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- Jannis Kounellis -

Artext : "Kounellis" a cura di Bruno Corà, ed. Il Ponte. Firenze

 

Lucilla Saccà - C'è una sua frase che mi ha sempre colpito in cui si dice: "... cercare di aprire una cosa fuori da questi muri ossessivi della convenzione.."
Forse che con il lavoro che noi facciamo cerchiamo di aprire al linguaggio una via non convenzionale - perché il linguaggio si stereotipizza continuamente con l'uso? Allora il nostro compito è questo trovare dei mezzi per aprire l'impossibilità di comunicare?
Quindi l'invenzione di rapporti diversi, particolari -
Una costante nel lavoro. In oltre 40 anni di lavoro rigoroso!

Kounellis - Questo gesto è all'interno delle problematiche iniziali :
Chi sono e dove vado?
All'interno di tutto questo, nascosto all'interno di questi confini linguistici, nasce anche il desiderio internazionale.
Ma non c'è mai la volontà di interagire con quello che eravamo prima -
che per parlare di tradizione bisogna parlare di novità! Perché non è assolutamente tradizionale il ritorno all'ordine. Il ritorno all'ordine è un segno politico che implica la fine di questo periodo di aperture -
e la volonta di affrontare la tradizione su di un altro piano.
E dunque il nuovo nell'arte è questo e -
partendo da una centralità riconosciuta (che intanto sceglie
una emotivà ad essa legata ) - c'è il tentativo di aprire, aprire ma non nel senso modernista del termine, ma aprire nella modernità..

Bruno Corà - Perché questo presente così incalzante e pregnante, necessità di una chiarezza di passaggi che sono stati compiuti nel passato.

 

Lucilla Saccà - Nelle sue opere, la tradizione è stata vissuta con una profonda sensibilità nuova. Per esempio quella installazione del 72/73, in cui lei vestiva la maschera di Apollo: c'era la scultura classica, rotta ed il corvo che significava la morte, ma anche una vita diversa.
La tradizione può essere nuova, ma è l'invenzione che è una rovina nel suo lavoro?

Kounellis - Penso alla realtà dell'identità. Oggi ed ieri. Noi non siamo assolutamente nati fuori da questi orizzonti. Il nostro non è mai stato un segno modernistico, e nessuno voleva abbandonare l'origine - anche in questo lavoro italiano.
L'inizio del lavoro italiano non comincia da oggi - è quello di sempre. C'è una accumulazione di lavori. Come c'è una accomulazione di architetture in Italia. Una esperienza vivente, di tutti i giorni.

 

Lucilla Saccà - Ma tutto questo calato in una sensibilità Europea!

Kounellis - Certo io sono un Europeo, sono nato tanto tempo fa, purtroppo, in Grecia e poi sono venuto in Italia quando ero ragazzo. Ho incontrato altra gente della mia generazione ed abbiamo vissuto una stagione emotiva e rivoluzionaria, che non voglio assolutamente nascondere. Però in ogni pranzo in trattoria noi parlavamo di lavoro come novità - che in quegli anni erano certe esperienze provenienti da Parigi - o di quello che è stata l'apertura di una condizione americana: Pollock.
E questi sono dei segni nel panorama del dopoguerra che ho vissuto.
Però non ci si è lasciati mai sfuggire la realtà - e non intendo la realtà del quotidiano - la realtà del paese, che sempre era lì - e sempre stava lì sul nostro tavolo, la sera - per noi giovani, e gli altri che erano più anziani di noi - e c'era Caravaggio e c'era la condizione italiana.
Non per fare un discorso di nazionalismo spicciolo, ma questa io credo sia oggi la modernità - Che non bisogna pensare, in questo oceano di globalizzazione approsimativa, di perdere il legame. Perché tutto allora diventa inevitabilmente minore. E appunto l'emotività ed il perché definitivo che dice : " quello o la morte " si perde. Mentre non bisogna perdere proprio questo! Quella condizione o la morte.
Per me questa è la distinzione culturale, e non c'è un altra possibilità per noi e per i più giovani.

E' un appello - nel viaggio, nel grande viaggio: non perdere l'identità, altrimenti si perde il perché!

Jannis Kounellis

Lucilla Saccà - Sentire le parole di un artista che ha sempre lavorato su uno stato di necessità è più che chiarificatore.
Ma volevo chiedere un altra cosa - Nelle sue opere c'è sempre una grande potenza metaforica così da poter aggiungere sempre nuove interpretazioni.
Dal tempo della mostra di Pistoia con le "Campane", ed ora pensando alla "Grande macchia" oltre ad un fatto di stretta analisi filologica, cioè del rapporto di rottura con l'informale, io vi ho sentito anche un volere riportare le nostre coscienze a quello che è giusto e a quello che è sbagliato - Le campane sono state esposte dieci anni fa, ma forse non abbiamo capito che il mondo non è e non ha avuto una sua moralizzazione, un capire questo suono... e la macchia - io la intendo come un segno negativo, un male che non è solo verso l'informale -
forse mi sbaglio..?

