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Antonello Ghezzi
Dialogo

 
Antonello Ghezzi Alla Luna, 2019, Antonello Ghezzi, Tapis roulant, struttura, Palazzina dei Bagni Misteriosi, Milano, foto di Melania Dalle Grave e Agnese Bedini


Artext - Antonello Ghezzi
Dialogo

Artext - Quale il lavoro in studio?

Antonello Ghezzi - Il nostro lavoro è fatto di momenti in cui condividiamo lo stesso spazio e non è sempre lo studio, spesso è l'automobile che usiamo per le varie trasferte, a volte è un tavolino di un bar.
Abbiamo la fortuna di avere uno studio immerso in un parco pubblico e così lo studio si estende ai prati e alle strade del giardino che percorriamo in lunghe passeggiate tra persone che corrono, bambini che giocano e altri che siedono sulle panchine. Camminare ci aiuta a riflettere e a condividere opinioni, a cercare spunti e lavorare sulle idee che prendono forma, intuizioni che a volte diventano opere d’Arte e altre invece svaniscono perché non erano così forti e cariche di senso.

AT - Quale esplorazione si compie entro questo perimetro. Quale il legame percepito che unisce il locale, lo studio, al globale, l'esposizione?

AG - Fare uscire le opere prima dal nostro cuore e dalla nostra immaginazione affinché prendano forma in studio e poi escano per essere esposte al pubblico è un processo che non è mai regolare, a volte è veloce e prende forma tra le mani e con gli attrezzi e i materiali, a volte è lento e richiede discussioni, ricerca, lettere, videochiamate, telefonate, sopralluoghi. A volte addirittura nello studio quell’idea non è mai entrata se non sfiorata dalle nostre dita sulla tastiera del computer, non per forza al tavolo del nostro studio.

Antonello GhezziBlow agaisnt the walls, 2017, Bolle di sapone, pigmento e muro, Galleria Testoni, Bologna, foto di Corradi


AT - È la sensazione e poi la cognizione - in un tessuto di relazioni - l'atto per indagare il visibile?

AG - A volte è così, sentiamo qualcosa che indaghiamo dialogando tra noi due. Tutte quelle parole scaturite possono diventare cognizione, consapevolezza e quindi desiderio o necessità che quel concetto diventi opera, prenda forma ed esista fuori dalle nostre immaginazioni, fuori dai nostri dialoghi. O può fermarsi lì.

AT - Quale il rapporto sensibile per chiarire le relazioni fra percezione e significazione?

AG - Il dover sempre condividere un pensiero prima che diventi un argomento di riflessione e poi prenda forma, prima che entri in studio diciamo, fa sì che non esista un processo definito, ma che ci sia quasi una clausola segreta per la quale se non c’è significato quella percezione non va oltre.
Ma spesso è tutto molto più semplice: nasce tutto con un “Sarebbe bello che esistesse…” e parte il nostro prodigarsi perché esista.

AT - Si testano relazioni e così si pensano i significati?

AG - La relazione è sempre la base dei nostri progetti (perché nasce ed evolve tra di noi), il suo proseguimento (perché spesso per costruire un’opera coinvolgiamo molte persone) e il suo fine ultimo (perché sono gli altri da noi, i destinatari dei progetti).

Antonello GhezziLegare la terra al cielo, 2021, Fili luminescenti e palloncini gonfiati ad elio, Colline di Savigno, Foto Flora del Debbio


AT - Create forse una dimensione performativa e di relazioni nell'opera, che si attua nella giunzione con lo sguardo pubblico?

AG - Le nostre opere sono spesso il frutto di relazioni, tra noi due in quanto coautori dell’opera stessa, con altre persone che spesso interpelliamo per la realizzazione di parti che non possiamo o non sappiamo realizzare e con l’opera stessa la quale a sua volta si relaziona con lo spazio in cui verrà inserita o per il quale è stata appositamente pensata.

Il pubblico entra in relazione con l’opera per forza di cose e quel momento è sempre unico. A volte è un discorso privato tra l’opera e l’osservatore, altre volte è pubblico in quanto l’opera cambia in relazione con chi le sta davanti e questo cambiamento è percepito da chiunque nelle vicinanze.

Capita per esempio in Mind The Door! che la porta non si apra se non c’è qualcuno davanti e se quel qualcuno non sorride. Quel sorriso può aprire altre porte lontanissime tra loro nel mondo, all’unisono, dove non c’è nessuno davanti ma abbiamo tuttavia una unica certezza, che da qualche parte qualcuno sta sorridendo.

Antonello GhezziLegare la terra al cielo, 2021, Fili luminescenti e palloncini gonfiati ad elio, Colline di Savigno, Foto di Janaima Costantini


AT - Esiste nel vostro lavoro un canone - un trattato che realizzi i temi del fare arte?

