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Artext incontra Virgilio Sieni 

 

Artext - Cango: i Cantieri Goldonetta. Abitato da Kantor e Gassman e in anni meno recenti da Gordon Craig nell'esperienza dell'arena Goldoni, che proprio qui ha elaborato il suo pensiero teorico: Screen - plasticità della scena, l'attore e la supermarionetta. Sono temi ancora attuali questi - da rivivere da aggiornare?

Virgilio Sieni - Certamente fra questi citati, con l'esperienza di Craig c'è una affinità.
Se non altro perchè ho considerato questo spazio fin dalle sue fasi di ristrutturazione, e quindi ho collaborato con gli architetti ed i restauratori, nel concepirlo come un corpo umano. Non ho mai pensato di fare uno spazio teatrale o espositivo - anche progettando il nostro logo - pensato veramente come un corpo umano dove ogni piccolo spazio ed interstizio anche se marginale potesse essere in funzione dell'altro - E quindi sicuramente un luogo aperto e flessibile ad una riflessione continua. La fase di ristrutturazione è stata fondamentale in questo senso, proprio perchè è stata abbinata e sviluppata per mezzo di un progetto artistico.


A. - A Cango si svolge un'attività continuativa in progetti di produzione, formazione, residenze - Affiancando alla produzione di spettacoli un programma globale di ricerca, studio e diffusione dei linguaggi.

S. - C'è una idea fondante che è appunto questa: La scuola.
Un luogo comunque legato alle pratiche. Quindi predisporre degli spazi sempre fruibili e frequentabili in tutte le possibilità ed in tutti i formati. Il programma di Cango si basa esattamente su questo. Un programma disorientante perchè non ha delle scadenze precise, ma che lavora quasi come per satelliti - ognuno in contatto con l'altro. Ognuno di questi satelliti si nutre di residenze, con varie discipline - artisti sensibili a tutto quello che è un dialogo tra i vari ambiti artistici, pur mantenendo uno specifico: dal corpo alle arti visive alla danza, all'arte plastica, all'architettura. Non ultimo la sequenza di incontri o delle lezioni, anche delle prime lezioni. Quindi sicuramente c'è in questo un' idea di scuola e di organicità, dove il lavoro finale, la visione, arriva non come un momento ultimo, arriva incastonato come un interstizio dentro questo percorso.
A volte sono spettacoli finiti, a volte indefiniti, a volte materiali, a volte semplicemente prove, dei test.



   Sissi



A. - "La democrazia del corpo" : il progetto triennale più recente di interazione con le arti - Cosa mette in campo questa modalità operativa che orienta il tuo lavoro e di conseguenza la tue scelte.

S. - "La democrazia del corpo" è il nostro palinsesto. Prima di tutto fa riemergere nel titolo stesso e nel carattere del luogo una specificità - visualizzando un punto di fuga che comunque è sui linguaggi del corpo. Questo è per me fondamentale. Nel momento in cui da molti anni, o forse da sempre in questo secolo appena passato, il luogo teatrale è sempre stato pensato sempre attraverso altro: dalla parola, la musica - Dove l'arte veniva sempre ospitata dentro questi contenitori. Per una volta abbiamo voluto partire nel lavoro e nel mio ambito proprio dal senso reale del corpo.
Quindi la democrazia del corpo intesa in un senso molto ampio. Non ultimo un senso sociale, urbanistico, attraverso un coinvolgimento di luoghi e delle pratiche:quindi artigiani, abitanti, sia a livello artistico che di frequentazione. Intendendo per "democrazia del corpo" un fattore non solo artistico ma anche antropologico. E non ultimo il vero senso della democrazia del corpo -
Il corpo ci permette nelle sue pratiche di disporre, farne manifesto - La democrazia! Volendo muovo il corpo come voglio in questo spazio. In questo sta la rivoluzione del teatro. Purtroppo anche lì resistono una serie di concetti omologati, di luoghi comuni, per cui molto spesso il teatro è una ripetizione di una qualcosa già visto. Però il corpo esprime una grande democrazia, questo si!


A. - Quale idea di rappresentazione allora si nasconde dietro questo modo di procedere che nella danza richiama le arti visive? La connettività delle arti.

S. - Lo specifico non esiste nella danza. Tutto qui.
In questo caso esiste solo l'ottusità. Una persona è ottusa per cui pensa di essere nello specifico. Infatti la concentrazione... ma la mente che si concentra su di una unica cosa impazzisce. C'è bisogno di un unirsi di cose imprevedibili - che cerchi! E comunque c'è sempre la variante, molto discontinua che è quella della imprevedibilità, che ti capita, esattamente come camminare per strada. L'unico atto democratico ancora in nostro possesso.
Cammino per strada ed incontro chi voglio.
Certo devo resistere perchè ora se cammino per via Tornabuoni, tutto tende a farmi acquistare qualcosa. In questo senso serve una autodisciplina.



