La sensazione della nostalgia a cui accenni è interessante e forse fa parte di una generazione, la mia
che è l'ultima prima di un mondo che è cambiato… Io sono nata nell’83, la nascita di Internet risale al 1982. Ho vissuto tutte le sue fasi iniziali, lente e poi sempre più veloci.
Ho vissuto tutti gli steps e tutti i momenti di passaggio di questo cambiamento e quindi mi sento sicuramente in una condizione non nostalgica nel senso di rimpiangere un mondo prima della tecnologia, assolutamente, ma non ho una condizione tecnofobica e neanche una tensione tecno entusiasta.
Credo di stare in quella sensazione di incanto e disincanto insieme.
Mentre rispetto ai corpi e alle relazioni tra i corpi trovo che alcune inquietudini nascono da una prospettiva che è particolare della mia generazione, che ha vissuto veramente un passaggio epocale e non se ne rende completamente conto.
D- Nei momenti di VR provo molte emozioni, c'è come la volontà di rappresentare certi sentimenti quantunque il film usando una terminologia novecentesca è un film saggio.
Adele Tulli - Tutto il film è il tentativo di esplorare, di affrontare e di approfondire, provare ad immergermi in alcuni temi senza la pretesa di dare soluzioni. L'idea è di non illustrare una tesi ma porre degli interrogativi critici su alcune questioni centrali del contemporaneo.
Sicuramente le affinità con il mondo del film saggio sono tante. Ma gran parte del film saggio è narrato, c'è sempre una grande presenza di voce. In questo caso invece le parole sono poche perché appunto ho favorito l'immersione.
C'è l'idea di sperimentare con questi sguardi. La sensazione era banalmente quella di essere perennemente circondati da sguardi meccanici - i dispositivi con cui viviamo, droni, satelliti, le telecamere di sorveglianza, le foto trappole nelle foreste o i sensori degli elettrodomestici. La sensazione di questo sguardo costante e macchinico che ci osserva e ci sorveglia ci interpreta e ci racconta... Allora ho provato ad entrare in questi sguardi, ad osservare noi esseri umani attraverso questi sguardi. Ed anche giocare sul dentro e fuori di questo sguardo, in questa possibilità che svela una sorta di backstage - questa relazione con le macchine.
Adele Tulli, Real, 2024.
D - Quando parlavi dei corpi – mi hai fatto ricordare una performance degli anni sessanta di Giuseppe Penone dal titolo "Rovesciare i propri occhi". Lui sostiene che con questa operazione che lui fa - si mette delle lenti a contatto – e in questa maniera delimita una corporeità.
Certo la mia corporeità è anche la mia vista che mi permette di vedere un orizzonte. Quando indossiamo un casco VR abbiamo un orizzonte infinito e potenziale che però rende ciechi.
Secondo te questo sguardo che non è più quello di un orizzonte fisico ed ottico ma uno sguardo che ha dei limiti di quello che possiamo noi essere … Dove potrebbe arrivare una esperienza del genere?
Adele Tulli - È molto interessante rispetto a quello che hai detto prima - che hai percepito calore solo all'interno di quelle scene in VR.
È un paradosso interessante anche per l’esperienza che ho fatto, nel senso che effettivamente ho incontrato comunità di persone che all'interno di quello spazio trovano una possibilità di terapia da una società difficile da digerire.
Sono comunità che spesso sono profondamente marginalizzate nel mondo fisico, non è un caso che in quel contesto ci siano comunità queer, comunità di disabili, una grande comunità di sordi, di persone con mental health di vario tipo. Insomma ci sono tante persone che hanno vissuto il mondo fisico come un luogo tossico, difficile, un luogo non inclusivo, un luogo faticoso, 'non gentile' si dice nel film, ma che lì trovano invece uno spazio di inclusione, uno spazio di ascolto, dove esprimersi e dove incontrarsi e dove effettivamente c'è molta intimità, molto calore. Ci sono molte coccole.