Kounellis - Volevo solamente dire che le campane non erano naturalmente un recupero esiziale.
In realtà nella mia mente erano le campane della libertà. Non sono strettamente legate alla Chiesa, piuttosto hanno un altro significato - ottocentesco probabilmente.
E' la campana della libertà - risorgimentale!
Certo c'è una distinzione da quella di Chiesa, che a volte è anche gioiosa -
perché a volte le campane richiamano per un matrimonio o un battesimo, e sono diverse le campane della morte, e di tutto questo che si vive in comunità.
Ma io che ho fatto un lavoro negli anni 60 dal titolo : Libertà o morte.
Viva Marat, viva Robespierre - E' evidente che le campane ricordano la libertà -
per non confondere.
A proposito poi della "macchia" - che cosa è la macchia? Non è fantasmagorico, ma è indubbiamente un fantasma.
E' il richiamo di un fantasma, il richiamo di questa visione del tragico - che non mi permetto di abbandonare.

 

Lucilla Saccà - Ma che poi possiamo interpretare?

Kounellis - E' evidente che ciascuno lo vede a sé, così come c'è una gestualità provocata da me - e di certo la cosa è molto più vasta e complessa.

 

Bruno Corà - C'è il problema della lingua da mettere in risalto.
La lingua di Kounellis che adesso mi sembra cominci a penetrare ed essere molto chiara sempre per più persone, diversamente da qualche anno fa e tuttavia non è un problema fermo e statico. Quelle che sono le cognizioni che avevamo colto e capito fino ad un anno o sei mesi fa sono in una profonda elaborazione da parte di Kounellis, e quindi non è ferma - è una lingua in movimento.
E devo dire che questo movimento sta conoscendo un apice proprio di velocizzazione e di rapidità che ha un equivalente, un aspetto drammaturgico nell'opera stessa. E' uno strigere i cerchi sempre più velocemente per arrivare al cuore dei problemi. Cuore dei problemi - come la richiesta di un perché, che ciascuno di noi si domanda una sola volta, il perché delle cose -
e tutto il resto diventa epopea ed epica - diventa sviluppo, e questo sviluppo è naturalmente uno sviluppo che richiede continuamente di tornare a questo -perché?.. E non c'è un cedimento, anzi - c'è un consolidamento delle urgenze perché con il trascorrere del tempo e degli anni - l'artista in primis e tutti noi sentiamo l'esigenza di essere sempre più precisi, in un momento in cui c'è di converso una fruttuosa, ad essere benevoli, confusione.
E nella confusione bisogna trovare il punto del procedere.
Ma anche perchè ci si deve chiedere, cosa viene trasmesso e cosa trasmette un artista come Kounellis, o la sua generazione, a quella che oggi è immediatamente sucessiva ma che è presente e compresente! Non c'è mai uno stacco, c'è sempre un travaso con estrema anche generosità che gli artisti compiono - "Che cosa e come trasmettere?"
Kounellis sotollineava questa necessità di essere dialettici, essere dialettici dentro il contesto in cui si opera con la realtà e con le generazioni che sono conpresenti.
Essere dialettici anche con le culture lontane da noi, comprenderne le intime ragioni.

E poi si dovorrebbe fare il punto su altre cose, Kounellis ha accennato
al problema della identità, poi c'è il problema della circolazione dell'opera - un problema questo che adesso mi sta particolamente a cuore fino quasi ad angustiarmi!..

Perché è vero che gli artisti profondono lavoro e energie, ma c'è un problema che riguarda il contesto: dove cade questo lavoro? Chi lo raccogli e come viene reso coscienza di una comunità, di un paese? Come avviene tutto questo?
Ed ancora oggi, i veicoli della diffusione di questa identità e di queste ragioni.
E dunque un riconsiderare il rapporto con i mezzi di comunicazione e dei suoi rischi ?

Kounellis - Noi abbiamo pensato sempre ad una unicità del lavoro, mentre gli artisti americani della pop art erano per la molteplicità. E già in questo c'è una differenza colossale.
Forse siamo già morti o siamo gli unici vivi!
Però questo territorio magico e drammatico indica questa posizione, e non c'è ne è un altra.

E nessuno può pensare di avere i mezzi di comunicazione, perché non esistono!
Esiste questa unicità come una sovrapposizione di un alfabeto lungo duemila anni.
E nessuno pretende di cambiare questo tessuto, i gesti, di oggi, che ne sono assorbiti -

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