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Artext STARTpoint 2014
Chiara Camoni Alberto Salvadori

 

Alberto Salvadori - Partendo dai processi creativi che si definiscono con la pratica del disegno e dell'installazione, da dove nasce la tua idea di autorialità condivisa che non è appropriazione ma condivisione?

Chiara Camoni - L'approccio non è quello del ready made. È piuttosto una sensazione di empatia: alcune situazioni mi corrispondono così fortemente da poterle sentire come mie o comunque appartenenti a questa forma di autorialità più ampia.
A volte ho bisogno di altre mani per poter uscire dalla competenza tecnica e per agganciarmi alla forza di certi processi, naturali o umani, che affondano le radici molto lontano. Non è però una condizione programmatica a dare origine all'opera. Può accadere oppure no e questo rimane inspiegabile: alcune “cose” diventano opere, mentre altre continuano ad appartenere semplicemente al mondo di tutti i giorni. La necessità di aprire e ampliare l'autorialità è cresciuta per me nel corso negli anni. In alcuni casi ho la sensazione che coincida con la mia stessa giornata, comprese le persone che ne hanno fatto parte.. Per molti artisti avere uno studio è fondamentale, perché quel luogo permette l'accesso ad un tempo e ad uno uno spazio diverso, che è quello della creazione. Ultimamente mi sono resa conto che non ho bisogno dello studio, preferisco la casa - perché cerco la promiscuità della vita di tutti i giorni.
È per me un “materiale” a tutti gli effetti: dal caos informe che continuamente si muove intorno a me ogni tanto qualcosa fa un salto, esce fuori e prende forma, diventa opera..

A.S. -  Che relazione instauri tra gli elementi che appartengono alla natura (intesa non tanto come creazione ma piuttosto come apparizione) e ciò che invece è il risultato di una elaborazione concettuale, come nel caso delle riproduzioni delle immagini di opere d'arte del passato?

C.C. -  È una relazione di “buona vicinanza”, ovvero di affinità e dialogo, sia sul piano processuale che estetico. Gli elementi giustapposti sono entrambi il risultato di stratificazioni e sovrapposizioni.
Da qualche anno vivo in un luogo immerso nella natura. Quello che sento particolarmente è lo scorrere del tempo naturale, che scandisce il mio lavoro e contemporaneamente offre la materia prima.
Ne sono un altro esempio i pezzi di marmo che utilizzo nei "mosaici". Durante le mie passeggiate mi sono accorta che tra i sassi del fiume ce n'erano alcuni di forma regolare, squadrata: scarti di lavorazione dei laboratori di marmo. Gettati nel fiume e sottoposti al lavorio dell'acqua, questi pezzi acquisiscono uno status molto particolare: non sono ancora tornati ad essere sassi, ma non sono nemmeno più manufatti, forme.



Chiara Camoni

Chiara Camoni Senza titolo, mosaico #02 marmo cm 185 x 245 x 12 2012


A.S. - Vivi una dinamica familiare molto importante rispetto alla tua attività - vedi i lavori realizzati insieme a tua nonna (che io trovo emozionanti anche per i processi di identificazione personale che mettono in moto). Hai un figlio dal tuo compagno, Luca Bertolo, un artista molto bravo.
In una dimensione così complessa com’è sentirsi al centro di un progetto che definirei "un tutto"?

C.C. - Molte mie opere nascono proprio dalla condizione biografica del momento.
Il mio compagno è artista e questo comporta un confronto serrato e continuo sul lavoro.
Per me è un dialogo assolutamente vitale e funzionale alla ridefinizione della nostra stessa identità individuale. Luca è pittore, io faccio tante cose tranne dipingere! E questo è un tema, per noi, perché la pittura avviene in una dimensione molto precisa, all'interno di un perimetro. Per me è l'al di là, è tutto ciò che avviene in un ambito che non fa parte dell'al di qua. È la dimensione astratta, intesa, come ciò che sta oltre la soglia del reale. Ciò che io faccio è invece costantemente al di qua, perché la scultura è nell'al di qua. Soggiace alle nostre stesse temperature, alle stesse ombre, è con noi - come questa bottiglia appoggiata sul tavolo. Anche il disegno, per come lo intendo io, ha sempre una connotazione molto oggettuale. Sento il peso della carta, la sua presenza fisica (vedi i frammenti di carta ritagliati: sono pezzettini di rosa, di giallo..).

A.S. - Alcuni tuoi lavori possono apparire a prima vista finiti e compiuti, ma in realtà sono parte di un procedere che si genera e rigenera in continuazione, per definirsi anche in altro modo.
Osservando i tuoi mosaici distesi sul pavimento si avverte la necessità di non scegliere la forma chiusa.

C.C. - Tanti miei lavori, smontati e rimontati, possono assumere forme e dimensioni diverse. A volte crescono nel tempo: non solo i mosaici in marmo, anche molte sculture in terracotta.
I fili cambiano, aumentano di numero e di lunghezza; il processo di accumulo continua e si modificano come organismi viventi.



    hiara Camoni

 Chiara Camoni Senza Titolo, Stabkarte terracotta policroma (part.)
          Chiara Camoni Senza Titolo, Stabkarte terracotta policroma cm 250 x 250 x 30 2014



A.S. - In tutti questi casi il tempo è inteso come durata. Ogni tanto però devi fermarti e, al contrario, il tempo diventa concentrazione nell’istante..

