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Una casa su di una collina, di fronte nel panorama la città e le mura di Volterra.

Artext   Una conversazione con Mauro Staccioli 

 

A - Puoi parlare della tua adesione al lavoro ed alla politica, dagli esordi delle tue sculture.

MS - Ho cominciato a fare le sculture quando ho notato che con la politica non superavo un certo limite. Il fatto è che la politica, metodologicamente è mediazione. Tra a e b devi trovare una lettera intermedia che non sai quale è. La politica ti aiuta a trovare le mediazioni tra due posizioni.
Nella scultura, nell'arte non esiste mediazione. L'arte è un assoluto individuale.
Quando si lavora siamo "Dio". Riusciamo ad individuare il non-definibile.
Il lavoro è l'in-definito e la ricerca consiste nel trovare un definito dell'indefinito. L'attività creativa richiede questo, è una attività che "friziona" con il sentimento religioso.

A - Ultimamente parli di religione laica, ed in questo ultimo lavoro per la Fiumara d'Arte a Messina di una " scultura come di un luogo dove intrattenersi, pensare, pensare le singole esistenze “.

MS - Sì. La piramide, la struttura a piramide che viene fuori dalla montagna avrà questa funzione.
L'interno della piramide potrebbe diventare il luogo dentro il quale l'individuo trovandosi da solo con se stesso, in una forma che può stimolarlo a pensare la sua condizione umana, potrà farlo liberamente. Ho lavorato proprio in questo senso, pensando l'ambiente per un individuo che ha un sentimento con la religione non codificato dalla ritualità. Non mi convince la ritualità.
Penso a Michelangelo che inventa una forma del divino terribilmente umana.! Al "Giudizio Universale"... dove la relazione con il divino avviene attraverso il contatto. La religione per me è qualcosa di indefinibile. Al contrario la religiosità rituale rende l'individuo in qualche modo inconsapevole di sé e della sua storia. La militanza politica in questo senso è stato il mio esercizio del pensare, di pormi in rapporto al luogo, all'umano del territorio. Con l'arte in qualche modo si cercano delle forme che rispondono alle domande sulla realtà delle cose.
Si tentano delle risposte certo non risolutive, ma quando hai stabilito che la forma procede in un certo modo fai il lavoro per formarlo.

A - Se parliamo di forme e del contesto, la natura, la città - di una ricerca tesa ad affrontare criticamente la realtà fisica e sociale dello spazio, come è cambiata nel tempo questa pratica? Hai dovuto inventarti un linguaggio, abbandonarlo, integrarlo?

MS - C'è in parte un rischio che ha a che fare con la ripetizione, nell'uso di qualsiasi linguaggio.
Nel tempo, raggiunta una maturità nel lavoro può accadere di non essere più in grado di far vivere quella forma. Ma direi che si tratta di costanti dell'individuo e del fare.
E' chiaro che per " fare" è necessario organizzare un proprio lessico, una forma, un dire... e questo deve risultare evidente. Ho notato proprio nella prima mostra del 72 qui a Volterra, nella piazza dei Priori, dopo molti tentativi, che qualunque cosa pensassi veniva come inglobata dalla monumentalità della piazza, dalla materia, dall'evidenza, la morfologia architettonica; pietra su pietra ed ogni pietra scolpita per dargli la forma... per costruire...
Ho trovato la soluzione quando la scultura si è dispiegata nella piazza a formare una diagonale.
Ho costruito una sorta di ritmo di punte piramidali tutte pendenti da una parte, dipinte di nero, in truciolare e non di ferro - Un lavoro non permanente, condizionato dalla vita della piazza, dal mercato settimanale - un lavoro modulare che potevo spostare sotto la loggia. In quel caso mi interessava la spazialità tra gli elementi, che il pubblico potesse attraversare, vedere, considerare. E' questa è rimasta una scoperta di base per me. In altre circostanze mi sono trovato a fare delle sculture che hanno trovato sviluppo intorno ad un tronco e i rami d’ albero, come alla Fondazione Djerassi in California 1989 - o appoggiata ad una scala - 'Università del Massachusetts (1983) una forma, una sorta di trapezoide in legno intonacato disposto in una sorta di impossibile collocazione.
Direi che sì, facendo un discorso di tipo radicale, ogni volta mi si pone il problema della forma, che abbia un rapporto determinato dallo spazio, il contesto, che sia natura, architettura, ambiente urbano - il materiale di ordine storico gioca molto, influisce in modo rilevante.
A San Casciano l' esperienze di vita di questo territorio mi ha suggerito una sorta di tripode che poi è la struttura "a canne" per far crescere le verdure rampicanti da orto.