Adele Tulli, Real, 2024.
C'è molto contatto in un luogo dove chiaramente non c'è il corpo fisico, e questo è un paradosso molto interessante – per dire che non è la tecnologia in sé che ci aliena, ci estranea, che ci disumanizza.
La tecnologia è uno strumento e come tutti gli strumenti dipende da come viene utilizzato. Certo quello è uno spazio che non c'è ancora, è una sorta di metaverso libero. Nel film si dice - 'è uno spazio fuori dal capitalismo'. Non è del tutto così perché la VR è di proprietà di una compagnia privata e devi avere un visore per accedere. Però è quanto più vicino fuori dal capitalismo a cui potremmo avere accesso oggi.
Non è un'Internet centralizzato, controllato, di cui invece ne facciamo esperienza oggi attraverso le principali piattaforme. Internet aggressivo, violento, che invece ci porta ad una sorta di alienazione, ad una sorta di depressione e fatica, confronto e competizione sociale.
Quell'Internet, quello considerato tossico in realtà non è che il riflesso di una società - è il sistema tossico. Invece quello spazio è tecnologia libera, non c'è scopo di lucro, la piattaforma è gestita dagli utenti e quindi il campo si dilata. Le persone che vanno li dentro non sono bombardate da stimoli o pubblicità ma hanno tutto il tempo e lo spazio di esprimersi, di comunicare. Per questo si dice che non è la tecnologia in sé ad essere così alienante quanto il modo in cui la stiamo usando. E soprattutto c’è un meccanismo di controllo, di cui siamo poco consapevoli.
Adele Tulli, Real, 2024.
D - Il mondo di Internet sembra aver perso quel realismo fotografico che contraddistingue la natura dell'immagine. Non assomiglia più alla realtà da un punto di vista della riproduzione fedele dell'immagine, sembra quasi che non ce ne sia bisogno.
Mentre sappiamo che parlando di immagini, che siano prodotte della realtà virtuale o dall’ intelligenza artificiale tendono appunto alla rappresentazione il più fedele possibile.
Però è curioso che la dove ci si fanno le coccole e ci si sente liberi non c'è bisogno di un corrispettivo del reale, è sufficiente qualcosa che diventi simbolico. C'è un ritorno a qualcosa che è meno rappresentativo da un punto di vista della mimesi…
Adele Tulli - L'aderenza alla realtà è qualcosa che con la rete in assoluto si sta perdendo. Chi fa parte delle culture del digitale questo confine tra vero e finto e tra cosa è reale e tipico è molto labile. Nel senso che le estetiche della rete hanno messo profondamente in discussione la rappresentazione fedele della nostra idea di realtà. Da un certo punto di vista questo potrebbe essere liberatorio. La realtà di per sé non è oggettiva, dipende da chi la guarda.
Per tanto tempo ci hanno fatto credere nell'universalità del reale, nella sua oggettività, l'universalità evidente che
si confonde con lo sguardo dominante, lo sguardo iperrealista, uno sguardo maschio, etero, bianco.
Quindi tendenzialmente mettere in discussione i confini della realtà di per sé non lo trovo problematico, mi occupo del reale ma da sempre penso ad un cinema che non registra la realtà perché è impossibile.
La realtà è filtrata dai nostri occhi, dal nostro sguardo e credo che ci sia un potenziale liberatorio in questo. Per i corpi che si possono abitare, che sono anche ectoplasmi in cui si sente rappresentati.
Adele Tulli, Real, 2024.
Quello che io continuo a trovare problematico è la sorte dei corpi. Il toccarsi, l'incontrarsi, avere una relazione corporea, lo trovo ancora importante. In generale penso che questo sia uno degli aspetti più problematici, ne ho discusso molto con le protagoniste del film.
