DE Cecco  
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Marco Scotini
Arte pubblica vs arte abusiva
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"Sopralluoghi"
Indagine nel Contemporaneo

 

 

Marco Scotini
Parlerei di una sorta di abusivismo costitutivo, nella migliore accezione del termine, senza il quale una serie di pratiche che fondano la contemporaneità non ci sarebbero assolutamente.

Anche per questo motivo ho aperto una cattedra di - Arte Pubblica - nella mia accademia. (Naba).
In qualche modo trovo sempre più difficile parlarne, nel senso che se guardiamo storicamente l'accezione che veniva attribuita a questo termine risale comunque alla fine degli anni 70 ed all'inizio degli anni 80 – legato ad una persona come Vito Acconci, e ad un contesto della storia dell'arte contemporanea particolare che si confronta in qualche modo con una idea dello spazio fisico e una idea di pubblico che ancora risente del rapporto tra pubblico e privato, che in un qualche modo fonda precedentemente questo genere di rappresentazione.
Devo dire che sempre più questi interventi, per lo più erano interventi -Site Speciphic - e che si confrontavano con uno spazio che era pubblico per statuto, ed era altro dello spazio pubblico con tutte le vicissitudini e le storie raccontate (Matzner Florian). E devo però dire che c'è stato uno spostamento radicale verso quello che poi abbiamo chiamato 'Audience' verso un'attitudine di interventi ‘Audience Speciphic’.
A partire dal 2001 questa tendenza si è estremizzata e quindi siamo arrivati a parlare di interventi 'Fight Speciphic', lotta specifica - ma in sostanza ha a che fare con una volontà di azione diretta in un contesto, sociale, relazionale, comunitario molto specifico. Ecco che allora arte pubblica si può intendere non più come arte dello spazio pubblico, dove questo sì da come un pubblico, ma Arte per la sfera pubblica e qui la situazione diventa più complessa.
Quale è la sfera pubblica attuale verrebbe da chiedere?

La sfera pubblica attuale io la chiamo - I Molti - insieme ad alcuni teorici della politica e della cultura estetica.
Da un incontro recente intitolato - Per un' arte dei Molti - devo dire che la cosa apparentemente sembra che rimanga dentro questa idea di arte che lavora sul pubblico, un'arte che è quella della rappresentazione "Mainstream" che conosciamo.
Credo invece che questa -Arte della Moltitudine- un' Arte dei Molti, scardini tutta una serie di parametri attraverso i quali noi continuiamo a conoscere o attraverso i quali pensiamo il nostro rapporto con l'estetico.

L'idea sulla quale sto lavorando da qualche anno è di una Arte che è chiamata in qualche modo ad immaginare ed analizzare nello stesso tempo il contesto pubblico e la sfera pubblica attuale, che come sapete è caratterizzata da una serie di defezioni, di abbandoni rispetto a quello che erano in qualche modo le forme di appartenenza classiche; in qualche modo quello che fa dei molti - Molti - diciamo, l'affrancamento totale dalle forme di appartenenza: nazione, dall'idea di popolo o di razza.In sostanza rispetto ad una società in transizione il problema è il ruolo dell'artista contemporaneo -e rispetto a questo scenario mobile come si cala all'interno. Ecco che adesso l'idea di pubblico si ‘complessifica’ immediatamente ed in qualche modo quello che caratterizza in sostanza - i Molti - è una piattaforma basica a partire dalla quale questi si definiscono.
Non è una proliferazione indiscriminata, ma in qualche modo è comunque qualcosa che non vuole tendere -all'Uno- come volontà generale di cui non ha bisogno, ma questo -Uno- in qualche modo è la piattaforma che la determina, spesso lo chiamiamo - General Intellect-

Quando dicevo prima di -Arte Pubblica- come -Arte Abusiva- sostanzialmente!... è che sto lavorando da qualche anno ad una videoteca nomade in progress, che prende nome da "Vision vidence" che è anche un magazine, ed è stata presentata per la prima volta a Berlino e poi a Praga nella sezione che io ho curato per Mexico City, San Pietroburgo e poi Barcellona.

