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Franco Vaccari 

 

Artext - La tua fortuna artistica ha preso inizio dalla Biennale di Venezia!

Franco Vaccari - Quella del 1972 fu una mostra fondamentale per me. La Biennale curata da Barilli e Arcangeli. Il tema di quella edizione era “Opera o comportamento”. Barilli curò la parte dedicata al comportamento. Vennero selezionati un totale di 10 artisti : Mario Merz, Gino De Dominicis, Luciano Fabro, Germano Olivotto oltre a me, in questa sezione.
A distanza di tempo trovo che sia la mia mostra più riuscita. Non c’è stato un errore, dai contatti con la ditta della Photomatic, l' allestimento della sala, le quattro frasi nelle diverse lingue, a come attaccare le strips.

L.B.  E' stato fondamentale quel tuo lavoro anche per gli artisti che sono venuti dopo.

F.V. Renato Barilli ha avuto un gran coraggio.

Artext - Barilli non sapeva quale opera avresti esposto, quando ti invitò?

F.V. No, però aveva visto una mia mostra l’anno precedente, una cosa apparentemente semplice, ma dove in pratica c’era già dentro tutto.

Artext - Che cos’era?

F.V. Dovevo fare una mostra alla Galleria 2000, a Bologna.
Feci il viaggio in treno da Modena a Bologna, seguito da due fotografi che, con la Polaroid, documentavano il mio viaggio. Arrivato in galleria esposi le foto mentre i fotografi continuavano a scattare, durante l’allestimento, e anche durante l’inaugurazione. Così le polaroid aumentavano di minuto in minuto sulla parete. Io mi limitai a mettere il biglietto d’andata e ritorno del treno dentro una teca, ben esposto. Poi, finita la mostra, ripresi il biglietto dalla teca e tornai a casa.

Artext - Come si svolse "Lascia su queste pareti una traccia fotografica del tuo passaggio"

F.V. Misi una macchina automatica per foto-tessera e invitai la gente a farsi una fotografia e poi ad attaccarla alla parete espositiva. La macchina automatica era a pagamento, perché credevo che solo attraverso un piccolo sacrificio personale si sarebbe passati dalla virtualità alla realtà.
Se fosse stata gratuita, sarebbe stata un’azione completamente virtuale. La sala all’inizio era vuota. Ho fatto la prima foto-strip e poi non sono più intervenuto.

Artext - Il concetto di “tempo reale”, il cortocircuito del qui-e-ora, il tentativo paradossale di far coincidere tempo dell’esperienza con quello dell’osservazione, diventano modi di aggirare la predeterminazione.

F.V. Si mette in moto un meccanismo. Il mio scopo era quello di utilizzare un meccanismo che disattivasse i miei processi mentali pre-ordinati. Faccio un esempio: nel 1970 sono andato all’Isola di Wight a vedere quello che fu il più grande festival di musica pop in Europa. Mi trovai in una situazione che non corrispondeva a ciò che mi aspettavo, forse perché appartenevo ad una generazione precedente. Così quando mi trovai a documentare quella situazione, capii che avrei dovuto disattivare i miei meccanismi mentali automatici, altrimenti avrei fotografato una cosa per me nuova, con un’ottica vecchia. Decisi allora di fare così: la mattina, appena sveglio, camminare per cento metri e fotografare a destra e sinistra, poi altri cento metri e di nuovo destra e sinistra. E così via. Misi in moto un meccanismo che mi portava a vedere quello che non sapevo, mi faceva andare oltre ciò che conoscevo.



Franco Vaccari

Viaggio sul Reno. Settembre 1974
Edizioni Nuovi Strumenti, Brescia 1976


L.B. Mentre "Viaggio sul Reno" settembre 1974 è nato come progetto o ha avuto uno sviluppo mentre si realizzava..