Mauro Staccioli
                   "Mauro Staccioli" Jennifer Atkinson photo

 

A - "Creare scultura significa esistere in un luogo" - sostieni, come se l'opera come oggetto in sé conchiuso ed autoreferenziale ha solo i confini che possano essere dati dalla sua stessa struttura materiale.

MS - Questo mio pensare che viene citato ha a che fare con l'architettura. Lo spazio va letto: l'albero o lo scoglio... Ma va letto in base ad una suggestione che scatta nella mente, nelle variabili.
L'uso dello spazio è fatto di cose. Le case sono le prime, ma non solo le case, perché ci sono i capannoni, le villette, i grattacieli. Un luogo progettato diventa città, ma non sempre si trova una città progettata che tiene conto delle normali esigenze dell'uomo.

A - Chi pratica la scultura in Italia, incontra la storia, e non dovrà censurarsi per sentirsi artista.
Al contrario la scultura americana è molto più libera. Si tratta solo di una visione, di una natura, un paesaggio differente...

MS - In sostanza si tratta di questo: noi abbiamo una sorta di alimentazione storica, anche alimentare in senso stretto, e una serie di comportamenti che riguardano le forme del produrre e del manipolare che negli Stati Uniti non c'è - nelle classi colte certo che sì, ma abitualmente si mangia per alimentarsi non per soddisfare un bisogno estetico e formale.
Credo che in questa lettura stia la differenza - e si possa considerare quanto influisce il conoscere le cose che sono disseminate nelle nostre chiese, musei e città, rispetto al fatto che le città americane non conservano ma anzi hanno continuato a distruggere fino a poco tempo fa tutto quello che era anteriore a 100 o 200 anni. In relazione al "fare" c'è una libertà diversa dalla nostra, noi siamo come trattenuti da qualcosa che poi è il già fatto, lo storico, ciò che in qualche modo agisce.
Negli Stati Uniti no! Hai uno spazio totalmente libero, il grattacielo... spesso progettati da architetti con profonde conoscenze dell'arte europea. Non so se un artista Americano avrebbe mai realizzato il mio lavoro di San Casciano. Eppure io ho attinto dagli americani, perché certe soluzioni mi danno il coraggio di fare; vedo possibile uno sviluppo del mio lavoro, un tipo di libertà funzionale allo spazio. Quello che mi condiziona negli Stati Uniti è questa apertura allo sguardo, di libertà pari all'estensione... ed è stupendo.

A -" Pensare la scultura " quale è l'origine che definisce il motivo del fare?

MS - "All'origine del fare" c'è una attività che presuppone un processo, ed è qualcosa come il materiale che si percepisce sui polpastrelli - al tatto riconosco, vedo la qualità di un materiale articolato per una cosa. Il nostro artigianato parte dal tatto, non applica la tecnologia in modo spasmodico come Donald Judd quando disegna e fa le cose.
Ho trovato che il suo artigianato è un passo avanti del nostro, i suoi lavori sono il risultato di una tecnologia applicata correttamente, ed è questo che determina la tecnologia stessa. L'artigiano italiano non fa questo. Alla origine del fare c'è questa necessità di costruirsi anche una strategia, per riuscire a dire di una cosa.

Mauro Staccioli
                   Mauro Staccioli "Site Specific" 2006 Galleria Fumagalli di Bergamo

 

A - E del disegno, cosa costituisce “Il disegno dell’idea" ?

MS - Il disegno nasce come traccia della possibile cosa da fare.
Un cerchio è diverso da un quadrato. Il disegno dell'idea è trasformare una idea in un segno ripercorribile. In quel caso il disegno mi aiuta a ritrovare la strada che ho rischiato di dimenticare prima del disegno. Disegnando costruisco dei territori del pensiero. Un tracciato su cui tornare.
Nella pratica generalmente faccio dei rilievi, uso la fotografia. Prima ancora disegnavo sulle fotografie attraverso la carta trasparente. Trasparente per poter ripercorrere tutti i segni che mi passavano per la mente. Mi si formava un ordito che poi in alcuni casi è diventato il disegno stesso - l'elaborazione che viene fuori dalle fotografie mi suggerisce già come degli assi e dei tracciati.

A - Come si attiva questo tuo pensiero che sovrintende al lavoro dell'arte?