Quando le protagoniste del film che hanno una relazione virtuale finalmente si sono incontrate perché si sono incontrate come racconto nel film, ovviamente l'incontro è stato molto emozionante. Abbiamo parlato di come tenere i capelli tra le mani, sentirsi il peso del corpo addosso, l'abbraccio. Hanno deciso di incontrarsi e sono state felicissime di farlo ma poi ciascuna è tornata alla propria vita. E per loro questo passaggio che a me sembrava abbastanza epocale lo hanno vissuto in modo del tutto naturale.
Il confine adesso è meno rigido.
Adele Tulli, Real, 2024.
D - Come hai creato lo script ed hai assommato i materiali? Hai cercato di seguire delle linee in termini di ricerca? Come lo hai composto?
Adele Tulli - Non realizzando film narrativi, non raccontando storie ma avendo questo approccio a mosaico, tendenzialmente c'è sempre una fase di ricerca iniziale piuttosto lunga, con letture e incontri con persone, accademici e artisti che si occupano da sempre di relazioni e del rapporto con il digitale.
Una lunga fase di riflessione sul tema e su una serie di sottotemi che questa idea, il rapporto con il digitale comporta. Una volta messo a fuoco come una mappa questa idea, abbiamo cercato potenziali scene che potessero incarnare alcuni di questi temi, provando ad immergerci nelle varie piattaforme, nelle varie realtà che ci interessavano.
Abbiamo contattato molte persone online e dopo tanti dialoghi alcuni incontri.
La pandemia ha comportato un grande cambiamento rispetto a questo. Onlyfans è esploso durante la pandemia e chiaramente il digitale ha avuto dei vantaggi innegabili rispetto al lavoro da remoto.
Allo stesso tempo però una serie di altre caratteristiche come la fatica di stare ore da sola in una stanza a compiacere dei clienti totalmente virtuali. Abbiamo cominciato a seguire alcuni personaggi che appaiono nel film. Per la realtà virtuale abbiamo fatto tante ricerche dentro la piattaforma, contattato molte persone che sono diventate le nostre storie.
Adele Tulli, Real, 2024.
Nelle riprese in Corea ho seguito un raider perché rappresenta il simbolo del lavoro digitale. Durante la pandemia è diventato simbolo e interfaccia biologica. Poi ho capito che tanti raiders per passare il tempo, compagnia o per l'urgenza di soldi facevano i blogs delle loro consegne postandole su YouTube.
Quindi si va dall'idea, alle ricerche, all'incontro con le persone che abbiamo seguito.
L'altra faccia era quella di ragionare sulle infrastrutture materiali della rete e quindi realizzare una serie di scene per raccontare la concretezza di quello che pensiamo come immateriale e molto etereo anche per i termini che usiamo, Cloud ad esempio. Invece c’è una componente fisica molto forte, alcuni di questi luoghi come la fabbrica che produce i cavi per Internet o i Data Center che sono in parte inaccessibili.
C'è tanto materiale frutto di tanta ricerca di rete, utilizzato come archivio del contemporaneo e pensato per intrecciarsi con le storie del film.
Adele Tulli, Real, 2024.
D - Come hai risolto il problema della privacy e delle liberatorie?
Adele Tulli - Per le persone che ho seguito si è creato un rapporto diretto e quindi sono tutti partecipi del progetto. Per il materiale di rete abbiamo dovuto contattare ogni singola persona. Nei casi evidenti di YouTube gli indirizzi sono disponibili.
Le sequenze in rete le scremavamo a seconda di chi ci rispondeva. E se non avevamo conferma dovevamo eliminarle dal montaggio e trovare altre soluzioni.
Il collage realizzato con un video artista è una collaborazione che voglio ricordare e per me del tutto nuova.
Nel collage all'interno del Data Center ci sono tantissimi video principalmente dei partecipanti al progetto. Ogni persona che si vede è stata contattata per una liberatoria.
Quindi moltissime di quelle che inizialmente erano solo idee e che hanno richiesto ore ed ore di lavoro notturno, quando poi abbiamo cominciato a fare il collage e contattato le persone, secondo chi rispondeva potevamo decidere di inserirli.
Adele Tulli, Real, 2024.