Sissi

Compagnia Virgilio Sieni e Accademia sull’arte del gesto
L’Ultima cena, Cenacoli Fiorentini 2011


A. - Esistono diverse tracciati nel tuo lavoro. Uno di questi tende continuamente a una rifondazione della scena da certe situazioni esemplari : Pontormo o Canova.

S. - Sicuramente ce ne sono altri, e per me più indicativi. Ma sicuramente sono li che galleggiano. Penso ad un percorso che a me piace fare rivolto alla scoperta.. Piero della Francesca ad Arezzo e San Sepolcro, Urbino, poi Rimini nell'Italia centrale.
Quindi l'apertura di paesaggi e rinchiostri collinari. Sono tanti gli artisti che mi aiutano, anche con il loro pensiero: Kline, Beuys, veramente tanti.
Rifondazione! Anche perchè questi artisti nel corso del tempo ritornano, mutano. Sono sempre delle vicinanze, delle adiacenze, giustamente. Se rifletti, spesso l'idea che ti viene è semplicemente un excursus di questi panorami, no?! E poi tutto quello che accade è farsi a volte medium anche degli elementi conoscitivi, più la parte indicibile!
E' vero che sono stato sempre spinto a non ripetere le metodologie, anche se la costante è stata una forte tensione quasi ottusa, rivolta al corpo. A una idea di spostamento del corpo inteso come universo complesso e proprio per questo infinito. Non solo il corpo come macchina nella sua funzionalità, un corpo inteso soprattutto nelle sue sospensioni, nelle sue fragilità. Perchè si muove?
Da cosa si origina il primo gesto?!... Cosa lo spinge? Qale intensione? In quale contesto? Per cui tutte queste riflessioni sul corpo e sullo spazio, al senso appunto del luogo portano sempre ad una rifondazione quasi linguistica, ad un approccio non solo di riferimenti, ma ad una idea di costruzione della scena, di costruzione del'atto teatrale, di costruzione quasi della visione.


A. - C'è anche una disponibilità nei lavori più recenti alle modalità del -live electronics-

S. - Sì. Sono cambiamenti molto meditati.
Live electronics, la spazializzazione del suono e tutto quello che è un approccio legato se vuoi, ad un riavvicinamento alla pelle, al corpo - come accadrà nel " Dialogo sulla deposizione " Queste zoomutate sul corpo per evidenziare principalmente un aspetto più legato alla superficie ed alla pelle. Ematomi, grassi, disegni fatti sopra, l'emergere di un percorso pittorico sulla pelle. Quindi utilizzare il mezzo tecnologico non per creare una distanza.
Ma dare un senso di scavo drammaturgico che può servire a creare questo avvicinamento. Però sono pratiche che ho sempre frequentato. E se parliamo di artisti rinascimentali e manieristi sì, mi interessa molto usare la musica di Bach, ma nello stesso tempo mi interessa lavorare in forma radicale con i compositori contemporanei, gli artisti stessi.



Virgilio Sieni

Compagnia Virgilio Sieni, Sonate Bach, 2007


A. -  Alcune pubblicazioni di tuoi spettacoli contengono le tavole di notazione coreografica: Fulgor, Empty Space Requiem. La questione del tempo in coreografia, dal punto di vista della musica, rileva come nella danza sia difficile mettere sulla carta una composizione come accade nella pratica musicale. Che pensiero muove questa pratica - e cosa mostrare..

S. - Per me è un problema fisiologico.
La necessità non di dipingere, ma di vedere quasi in una dimensione tridimensionale, su di un foglio - vedere, come tutto quello che è una partitura, la sua durata, il suo excursus spaziale - Una partitura fatta di piccoli segni, disegni, di spazi, di piante, fotografie, di esplosioni.
Tutta quella che è una nota messa in partitura come se fosse un pentagramma! Mi aiuta molto. E' un lavoro parallelo, e lo faccio spesso durante la creazione. E quindi è un momento di riflessione molto importante. La sospensione della prova, con gli artisti, con me, in un luogo, per essere in un altra dimensione - un altro contesto. Su un tavolo, sul pavimento, pensare da un altrove.


A - Lo spaesamento nel rapporto tra gli spazi interni del corpo e le traiettorie di movimento.. potrebbe produrrre e far percepire - un corpo sonoro - quasi.