F.V. Ho fatto parte di un gruppo costituito da architetti : Mendini, Sottsass, Pettena che si chiamava "Global Tour". Sottsass era spesso impegnato nei suoi viaggi in India. Io piuttosto preferivo spostamenti non scenografici, non retorici - allora ho pensato ad un viaggio in Europa il più minimalista e meno avventuroso. Così è nato Viaggio sul Reno -
Con Arra, Ugo La Pietra, Gianni Pettena siamo partiti per questo viaggio, allucinante, che è durato diversi giorni (4/5) da Dusseldorf a Basilea, sulla nave per crociere France.
Navigavamo alla distanza di qualche metro dalla riva, seduti tutto il giorno a guardare sfilare lentamente il paesaggio. Avevamo una mappa dettagliata del tracciato, ricordo che per superare i dislivelli entravamo in delle chiuse dove la nave in pochissimo tempo veniva sollevata di qualche decina di metri. Per un po’ era come essere dentro un’enorme scatola da scarpe che si va allagando e si vede solo scorrere la parete di cemento così vicina da poterla toccare, poi, di colpo, gli occhi si trovavano al livello del terreno e lo sguardo esplodeva tutt’intorno fino all’orizzonte.

L.B. Ne è nato un libro?

F.V. Si, con le foto a colori, cosa non molto diffusa allora – mentre nel testo ho usato un modo di descrivere le situazioni non proprio aderente alle immagini o forse, lo era da una angolazione che non avresti mai pensato. E' stato un esempio abbastanza precoce di Narrative Art.

L.B. Lo trovo un lavoro strepitoso. Come questa idea della Narrative Art e di un dialogo tra l'osservatore e l'oggetto osservato.

F.V. Viaggio sul Reno è stato esposto a Novara – che non è New York! (risa)
Anche la Narrative Art, è stato un fenomeno che ritengo interessante ma che ha avuto poche occasioni di esposizione. Una delle ultime è stata una mostra che ha curato Renato Barilli a Forlì. () La ritengo una fase di addolcimento del concettualismo, che ha dato luogo a diverse diramazioni – alcune riprese nelle esperienze post-moderne.

L.B. Forse del concettualismo fu una sorta di sintesi o di compendio.
Ma c'era già la necessità di una dimensione più sintetica e di impatto, quasi a stupire..

F.V. Ricordo che Enzo Cannaviello che aveva appena aperto la sua galleria a Roma venne a cercarmi.
Era di ritorno dall'Arte fiera di Basilea dove erano esposti alcuni miei lavori.
Io non sapevo dell'esistenza di una corrente artistica chiamata Narrative Art, ma evidentemente lui ha riconosciuto in questi miei lavori esposti una declinazione particolare di questa. E quindi mi ha contattato per vederne di analoghi ed esporli alla prima mostra che c'è stata in Italia esattamente a Roma nel 1974. E' stato fatto un catalogo con la prefazione di Filiberto Menna.
Io ero l'unico italiano presente, con artisti davvero interessanti come Bill Beckley, David Askevold, Didier Bay. La mia opinione è che questa arte preludeva a forme più colloquiali, più coinvolgenti sensorialmente.
Al contrario del concettualismo "duro e puro" - qui è presente il colore, la scrittura...

M.M. Erano anche gli anni di successo della poesia concreta



Franco-Vaccari

Isle of Wight, 1970  collezione privata, Roma


F.V. La realtà italiana in quegli anni era egemonizzata dall'Arte Povera.
Solo a metà degli anni 70' cominciano i primi segnali di ciò che sarebbe stato il ritorno alla pittura, disegno, colore... e nel 1780 (risa)

M.M. Vuoi dire 1980 e la prima Biennale della Transavanguardia

F.V. La mostra con la direzione di Carluccio era Aperto '80 - e qui Bonito Oliva dispone di uno spazio importante.

M.M. Gli ambienti degli ex Magazzini del Sale, dove si era svolta Venezia 79 la fotografia.
In realtà era l'ex studio di Emilio Vedova.

L. B. Questi spazi sono conosciuti solo modificati per la Biennale.

F.V. Mi stupisco ancora oggi del successo impressionante che hanno avuto gli artisti della Transavanguardia

M.M. C'erano tutte le condizioni economiche favorevoli, dal sostegno dei collezionisti, le gallerie..?