D- Il pezzo sul Data Center è molto curioso. Mi ha sorpreso che il luogo sia protetto da filo spinato.
Adele Tulli - Il Data Center è su di una collina nel nulla. C'è una strada che ci arriva e non va oltre, con tantissimi tornanti per evitare possibili irruzioni. Dentro non può entrare assolutamente nessuno.
Sono pochissimi quelli che vi possono accedere. E ogni volta con mille livelli di autorizzazione.
Quelli che entrano possono farlo non con la banale foto di riconoscimento o dell'iride.
C'è un sistema che calcola il modo in cui circola il sangue all'interno del corpo. Se la tua circolazione sanguinea è elevata o se sei troppo agitato non puoi entrare.
Sono luoghi dove vengono conservati i dati della rete, dai video dei balletti ai dati di banca, assicurazioni e quelli militari.
Sono luoghi molto protetti che possono resistere a blackout o terremoti, forse all'apocalisse… continuano a funzionare alimentati per un tot di tempo da generatori automatici.
Adele Tulli, Real, 2024.
D - Cosa che avete ripreso?
Adele Tulli - Abbiamo girato tutto, tranne le cose prese dalla rete. Siamo andati sulla nave, siamo andati in Corea, abbiamo girato nel Data Center, la fabbrica dei cavi, il ragazzo raider.
Venezia è l'unica messa in scena nel senso che l'alieno che appare è una attrice che ha indossato una maschera. In realtà nasce tutto dall'alieno. Lo racconto - Io vivevo a Londra ed è una città pienissima di telecamere di sorveglianza. Oggi siamo abituati ma all'epoca ti stupivi della quantità di telecamere ad ogni angolo. Era il periodo del terrorismo e della profilazione del controllo.
Un giorno ho visto questo ragazzo con una valigia che si muoveva nelle vicinanze di una telecamera di sorveglianza. Ho immaginato il classico tipo sospetto per quel tipo di sguardo meccanico, il tipo di azione sospetta di persona sospetta che poi tira fuori una maschera da yogi da questa valigia e appoggiato ad un bastone comincia a lievitare, a Trafalgar Square.
Chiaramente a quel punto diventa l'oggetto più simbolico del mondo. Si crea questo contrasto con lo sguardo macchinico e il possibile di un’altra realtà.
Anni dopo questa idea l'ho portata a Venezia.
L'attrice che fa l'alieno è stata ingaggiata, però tutte le interazioni dei turisti sono spontanee.
Ho immaginato che avrebbe suscitato quello che poi è accaduto con selfies e foto.
Adele Tulli, Real, 2024.
D - E la riprese dell'architettura digitale di Venezia?
Adele Tulli - È Google Earth. È il render 3d di Venezia che fa Google. Ha una versione in cui tutta la città è digitalizzate al dettaglio. C'è un render 3d dei palazzi e delle strade, è molto interessante. Adesso c'è una funzione per cui puoi andare indietro nel tempo, puoi vedere come si è trasformato un luogo. È affascinante come si smaterializza la realtà andando alle fondamenta fino allo scheletro.
Ho catturato lo schermo del computer, se digiti città di Venezia attraverso Google Earth puoi fare delle animazioni, puoi interagire con questo spazio. Ho registrato alcune di queste immagini che sono utilizzabili se mantieni il loro logo.
Adele Tulli, Real, 2024.
D - Come sei approdata al digitale? È una questione generazionale?
Come si diventa soggetto attivo di questa ricerca che accompagna il nostro tempo?
Adele Tulli - Ho incominciato con le inquietudini che si sono presentate durante la pandemia.
Durante il lock down ad un certo punto di questa alienazione dello stare a casa, ho scoperto questi siti da cui si può accedere alle telecamere di sorveglianza delle città.
Ho passato molto tempo guardando Roma Madrid New York o Time Square, tutte quelle piazze vuote e soltanto ogni tanto un raider che passava e tanta polizia intorno.