S. - C'è una definizione molto pragmatica legata ad un ascolto. Cioè dire relegata ad un corpo che ha un suo tempo: come scricchiola, fa rumore, internamente - pressa gli organi. Pressa gli organi, questi soffiano, si spostano nelle acque, i liquidi. Già percepire questo e nel movimento... Il movimento non è un aspetto solo aleatorio. Il movimento del corpo va a spostare tutti questi organi in funzione di una architettura dello scheletro ben precisa. Ottunde tutto un sistema di pressioni e galleggiamenti. Questo per me crea una musica, fondamentalmente.
Questo rivolgersi a questa sonorità è importante.
Ed il danzatore si deve fare molto bravo per farla percepire. Questo è molto difficile. E quindi questo caso, in questo senso l'architettura del corpo diventa una architettura complessa. Non lavora più per linee, per segni estetici esterni, ma ad un qualcosa che si va a comporre internamente attraverso gli organi. Questo è un aspetto della sonorità, ma c'è un aspetto che si lega a quello che ho detto prima, rispetto al corpo che si dipana nello spazio, secondo piani, fantasmi, le pressioni del luogo e dello spazio, tutto questo va a creare un' altra qualità e una sonorità molto importante.
Ecco, c'è una sonorità che è legata ad una sorta di accompagnamento, quasi mugolio interno. Un grugnito liturgico che ci portiamo dentro. E quindi non sto parlando di musica, di composizione, ma sto parlando quasi di una sonorità così come il corpo assume e diventa un continuum di associazioni e di gesti, dinamiche. Così dentro c'è un continuum, un mugolio - questo grugnito. Che già percepire questo mugolio che non è il respiro... Il respiro è un altra cosa. Il respiro va a creare - crea il senso della nostra esistenza, prima di tutto. Ci crea una metrica. Se lo ascolti..
Molto spesso si associa il respiro all'atto meditativo, alla stasi. Il respiro non deve bloccare il movimento. Nella sua alta concezione il respiro invece è nella dinamica, nel momento in cui riesce a creare questi due piani paralleli, dove l'uno non reprime l'altro. Nel salto non lo trattieni, nella compressione non lo trattieni.
Magari se lo vuoi trattenere è un pò come farlo circolare diversamente. Il concetto sonoro per me è importante, e non è legato a delle melodie esterne. Ecco, questi concetti quasi di sonorità irregolare, elementi concreti, elementi muti, cerco di abbinarli invece contemporaneamente ad una musica. Lavoro su Bach, c'è una musica che la si ascolta, ma c'è una musica che il corpo deve emanare.
Ed il corpo non è semplicemente la didascalia del suono.


A. - Praticare lo spazio: apeiron, vuoto. Ma lo spazio in ogni caso da dove si crea? Dall'azione, dalla differenza delle parti...

S. - Lo spazio come luogo ha sempre una identità ben precisa, perchè già abitato dai vissuti - e al tempo stesso, dimensione dove ricreare tutto: ecco lo spazio teatrale. Che ogni volta c'è da rifondarne gli elementi! Molto spesso ho questa percezione, che lo spazio sia complice di un momento in cui si vanno ad infrangere le sue regole, legate al suo non volere essere spazio... Lo spazio si lascia attraversare se non lo vuoi rinchiudere.
Se noi entriamo in questa soluzione di attraversamento, di uno spazio che non ha barriere - che non le vuol creare, allora sento che lo spazio è un grande complice, sempre. Perché lo spazio è anche memoria. Io lavoro spesso in spazi desueti non-luoghi teatrali dove posso ricreare una sorta di apparente neutralità. Lavorare in spazi con una precisa connotazione, edifici industriali boschi, sottosuoli.. a me piace stare in questi spazi, capirne la natura! Lo spzio... è come un testo e quindi non lo sfrutti e non lo adoperi come un bel sopramobile. Forse per questo che quando mi trovo in questi spazi lavoro sempre su base interstiziale, nei margini, senza metterci dentro se non lo spazio stesso, non riempirlo di oggetti. Ma adopero elementi molto aleatori: luci, piccoli sgocciolamenti, se c'è una fessura farci colare dell'acqua. Forse basta a volte un tavolo appoggiato in un punto della stanza ... nel momento in cui lo si riesce a stravolgere di senso.
Si certo in oriente esiste questa idea del punto-sorgente dello spazio che mi piace molto. Lì lo spazio si genera dai meridiani corporei. Lo spazio dell'Aikido per esempio ... forse è una selva o spazio che riesce a creare attraverso il movimento - E' solo quello lo spazio: quello che unisce i nostri corpi in questa dolce lotta a creare piano piano?! L'aikido ti lascia immaginare anche uno spazio molto ampio. Ha spazio l'aikido.




 
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