Cosa succede per esempio in una di queste situazioni: siamo a Mosca nel 2001 ed una serie di amici che si chiamano -Art Comunity- tentano di rivedere quello che per loro era il sogno della collettività, l'idea forte di popolo all'interno della quale erano nati -e poi a partire dal 89 si erano trovati in una altra situazione. Questa idea, una sorta di sogno o una sorta di incubo, in qualche modo aveva perso costitutivamente la sua modalità di essere!
Lo slogan ripreso è quello liberista – “Un altro mondo è possibile” - ma la situazione che mi sembra interessante in queste azioni, in sostanza è totalmente fasulla; nel senso che loro sono intervenuti nelle vie principali di Mosca, in un momento di traffico, di traffico delle persone, fuori la metropolitana, stanno aspettando che arrivi il verde per attraversare la strada, e nel momento che attraversano... loro alzano i banners - Per cui voi avete gli slogan e gli striscioni rossi, avete apparentemente una folla dimostrante, mentre si tratta di passanti assolutamente ignari di essere dei manifestanti.
Questa che può essere una ironia della sorte o una forma di ripensamento amaro di su un passato ed un background culturale, invece è una nuova modalità per riscrivere la Moltitudine.
In fondo queste persone si co-appartengono nel momento in cui ciascuno è una singolarità che va a fare la spesa o passeggia per strada. L'idea della falsa cornice richiama a questa differenza radicale, tra quello che era un' idea precedente, della sua appartenenza, ed invece apparteneva a determinate forme di convergenza. Adesso in qualche modo ci si appartiene in modo quasi biologico, per condizione o per costituzione geo-politica o per una condizione che ha a che fare con gli esseri o le singolarità che in qualche modo si coappartengono.
Si coappartengono attraverso delle modalità che non sono le lingue comuni, ma sono la stessa facoltà di parlare, la stessa facoltà di interagire nei confronti dell'altro.

Ma rispetto a questa attitudine come rispetto a questa idea di -Molti- come un artista può intervenire? -e perchè l'idea di disobbedienza sociale e civile diventa costitutiva o diventa quasi una delle "belle arti"?
Potrei parlarvi di una parte della sezione di -Disobedience- a Berlino dove c'erano dieci stanze che partivano dal 1977 Italiano per arrivare all’ Europa Contemporanea.

Mi interessa mostrare la relazione quasi antitetica tra quella che noi pensiamo politica e quella che vediamo come arte; abituati a pensare queste due dimensioni come dimensioni separate a partire dalla ripartizione Kantiana tra l'etico e l'estetico, sebbene per tutto il novecento abbiamo continuato a pensare nel migliore dei casi alla maniera di Benjamin, in cui o si poteva parlare di una politicizzazione dell'arte o di una estetizzazione della politica, in qualche modo due poli ciascuno dei quali definito che potevano sovrapporsi, ma mai darsi come una integrazione possibile.

Quello che mi interessa è invece, e che è uno degli ambiti operativi della Moltitudine è questa condizione in cui non si assume l'ambito del politico come oggetto della rappresentazione, ma si parla di Arte che è intrinsecamente politica; stranamente nel momento della post politica in cui una idea del politico di tipo tradizionale è veramente terminato. Nel senso che credo che a partire dalla mia generazione, dagli anni sessanta, abbiamo perso ogni pathos nei confronti di quello che poteva essere anche un retaggio novecentesco di alcune dimensioni della politica come forma di rappresentanza, e questo mi pare uno dei nodi più importanti dell' arte pubblica e contemporanea - questo rapporto tra rappresentanza e rappresentazione.
Devo dire che se guardiamo all'interno della cultura delle avanguardie storiche del novecento, non è così facile rintracciare una genealogia moderna dei --Molti dentro la modernità stessa.
L'idea di J. Boys per esempio quando parla (Documenta 82) della Catastasi di basalto e della Piantagione delle settemila querce, di arborizzazione dello spazio, di amministrazione dello spazio urbano, sicuramente c'è già questa idea di un rapporto tra rappresentanza e rappresentazione.
Devo dire entrambi in crisi, forse definitivamente, nel senso che tantissimi di questi casi rappresentano forme moltitudinarie dell'arte contemporanea, in qualche modo soffrono di una crisi di rappresentazione, nel senso che preferiscono un' azione diversa, non mediata, piuttosto che una azione rappresentata.

E nello stesso tempo credo che lo scenario dei -Molti- sia uno scenario pluralista, cioè uno scenario più solenne del contemporaneo dove è l'Arte, dove è l'estetico nel contemporaneo - questo spazio che si sottrae costitutivamente nel senso che è comunque ancora la modernità che aveva delegato al museo ed alla galleria, diciamo ancora l'idea di rappresentare lo spazio dell’ estetico, devo dire, nonostante tutti i tentativi delle avanguardie storiche di avvicinare arte e vita invece di ricorrere a quello Benjaminiano del rapporto (arte e politica) che vi dicevo precedentemente.