MS - Diciamo che devo trovare una dimensione etica del fare. Trovare il senso, il motivo: perché "fare", perché "dire". Perché se non c'è motivo del dire o del fare, il dire o il fare è senza senso.
A volte mi capita di scrivere delle note di lavoro che sono sfociate in forme letterarie che hanno a che vedere più con la poesia, che con la nota esplicativa. Quando ho deciso che non potevo fare a meno di questa attività pensavo che la scultura potesse diventare un segno di ragione, di qualificazione di un luogo, avere in un luogo una ipotesi...
Nell' intervento alle Mura Etrusche (Le balze, Volterra 1972). nella barriera, la palizzata, c'erano già dentro questi motivi che mi rendevano attivo la ragione del fare.

A - Dalla forma triangolare, forma di ragione, forma di pensiero razionale, ai prismoidi come quelli esposti a La Louvière. Tu sostieni che questi ultimi nascono da una forma di sviluppo del "razionale intuitivo" - puoi dire di cosa si tratta?

MS - Li ho chiamati prismoidi perché mi ricorda le possibilità intrinseche della articolazione della forma
attraverso le sfaccettature che la geometria mette a disposizione. Uso prismoide perché non è un prisma, ma vi può somigliare. E' quindi l'articolazione e l'intuizione che guida la mano ed il pensiero a rendere un oggetto intellegibile. Ma è un gioco di intuizioni perché un quadrato è una forma modificabile che comincia a dettare una serie di conseguenze se nelle successive modifiche diventa trapezio, togliendo uno spigolo - e se ne tolgo un altro mi suggerisce altro ancora - E questi sono gli effetti intuitivi, quando l'oggetto comincia a prendere corpo. Tutto questo, tutte le conseguenze derivano dall'intuizione nelle relazioni delle parti e l'insieme, un gioco di rapporti tra gli elementi e lo spazio interposto tra di essi.

A - Quasi come tagliare un cristallo?

MS - Si come tagliare artificialmente un cristallo.

A - Nello stesso tempo c'è la tendenza a sfuggire la misurazione.

MS - Lo spigolo che sfugge via per altre strade la considero una delle mie attività di carattere sperimentale. Si può misurare tutto, naturalmente - il prismoide è più complesso perché richiede troppi dati rispetto ad un triangolo.

A - La scelta del materiale è valutata sempre in base al contesto?

MS - La scelta del materiale da usare si è evoluta in maniera molto semplice.
Ho usato una sola volta l'acciaio inox, Lapiz Building - La Jolla San Diego 2003 - mi si proponeva un edificio in mattoni che restituiva un colore rosso, colore dell'ossido, e se avessi usato un colore della stessa tonalità si sarebbe come spento nella facciata. Ho cominciato usando un materiale povero. Se una scultura deve funzionare, questo accade anche con un materiale semplice. Tra questi il cemento, perché il più vicino alla città, alla condizione urbana sostanzialmente.
Ho cominciato a lavorare questi materiali trascinandomi dietro letteralmente i sacchi di cemento. L'impasto del cemento con la sabbia mi permetteva di ottenere un risultato che un altro materiale non avrebbe consentito - risultati di semplicità, e povertà del materiale. L'inizio del colore è stato quando l' ho impastato con il cemento, Londra 1982 alla Hayward Gallery (Arte Italiana 1960 1982). Ho tratto riferimento dagli edifici del quartiere intorno alla galleria, edifici costruiti in cemento a vista, in cemento naturale. L'unico modo di far diventare il mio segno un segno era il ricorso al cemento che si può colorare con gli ossidi, con un procedimento manuale di impasto accurato. In altre circostanze ho scelto l'acciaio corten perché assomiglia all'ossido ed ha una caratteristica interessante, che il suo colore rosso rimane nel tempo, praticamente eterno. Mi sono posto questo problema quando mi è stata richiesta una scultura di un materiale che potesse resistere molto a lungo.

Mauro Staccioli
                    Mauro Staccioli Rond point de l’Europe 1998 Bruxelles

 

Volterra. Seduti al tavolo del ristorante. Soffitto a volta, cucina regionale creativa.

 

A -- La prima idea di scultura che hai avuto per la testa?

