Maria Morganti  
  Visione laterale (verde acqua – verde chiaro) Venezia 2008 Olio su tela Cm 50 x 100
MARIA MORGANTI
Maria Morganti in conversazione con Giacomo Bazzani
 
   

 

Fig.1:PAESAGGIO

 

 

GIACOMO BAZZANI: Il paesaggio è in fondo un modo stesso di guardare la realtà: il paesaggio rappresenta il modo in cui si guarda alle cose. È un modo di porsi di fronte all’opera che trasforma la percezione stessa del mondo.

MARIA MORGANTI: I lavori qui esposti al Museo fanno parte delle serie "Visioni laterali" e "Pellestrine". Sono come delle briciole di pittura che spargo nello spazio alla maniera di Pollicino che le sbriciola camminando.
Quando dipingo lascio che le cose accadano poi in un secondo momento faccio due passi indietro, prendo le distanze e comprendo ciò che ho fatto.
Tutti e due i momenti fanno parte allo stesso modo del processo pittorico. Queste due serie di lavori nascono da due esperienze che ho vissuto negli ultimi anni: una positiva e l'altra negativa.
La prima: Ho comprato una casa in un'isoletta tra il Lido di Venezia e Chioggia che si chiama Pellestrina. Si tratta di una lunga striscia di terra di circa 11 Km che divide il mare dalla laguna. L'ultima parte dell'isola si stringe a tal punto da essere larga solo pochi metri. Qui si può salire e camminare su un muro alto circa 3 metri e lungo circa 2 Km, costruito come difesa a mare per Venezia e che divide la laguna dal mare. Quando cammini su questa riga, il "monton", percepisci hai lati dei tuoi occhi due grandi spazi. Ciò che vedi non sta di fronte a te, ma lateralmente. Sono due aree completamente diverse che quasi si incontrano ma non si toccano. Se si incontrassero diventerebbero la stessa cosa e quindi si snaturerebbero. Una è laguna e l'altra è mare, una ha un colore, un odore, un movimento, una vita marina e l'altra ne ha un altra. E' nella separatezza che mantengono la loro specificità.
La seconda esperienza invece riguarda la malattia di mia mamma. Si chiama maculopatia degenerativa. Chi viene colpito da questa malattia perde progressivamente la visione centrale e rimane solo con la visone laterale. Non vedi ciò che ti sta di fronte, ma percepisci ciò che sta ai lati, con la coda dell'occhio. Queste pitture a cui sto lavorando da qualche anno, risentono di queste due conoscenze della realtà che derivano dalla percezione dello spazio attraverso il muoversi del corpo. Nelle "Visioni laterali" l'orizzonte, la striscia che sta nella parte alta delle mie "Sedimentazioni" e che mantiene una traccia di tutti gli strati che formano il quadro qui si gira in senso verticale e taglia a metà la tela. Le stratificazioni, cioè la traccia del mio dipingere, avvengono su due piani laterali.
Le due parti, le due stratificazioni non si incontrano mai. Cercano di avvicinarsi ma sono sempre separate. Nelle "Pellestrine" di nuovo si gira e riprende un'orizzontalità, ma sempre con una divisione in due dello spazio. La proporzione è quella dell'isola: 11 parti come i suoi 11 Km.

 La questione che mi sono posta inizialmente, quando ho cominciato a dipingere è stato capire che rapporto c'è tra me e lo spazio che mi contiene, l’aria intorno a me e lo spazio bidimensionale su cui andavo a dipingere. Quasi come se fosse più importante la tattilità, il vivere attraverso l’esperienza del corpo che la visione. I primi lavori consistevano nel lasciare tracce di colore steso prima sul corpo e poi impresso sulla carta o le pareti. Si trattava di fare esperienza dello spazio attraverso il movimento.

 La mia percezione del colore non è retinica, piuttosto considero il colore una materia che si compone tattilmente, con un suo spessore ed una sua consistenza.

 Ogni mattina, tutti i giorni vado nel mio studio e mi dirigo verso una tazza che contiene colore, il luogo dove accade la materia, il luogo dell’origine di tutto. Non butto mai via il colore, non parto dal colore puro.
Quello che rimane dal giorno prima nella tazza come residuo è mantenuto e conservato per il giorno seguente. Questo colore che ogni giorno si forma viene spalmato su diverse superfici. Lavoro per “sedimentazioni”. Lentamente stratifico lasciando sempre una piccola porzione di colore del giorno precedente. La superficie già dipinta non viene mai cancellata del tutto. Dopo circa un mese, il tempo che dedico ad un singolo lavoro ricomincio da capo su di un'altra superficie. La fine non arriva quando raggiungo un punto specifico ma quando la materia si è intensificata, solo allora posso riprendere su di un'altra superficie.

 La mia sensazione è che le cose non finiscono mai. A volte mi accade di riprendere dei lavori di qualche tempo prima e di stratificarli ancora.
La fine di un lavoro è un concetto temporaneo.
Dipingo su 4 formati diversi. E' come se avessi trovato le mie 4 misure della pittura :
18 x 16 cm: Il frammento
; 60 x 50 cm: Il ritratto; 110 x 90 cm: Il mezzo busto; 180 x 160 cm: il corpo tutto intero.

 Il primo strato è sempre il rosso. Come fosse una memoria da mantenere.