Da lì ho scoperto che c'erano delle telecamere per vedere live, la foresta, la savana. Si chiama Africam. Accedi e vedi dalle fototrappole live, e mentre tu sei a casa per il covid, passa l'elefante…
C'era questa linea, il bordo animale che in qualche modo mostrava una sorta di resilienza. A volte mi sembrava un conforto vedere tutto questo.
Poi però non erano così sereni questi animali, quando si avvicinavano a queste telecamere, con questa luce sparata, oppure vedere le balene in mezzo ai cavi.
Questa interazione con questo mondo animale che da un lato mi rassicurava, la trovavo anche inquietante.
Adele Tulli, Real, 2024.
D - Come hai deciso di mettere alcune sequenze che sono orizzontali in verticale?
Adele Tulli - Effettivamente nell'utilizzare tutti i dispositivi digitali c'era come la necessità di dare un senso a questa ipersaturazione mediale che cercavo di tenere insieme nel film. Pensavo di trovare un linguaggio, un contenitore organico ad ognuno dei dispositivi. Cercavo di dargli una forma che fosse una forma che interrogava e che desse la possibilità di riconoscere quello sguardo, quella verticalità. Come lo specchio di Alice, ho tentato di raccontare come ci circonda l'ordinario, quello che è intorno a noi.
Ormai siamo così abituati ad assorbirlo...
Ma cercando di ribaltarlo e deformarlo un poco e cambiando la prospettiva ci dà la possibilità di guardarlo da un altro punto di vista e quindi interrogarlo in un modo forse diverso.
Il tentativo dell’up e down, del cambiare prospettiva, di provare a mettere uno sguardo alieno nella realtà di ogni giorno.
Adele Tulli, Real, 2024.
D - Il concetto di formato, verticale o orizzontale nei nostri dispositivi è sempre più un confine anche questo semantizzatile, c’è una possibilità di manipolazione?
Adele Tulli - C’è un’idea di manipolazione totale nel film ed è affascinante. Una cosa incredibile concettualmente, che appoggi un dispositivo minuscolo dove scompare il wireframe, il senso di regia, di inquadratura, e quell’oggetto registra tutto a 360 gradi, che poi con un software apposta ricomponi. E mentre si ricompone la realtà tu la puoi intanto inquadrare in ogni spot, puoi ricreare delle inquadrature e soprattutto la puoi completamente modificare e morfare. Come quando da bambini si osservava il caleidoscopio. È la stessa sensazione, la deformazione totale del reale senza neanche immaginare quali i tipi di forme.
Questo soprattutto nei luoghi dove i connotati sono complessi da ricostruire, nelle fabbriche ed i luoghi con grandi macchinari questo dispositivo da grandi soddisfazioni e dà un'immagine della realtà completamente deformata.
D – È quindi un ibridare la prospettiva. Ma c’è pure la questione di un punto di vista delegante e da ciò di cui rimaniamo influenzati.
Adele Tulli - Il tema dell'essere influenzati è enorme, in qualche modo è il tema che ho tentato di suggerire nel film e si lega all'idea di sorveglianza. In alcune scene come la Smart city c’è un intero progetto di vita legato ai problemi di gratuità, cessione dei propri dati personali e comportamentali. Paradossalmente per me è interessante perché lì si sviluppa consapevolezza.
In realtà noi facciamo una cosa molto simile ogni giorno con i nostri telefoni quando accettiamo una serie di servizi gratuiti, di termini e condizioni a cui non guardiamo, gusti preferenze movimenti.
Questo non solo comporta una profilazione totale che ha un risvolto anche economico.
Ma comporta un tipo di pensiero dipendente.
D - Il film fa riflettere sul concetto di prossimità e di come questa si ribalti nelle relazioni della rete. Siamo tutti più prossimi ma paradossalmente rischiamo di perderci..
Adele Tulli - Sicuramente questa sensazione di essere interconnessi e soli è uno dei paradossi.
Adele Tulli
Real
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