MS - Una falce e martello (ride).
Ho cominciato a fare scultura quando mi sono reso conto che nella pittura tendevo letteralmente a sfondare la tela. Tra il 60 ed il 61 in Sardegna dipingevo il paesaggio, i paesaggi dopo un incendio, affascinato da queste alte montagne nere. In quel momento cercavo lo spessore della pittura. Lo spessore della pittura mi ha portato ad usare il gesso su piccole strutture di metallo. Le prime sculture credo che siano degli "anticarro" 50x50. Cubi rivestiti di cemento con una barra di ferro attraverso. Le chiamavo "Condizione anticarro" o "Condizione ambiente". In seguito non ho più usato i titoli, semplicemente il luogo, la tecnica, e la data.

A - Cosa ha imparato progressivamente nel fare della scultura?

MS - Ho imparato a dare ragione alle cose, a far diventare le cose un motivo motivato. Le cose, ho scoperto, dovevano avere un senso per essere quello che volevo che fossero, altrimenti risultava qualcosa che non andava... Ho cominciato a fare questa scultura pensando alle barriere, alle proprietà private, ai fili spinati, ai muri. Ho cominciato a pensare la scultura in questo senso. E da lì c'è stata una progressione. Ma prima ancora ero un militante di partito, svolgevo una attività pubblica; ho tenuto delle conferenze all'istituto Gramsci a Roma intorno all'artigianato e alla lavorazione dell'alabastro.
E' la strada politica che mi ha aiutato.

A - Molte delle tue sculture si trovano in un inusuale equilibrio, ma quello che in altre situazioni colpisce è piuttosto una attenzione alla trasparenza, come di spazi che si possono attraversare.

MS - La prima esperienza di "attraversare" la scultura con lo sguardo è stata realizzata ad Andorra. (Andorra 91 Ordino d’Arcalis).
Avevo progettato dei tondi che occultavano il paesaggio e che costituivano come una barriera - Ed è allora che ho risolto il problema aprendo il cerchio, e quindi dinamicizzando con l'inclinazione delle superfici, fino a trovare la convergenza verso il centro dell'anello. In quel caso ho utilizzato per la prima volta l'acciaio corten, perché i Pirenei, in quella zona sembra che trasudino ferro ed acqua.
Vedi la montagna e la pietra con le sfumature ferrose, le strade... tutto il paesaggio. La questione della trasparenza è scattata perché la bellezza fisica dei materiali in quel caso era così forte, così intensa che ho preso coraggio ed ho svuotato l'anello - solo così il paesaggio che è al di là, entra nella visione.
Questo gioco di rimandi mi ha convinto - ché in seguito ho realizzato diverse cose utilizzando altre forme, come il quadrato con il lato curvo a Bruxelles. - Rond point de l’Europe (Equilibrio sospeso), 1998 uno dei lavori più riusciti. Ancora oggi quando vado in questa città e accenno al fatto di esserne l'autore ricevo elogi e segni di grande apprezzamento.

A - Cosa è dunque "essere grandi concettualmente"

MS - Ad esempio, pensare alla religione dentro una "struttura" del pensiero è un pensare grande.
Pensare all'esistenza, al mondo, ad un Dio... una esistenza governata dall'individuo che pensa all'esistenza di un ordine superiore alle forze umane.... che la scienza però contesta....
La scienza in questo senso dà delle risposte pensabili, credibili, Galileo ad esempio - che sostiene delle teorie in contrasto al pensare dell'epoca.

A - Quali sono i colleghi in cui riscontri delle affinità, di cui stimi i lavori.

MS - Preferisco glissare sulla risposta. Ogni artista è una forza a sé. E le relazioni di stima e considerazione che si stabiliscono non fanno quasi mai parte del lavoro specifico.

A - Il critico ha un qualche ruolo oggi

MS - Secondo me sì, quando la critica è corretta. In molte circostanze diventa perversa. La critica è un argomento sensibile quando tratta gli aspetti delicati di un artista - perché quello che un artista deve verificare è il suo lavoro. Verificare attraverso dei parametri sbagliati o approssimativi è molto pericoloso. Il critico ha un ruolo molto importante quando sa mantenere i confini tra critica e partecipazione all'attività dell'artista.

- E della committenza...

MS - La committenza è quello che a volte manca. A me piace molto lavorare su commissione, non temo un tema o una circostanza, l'ambiente, anzi. Perché in qualche modo mi sento utile, a farlo..
Se non scatta questa esigenza, diventa tutto un poco più difficile.
Certo ho acquisito esperienza tale da realizzare in libertà.

 

Testi
- Mauro Staccioli : Nota di lavoro e Poesia

 
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