F.V. Le persone cercavano qualcosa di nuovo. E gli artisti, a loro volta bravi a reggere la pressione del successo.

M.M. Se ci pensi bene erano tutti artisti che avevano fatto esperienze con l'arte concettuale. Francesco Clemete..

F.V. Clemente l'ho conosciuto all'Arte fiera di Basilea. Nel tornare in Italia ho dato un passaggio a Ketty La Rocca e a Clemente. Durante il viaggio abbiamo intavolato un discorso con Clemente che mi indisponeva. Noi certo in quegli anni eravamo molto ideologizzati, ma lui era andato davvero al di là.
E diceva - Guarda Andy Warhol che successo ha avuto prendendo le distanze da ogni considerazione politica - E a me questa idea di prendere le distanze dai problemi del momento in un modo così drastico oppure non dare importanza a tutti i fatti legati all'ideologia e alla storia non mi piaceva proprio.
Poi le cose sono andate in un modo che hanno dato ragione a lui.
Forse io ero troppo schierato.

L.B. Non prendersi responsabilità come cittadino in una società civile in quel momento era considerato un atto di qualunquismo o indifferenza.
Al contrario nel tuo lavoro hai cercato degli atti di coscienza rispetto a quello che si fa.

F.V. Coscienza è il termine giusto. Io ho sempre cercato di ottenere una presa di coscienza.
Non mi sono mai abbandonato ad un "andare oltre" sperando di "cavarci fuori i piedi".
E così arrivati a Modena l'ho lasciato per strada.. mi imbarazza ripensarci a distanza di tempo.


La conversazione si sposta sugli esordi della Transavanguardia e su Baselitz, poi su questioni come tradizione e identità storica.



Franco-Vaccari  

Col Tempo, 2014   Courtesy Base Firenze


F.V. Rimango sempre sbalordito dalla bellezza del codice.
Mi piace l'idea di realizzare le mie mostre esponendo solo del codice (Quick response code)

L.B. Come in questa speciale edizione del Bar Code con il tuo ritratto modificato, tratto dall’album di famiglia - Tu da piccolo fotografato con la mamma, in un contesto che pare di un altra epoca.
Tra assenza e autoritratto…

F.V. Un ready made.

L.B. Ancora di più, perché poi nel secondo ambiente, il codice con questo messaggio intimo, ti chiama in causa, e non è una scritta pubblicitaria.
[per accedere all’opera è necessario fotografare ciò che è esposto sul muro con un cellulare munito del programma per la lettura dei Quick response code 2D. Solo a quel punto l’autore dello scatto potrà leggere sul display la frase che è stata affidata a quel codice.]

F.V. E' enorme il contrasto tra il codice (QR code), i tavolini, l’azione ed il messaggio. C’è poi il gesto di fotografare, per vedere che questo ti restituisce una frase che puoi leggere sul display.
E’ un'emozione!

L.B. Straniante, perché abitualmente lo fotografi per il biglietto del treno.

F.V. In questo caso ti riportata una situazione precedente, emotiva, emozionale.

L.B. Si, non solo la forma del codice ma l'atto.. il fotografare –
La mia opinione, come ti dicevo, è che viviamo in un momento in cui paradossalmente la fotografia non esiste più quando c'è il click, ma solo quando viene distribuita.

F.V. Non solo un problema di immagine...

L.B. Sono due lavori su cui è possibile una riflessione ampia sulla fotografia nell'era di internet, l'autoritratto, personale e collettivo – E trovo indicativo la scelta di esporre “Bar-code” dove diventa evidente questa idea di condivisione..

F.V. Diventa una percezione allargata, plurisensoriale, e pluriconcettuale, rispetto ad una osservazione, ad esempio un quadro.. dove non c'è niente intorno che mi suggerisca qualcosa per stabilire il senso di questo rapporto. Invece in questa esposizione c'è tutto. I tavolini con libri e cataloghi, la mia storia personale, la foto di quando ero bambino, e questa confessione personale attuata però attraverso un medium attuale, per me bellissimo.. il codice QR.


continua

Firenze 2014


 
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