Adesso credo che la nostra idea di rappresentare l'arte, l'idea di esposizione rispetto invece ad un intervento diretto, diciamo di un laboratorio che si chiama Società - da parte dell'Arte - devo dire è uno strumento così pervasivo, quasi mimetizzato nei tessuti connettivi!
Come del resto penso che delle buone mostre sono quelle che mettono in scena ciò che già esiste, che magari ignoriamo perchè pensiamo che l'arte sia altrove.

Io credo che veramente sia difficile… quello che noi anche creiamo come display - sia l'impossibilità di una rappresentazione unica, così come è impossibile convergere verso questo -Uno- e credo che la dimostrazione più importante l'abbiamo avuta nel 97 a Kassel quando Catherine David ha realizzato una proliferazione di spazi come spazi della rappresentazione artistica a partire da un book, che non era assolutamente un catalogo - era un libro autonomo dallo spazio, dallo spazio del web, lo spazio della città, tutta una serie di spazi e tempi che ciascuno richiamano la propria autonomia, ma nessuno riusciva in qualche modo a ricondurre a rappresentazione totalizzante il contemporaneo.
Questa è stata una dimostrazione di cosa significava operare dopo l' 89 tra due realtà oppositive. Allora perchè la disobbedienza è diventa una condizione sine-qua-non del politico, e perchè anche dell'estetico?

Quando parlo di disobbedienza civile non parlo tanto di una idea di protesta, quanto nella accezione anche questa classica del termine - quanto quella di defezione ed uscita. Essere disobbediente oggi vuol dire in qualche modo produrre affermazioni possibili, lavorare in maniera affermativa.
L'idea non è quella della protesta, ma è quella della “Uscita” - nel senso del parametro del sistema economico.
In questo caso tutte le pratiche dopo l' 89 sono tese ad una sorta di attivismo generalizzato, a produrre una alternativa possibile (penso a Geo Design nel contemporaneo, da esempio).

Se questo da un lato è la condizione dell'Attivismo, cosa c'entra l'estetico?

Io credo che - i Molti - siano per costituzione, (così come dicevo –Politici- in tempi di post-politica) intrinsecamente estetici, nel senso che così come concordato alla fine della "Cura di sé" - in qualche modo l'essere contemporaneo una volta sganciato da tutte le forme di determinismo che lo collegavano ad ambiti di appartenenza -è chiamato ad autodefinirsi e a negoziare la propria individualità, se di questa si può parlare, perchè io credo che ne abbiamo molte simultaneamente.
Non è vero che non ne abbiamo da una parte… né nessuna, né da una parte ne abbiamo una alla quale dobbiamo tenere, ma in qualche modo questa idea di autocostruzione - praticamente l'ultimo retaggio Kantiano rispetto alla ripartizione che si diceva, questa sorta di libertà nell'arte, tutte le altre componenti per essere tali dovevano rapportarsi a delle forme normative.
Ed ecco che per la prima volta l'arte o l'ambito dell'arte è quello che dichiara invece che si tratta o che abbiamo comunque a che fare con regole facoltative che ci diamo ogni volta.

Perciò perchè Arte Pubblica? Arte! - perchè per fare Arte ogni volta devo determinare lo spazio di intervento, e devo determinare i miei parametri che definiscono in qualche modo la costituzione del mio intervento.
Allora quando dicono che la moltitudine è estetica, è proprio perché si da una condizione di regole facoltative per potersi determinare.
Quindi le azioni di fuoriuscita e di esodo di costruzione della alternativa sono moltissime.

Una delle condizioni del contemporaneo che ci accomuna è la possibilità, la grande latenza che abbiamo di fronte - la latenza di possibilità. Un altro degli elementi fondamentali che avevamo evitato e di cui giustamente ci siamo sbarazzati è l'idea di utopia.
Io non credo più che si possa affermare che non abbiamo da perdere che le nostre catene, perchè invece abbiamo da perdere moltissimo, ma soprattutto abbiamo tutto da guadagnare a partire dalla realtà che abbiamo di fronte. Questa è la mia idea di arte pubblica contemporanea.

 

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