AG - Il nostro canone, se esiste, è che l’opera deve avere senso e deve essere necessaria. Ci chiediamo a come sarebbe il mondo se esistesse questa cosa e se nel risponderci ci sembra che sia anche solo un po’ migliore rispetto a prima, anche solo per una persona, allora ci impegniamo perché si realizzi.

Come quando abbiamo pensato Alla Luna, un tapis roulant che ci porta tutti insieme a colmare la distanza che ci separa dal nostro satellite. Un’opera che esiste solo attraverso i passi di chi ci avvicina a quel traguardo collettivo distante 384.400 km da qui.

O quando abbiamo pensato a Stringere lo spazio di te e di me: avevamo la sensazione che valesse la pena girare il mondo a collezionare strette di mano, quando poi l’abbiamo realizzata per la prima volta ne abbiamo avuto la certezza. Si tratta di una performance che si fa infine installazione, dove ogni piccola scultura non è altro che un pezzetto di argilla tenuto stretto tra le mani di due persone, come per cercare di rendere visibile l’invisibile.

Antonello GhezziMind the door, 2012, Antonello Ghezzi, Porta automatica, Pinacoteca Nazionale di Bologna, Milano, foto di Fabio Mantovani


AT - Attivate un metodo di computazione per la creazione di oggetti d'arte?

AG - Non per forza, non sempre.

AT - Fate riferimento alla storia dell'Arte oppure questa è dunque terminata... come manifestazione sensoria dello spirito? (in riferimento ad un canone.)

AG - Pensiamo di no altrimenti non saremmo qui, faremmo altro se non ci fosse più altro da fare, ma finché ci sarà la Storia ci sarà anche la Storia dell’Arte.

AT - Siete tentati a dare esigenza interna di autoriflessività e legittimazione alla vostra opera?

AG - Sicuramente non possiamo fare a meno di confrontarci con gli altri artisti, del passato o del nostro presente, è normale che sia così ma come ci relazioniamo con tutto il resto, non solo con gli artisti.
Non è un pensiero fisso ma sicuramente cerchiamo di non essere anacronistici, non è il copiare che ci preoccupa piuttosto il realizzare opere che abbiano senso nel nostro tempo e che abbiano almeno l’ambizione di raccontare qualcosa anche in futuro.
Quando usiamo gli specchi o rappresentiamo le stelle siamo consapevoli che qualcun altro nel mondo lo possa aver fatto con la sua sensibilità, sia esso Pistoletto o Giotto.

Antonello GhezziStringere lo spazio di me e te (performance), 2020, Galleria Vannucci, Pistoia, foto di Massimiliano Vannucci


AT - Che importanza date all'immagine. Alcune vostre opere esistono solo come tali?

AG - Alcune nostre opere non hanno immagini, alcune sono soltanto sonore e in quel caso non esiste altro se non la documentazione di quel momento ma soltanto esserci stati ed aver ascoltato in diretta quei suoni può dare la percezione dell’opera.

In altri casi esistono frammenti, ricordi, tracce di quella performance o di quel momento che sono segni che possono in qualche maniera trasmetterne l’esperienza. C’è in particolare un progetto a cui siamo molto legati, Legare la terra al cielo, che era possibile solo in particolari condizioni. Dovevamo essere lontani dall’inquinamento luminoso delle città, doveva esserci la Luna nuova e quindi il buio totale. Alle persone venute, è stato chiesto di raggiungere il luogo scelto camminando nel buio dei campi per abituare gli occhi o non avrebbero visto nulla. Non avrebbero percepito quei sottili e fievoli fili luminosi che ci collegavamo al cosmo. Difficilmente un video o una foto potrà documentare quanto è stato vissuto con noi, quella notte magica, al buio e al freddo,

Anche nella performance Blow against the walls, ogni momento è composto dal soffio di bolle di sapone delle persone, nel tentativo di abbattere i muri che separano vite umane.

Realizzata in diverse parti del mondo (prima che le bolle di sapone diventassero veicolo pericoloso di germi), a volte abbiamo disegnato il muro, come a Beirut e ad Atene, altre volte l’abbiamo costruito, come a Bologna e in Bahrein, a New York invece abbiamo proiettato gli scatti della fotografa Flo Razowsky che ha documentato i muri sparsi nell mondo. Accesa la luce, i muri proiettati e le facce dei soldati armati sparivano, perché rimanessero sulla tela le tracce colorate delle bolle soffiate dai partecipanti.

AT - Nella vostra Estetica c'è tensione tra attività psichica ed espansione materiale? (quando l'esperito torna nel flusso andando incontro al suo destino : cadere nel dimenticatoio, riaffiorare nel sogno, o essere trattenuto, per riemergere come ricordo compulsivo, o ricordo ricercato)

AG - E’ una questione irrisolta e forse passeremo il tempo a cercare di farlo senza riuscirci mai ma questo è il nostro lavoro, la nostra ricerca.

Antonello GhezziStringere lo spazio di me e te, (installazione), 2022, Ceramica smaltata, Habitat Space di Bergen, foto di Giorgia Tronconi


 

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