assoluto che descrive è forse assimilabile alle sensazioni che af Klint documentava nei suoi taccuini attorno al 1906 e manifestava nei suoi primi cicli di quadri non figurativi di quell'anno? Il tono è diverso, ma il vocabolario spirituale non è dissimile dal racconto di Nietzsche:

Tracey EminFata Morgana: memorie dall'invisibile, 2025. Installation view, Courtesy Fondazione Nicola Trussardi. Ph Marco De Scalzi.

C'è la sensazione di essere completamente fuori da sé stessi, con la coscienza ben distinta di infiniti, delicati brividi che arrivano fino alla punta delle dita dei piedi; c'è una felicità pro- fonda in cui le parti più dolorose e oscure non distolgono dall'intero ma sono prodotte e richieste come sfumature necessarie di colore in un tale eccesso di luce... Tutto avviene in modo abbastanza involontario come in una tempestosa esplosione di libertà di potere assoluto e divinità. La natura involontaria delle immagini e analogie è l'aspetto più degno di nota [...]" (21).

Può senz'altro sembrare stravagante accostare la pittrice svedese profondamente devota all'iconoclasta moderno per eccellenza, anche se entrambi esperivano la beatitudine e la sofferenza delle forze soprannaturali.
D'altra parte, non si dovrebbe esagerare l'originalità degli interessi occulti di af Klint. Come chiarisce questa mostra, all'epoca, le pratiche esoteriche andavano molto di moda. Numerosi autori hanno osservato che af Klint condivideva i suoi interessi esoterici con i più noti dei primi astrattisti, e che, all'inizio del XX secolo, Stoccolma fu visitata dai principali rappresentanti di diversi movimenti occultisti.
Di tanto in tanto, Breton volgeva lo sguardo al Nord. La sua versione allargata del Surrealismo rimandava a diversi scrittori svedesi, e L'Art magique (L'artemagica, 1957) accosta Emmanuel Swedenborg a una stirpe di visionari spirituali che aggirano la ragione in cerca di una logica più elevata. Quello che attirava Breton verso il mistico non era la religione dottrinale ma l'immaginario profetico. Swedenborg non si serviva della ragione per raggiungere la verità, ma la riceveva in stati estatici, attraverso sogni e dialoghi con forze invisibili. Breton riconosceva in questo una profonda affermazione dell'automatismo, non come espediente letterario, ma come ricettività cosmica, uno strumento per parlare di ciò che la mente razionale non è in grado di afferrare.

Fata MorganaFata Morgana: memorie dall'invisibile, 2025. Installation view, Courtesy Fondazione Nicola Trussardi. Ph Marco De Scalzi.

Se Swedenborg offri al Simbolismo una cosmologia simbolica, August Strindberg forni un modello letterario e psicologico di disintegrazione interiore. Già nel Manifesto del 1924, Breton include Strindberg nei precursori del movimento surrealista. Ciò non deve sorprendere, perché le sue storie frammentarie, il confondersi di causa ed effetto, il simbolismo delirante ricordano le tecniche che i surrealisti avrebbero in seguito perseguito con la scrittura automatica e la trascrizione dei sogni.
Quello che avrebbe pensato Breton di Hilma af Klint, oggi forse considerata la più grande tra gli artisti visionari del Nord, non può che restare una congettura. Senza dubbio i due condividevano un entusiasmo profondo per gli stati di trance e la canalizzazione medianica. Senza dubbio, entrambi cercavano la chiave d'accesso al mondo dei sogni. Chiavi che nelle parole di Breton - "aprono la porta dei morti".

Fata MorganaFata Morgana: memorie dall'invisibile, 2025. Installation view, Courtesy Fondazione Nicola Trussardi. Ph Marco De Scalzi.

Note
1 André Breton, Fata Morgana, in Poesie, Einsudi, Torino 1070.
2 Ritratto di una contessa. Lydia Caprara Morando Attendolo Bolognini, a cura di M.C. Brunati, Officina libraria, Milano 2020.
3 La copia annotata di Lydia Bolognini di La dottrina segreta di Blavatsky è conserva- ta alla biblioteca esoterica della contessa presso la Trivulziana di Milano.
4 A. Breton, Manifestoes of Surrealism, Uni- versity of Michigan Press, Ann Arbor 1972, P. 24.
s M. Thévoz, Art Brut, Rizzoli, New York 1976, pp. 62-65.
6 A. Breton, Préface, in Le Surréalisme en 1947, Maeght, Paris 1947, pp. 6-7.
7 1d., L'Art magique, Club français du livre, Paris 1957, pp. 18-25.
8 J. Maizels, Raw Creation: Outsider Art and Beyond, Phaidon, London 1996, pp. 84- 89.
9 M. Sanouillet, E. Peterson (a cura di), The Essential Writings of Marcel Duchamp, Thames & Hudson, London 1975, p. 138. 10 J.M. Lukach, Hilla Rebay: In Search of the Spirit in Art, George Braziller, New York 1983, p. 96.
11 V. Kandinskij, Der Blaue Reiter, Piper, München 1914, p. 41. https://archive.org/ details/derblauereiter00kand/page/40/m ode/2up?q=Duchamp&view=theater
12 J. Clair, Sur Marcel Duchamp et la fin de l'art, Gallimard, Paris 2000, p. 30. 13 Ivi, p 32.
14 D. Ashton, An Interview with Marcel Duchamp, in "Studio International 171", n. 878, giugno 1966, p. 245.
15 M. Sanouillet, E. Peterson, op. cit., p. 138.
16 Per il metodo medianico di af Klint, si veda D. Birnbaum, J. Voss, Hilma af Klint and Wassily Kandinsky träumen von der Zu- kunft, S. Fischer, Frankfurt 2024.
17 Marcel Duchamp, in J. Nelson (a cura di), Wisdom: Conversations with the Elder Wise Men of Our Day, W.W. Norton, New York 1958, p. 99.
18 L'Abécédaire de Gilles Deleuze, con Claire Parnet. Diretto da Pierre-André Boutang (1996).
19 B.W. Joseph, Knowledge, Painting, Ab- straction and Desire, in Hilma af Klint: Seeing is Believing, Koenig Books, London 2017.
20 F. Nietzsche, Beee Homo, a cura di R. Ca 21 Ibid. lasso, Adelphi, Milano 1998, pp. 98.99
21 Ibid.

 


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