 Lavoro periodicamente su di un Quadro infinito - una tela di 50 x 40 cm che non ho mai smesso di dipingere. Adesso sono 6/7 anni. In questo lavoro si concentra la mia idea di pittura come materia. La pittura che si stratifica nel tempo crea sedimentazioni e si allarga nello spazio non solo in profondità ma anche lateralmente. Periodicamente, una volta ogni anno lo peso e lo misuro, annotando le variazioni. 
Forse alla fine di tutto questo il quadro non reggerà, collassando la materia e crollando del tutto. Per il peso progressivo che va ad aumentare ho deciso di staccarlo dalla parete e sistemarlo su di una struttura che posso muovere nell’ambiente dello studio.

 Il colore finisce anche su quelli che chiamo Diari. Si tratta di una stecca di legno dipinta, alta un metro e larga dieci centimetri. Il primo colore attraversa da sinistra tutta la superficie - poi progressivamente alla distanza di due centimetri dispongo il colore seguente. Il ritmo della stesura è collegato al ritmo giornaliero. In questo caso il lavoro finisce quando finisce lo spazio disponibile. 
Una singola stecca occupa circa tre mesi del mio tempo.
Questi lavori vengono poi archiviati tutti insieme in una struttura di acciaio che chiamo Portadiari.

 Ogni giorno prima di cominciare il lavoro con il colore, prendo una piccola macchina fotografica e vado nella Fondamenta di fronte allo studio, e faccio uno scatto fotografico. Ogni giorno riprendo lo stesso punto del muro di mattoni, dove l'acqua sale e scende a seconda della marea.
E' come se collezionassi il tempo, come se questi scatti fotografici raccontassero una certa quantità di tempo. Concluso l'anno le stampe di queste Acque vengono tutte conservate dentro una scatola. 
In questo lavoro ho trovato una forte associazione con ciò che faccio con la pittura.
Non mi interessa fare qualcosa di inedito o che non esiste ancora… aprire gli occhi guardare intorno e trovare la coincidenza … sentirsi in assonanza con le cose e con le persone! Questo è il senso del mio lavoro - questo il mio modo di osservare la realtà.

 Altra azione quotidiana sono le Carte-Diario. Si tratta di carte dipinte con tre strati di colore. In questo caso ho un rapporto più diretto, più fisico con il lavoro perché la carta è stesa orizzontalmente uso dei pastelli che spalmo con le dita come dei rossetti…. il primo strato è rosso, il secondo attraversa la carta orizzontalmente e verticalmente e infine a completare un terzo strato. In questo caso la durata annuale del lavoro occupa come estensione spaziale la parete del mio studio.

 La durata e la forma diaristica di questi lavori sono come un'ossessione ripetitiva delle mie azioni. Questa è la mia azione quotidiana nello spazio del mio studio e quando sono in viaggio, lontano dallo studio continuo a lavorare su i Diari di viaggio che dipingo con acrilici. Questo lavoro si compie nella durata del viaggio


G.B. : Il lavoro di Maria racconta il suo fare e se stessa, e al tempo stesso non ha niente di personale. È un racconto intimo, ma non ha niente di intimistico. È un racconto privato, ma non ha niente di soggettivo; racconta semplicemente una materia che si stratifica con il passare dei giorni. È un paradosso, perché non racconta niente ma segna lo scorrere di un’esistenza, una materia che non può che raccontare se stessa, ma facendolo segna un’apertura radicale alla vita…
Ed è forse in questo iato, nella distanza siderale tra materia e vita, che, a ben vedere, può essere individuato il senso di sublime che queste opere manifestano.


M.M. : Si! Io mi trovo come a spalmare questa materia colore su di una superficie bidimensionale e reiterare questo gesto all’infinito pur sapendo che altri gesti analoghi a questo lo hanno preceduto, che altri lo seguiranno o che ne esistono di altri e paralleli.
Si tratta per me di far accadere le cose in maniera naturale o creare le condizioni perché le cose avvengano.


G.B. : Ma se gli strumenti sono quelli consueti del dipingere, con la naturalezza descritta, è per l’attitudine con la quale l’artista li utilizza, che la discosta dal ruolo storico che ha avuto la pittura. Sebbene formalmente nelle sue opere ci possano essere richiami ai lavori della pittura riflessiva degli anni ‘50 di Newman e Rothko, l’intenzionalità e l’attitudine che la caratterizzano la distaccano largamente. Il gesto e lo scorrere del tempo sulla tela non si concretizzano infatti, nelle sue opere, in forme assolute, ma lasciano tracce in sé formalmente irrilevanti. È il processo che definisce l’opera e l’opera stessa è una testimonianza del processo che l’ha generata, come avviene in fondo in larga parte dell’arte contemporanea…


M.M. : Utilizzando la materia vita si può solo influire sul processo, ma non si può progettarla. In questo senso mi sento come una spettatrice di qualcosa che accade davanti a me e che osserva il risultato, come un organismo vivente, una sedimentazione biologica che si relazione con la realtà.


G.B. : Maria racconta il suo procedere, nel lavoro, senza imporre la sua visione del mondo, racconta le cose esattamente come scorrono nel tempo.
In questo forse risiede un paradosso, come il prodursi di un racconto senza soggetto…


M.M. : In realtà credo che l'essenza sia questa: dare un senso all’esserci - a questo procedere.

 

[continua]



Frammenti estratti dall'incontro il 22 marzo 2013 in occasione della mostra
Fig. 1 : Paesaggio // Mac,n Museo d’arte contemporanea e del Novecento, Monsummano (PT)
(a cura di Cecilia Canziani e Ilaria Gianni)
Sedi mostra : Uscita Pistoia, PISTOIA / SpazioA, PISTOIA / NextSpazioA , PISTOIA
Mac,n, MONSUMMANO (PT)

 
 
 
 
   Art Museum - Mac,n -
  2013 © Artext