C.C. - Sono opere risultato di azioni che durano appunto un istante, che sembrano fatte di niente. Fatte di un attimo, di una contrazione. E poi c'è anche la pausa, quella dei periodi in cui non faccio niente (anche se per un artista la lettura di un libro o una passeggiata possono comunque essere una forma di lavoro o di preparazione a quello che farà successivamente..)
Questi momenti di vuoto, sono solo apparentemente vuoti. Potremmo dire che sono “pieni” di vuoto..

A.S. - "Il tempo è grande scultore" viene da dire pensando al tuo lavoro. In tutti questi processi quanto sono importanti i materiali per te? Tante delle tue opere sono realizzate con materiali che richiedono capacità e abilità tecniche. Come avviene quindi il passaggio dall'idea al manufatto?

C.C. - Il materiale è importantissimo perché spesso è l'elemento di partenza, la premessa. Nel materiale però è racchiusa anche la strada della sua stessa realizzazione, il processo.
Guardavo recentemente l'intervista video a Giacometti “Il Sogno di una Testa”: gli viene chiesto come mai ha abbandonato la creazione di oggetti che lo hanno reso famoso, per mettersi a “modellare” teste. Lui risponde: perché sbaglio sempre, perché fallisco, perché la testa non è prima pensata e poi semplicemente realizzata, non è l'esecuzione di qualche cosa che sta prima nella mente, ma ogni volta è una avventura. Non so dove porta, spesso porta al fallimento..
È questo ciò che risiede nella materia: l'esito sconosciuto, compreso il fallimento; ciò che ci fa continuamente ricominciare e che ci porta in territori rischiosi.
Per me in questo momento è la figura modellata..

A.S. -. Questa tua considerazione sulla "figura modellata" è molto interessante in un contesto in cui si pensa che gli artisti contemporanei non siano attratti dalla figura.

C.C. - Lavorando insieme ai bambini e a persone inesperte durante la creazione degli “Eserciti di terracotta” ho capito come la narrazione potesse essere collegata al modellato.
Quando un bambino modella un orso, quell'orso non è una epifania estetica, è un orso: corre, combatte, perde la zampa, mangia, altra creta si appiccica al muso, a volte torna una pallottolina di creta. Il processo circolare, in cui la figura appare e poi scompare, è paragonabile al processo adulto del fallimento. Inoltre lo sviluppo di una narrazione ribadisce qualche cosa di molto antico, per cui la scultura non è solo questione di valori formali, ma è anche strumento che presiede ad una precisa funzione (pensiamo alle statue etrusche che accompagnano i defunti nell'aldilà..)



Luigi-Presicce

                           Chiara Camoni La Venere senza Serpenti, terracotta cm 24 x 10 x 10 2014



Pubblico - Spazio e tempo, che tipo di sentire sviluppi quando ti trovi immersa in queste dimensioni?

C.C. - Il titolo dell'ultimo lavoro realizzato con mia nonna è "(di)segnare il tempo", che non è solo disegnare, ma anche segnare, e quindi ripetere e reiterare il "qui ed ora".
Non ho mai la percezione chiara di operare in questo senso, me ne rendo conto solo a posteriori.
Non credo sia la paura del tempo che corre, ma piuttosto il desiderio di segnare, di marcare la nostra stessa esistenza, di cercare senso.

Pubblico - Fai uso del colore quando disegni?

C.C. - Recentemente sto utilizzando tempere ed acquarelli, ma la matita è lo strumento che prediligo, così semplice e immediato; si prende e si ripone velocemente. Pur tentando di lavorare in maniera omogenea, si rintracciano infinite variazioni o imperfezioni che fanno la qualità del lavoro.
Così c'è allo stesso tempo una lettura d'insieme e una lettura ravvicinata, direi microscopica.



Luigi-Presicce

                           Chiara Camoni Astrazione è empatia, matita su carta cm 26 x 36 2014



Antonio Catelani - A proposito dell'errore che può verificarsi - come nel mondo epicureo, dal cui “clinamen” si genera l'imponderabile, lo sconvolgimento totale, mondi imprevedibili - che valore dai all'errore?

A.S. - La parola "informe" utilizzata da Chiara rende evidente l'impossibilità di definire a priori la forma, Così l'errore si può ricondurre alla impossibilità di definire razionalmente la forma.
E' come stare nella dimensione personale, inconscia, onirica.

C.C. - È un processo in divenire. Certamente non c'è un un progetto, ma piuttosto una durata. Ad esempio per settimane, per mesi, posso modellare sequenze infinite di piccole forme. Sono migliaia di minuscole sculture modellate a mano, tutte diverse. Lentamente queste poi si organizzano in file e prendono un assetto complessivo (di nuovo la visione d'insieme e quella ravvicinata).

Paolo Parisi - C'è una modalità di confronto, politico e sociale, che accomuna molti artisti contemporanei. Hai interesse a far dialogare il tuo lavoro con con questi temi?

C.C. - Non credo che sia il soggetto trattato, l'argomento, che determini il carattere politico e sociale di un'opera, ma piuttosto il modo in cui questa è realizzata. Un video che riprende un corteo di protesta può essere l'opera più reazionaria del mondo, al contrario un vaso di fiori dipinto può avere in sé qualche cosa di così pericoloso e destabilizzante da essere messo al bando.
È sempre una questione di linguaggio.

Paolo Parisi - Cosa consiglieresti ad uno studente dell'Accademia oggi?

C.C. - Leggere, guardarsi intorno e, per quanto possibile, conservare uno sguardo non omologato - assumendosi il rischio di una posizione non conforme. I nostri occhi non vedono le cose che vedono gli altri. Non dobbiamo vedere le stesse cose - questo credo che sia fondamentale.

Loris Cecchini - Gli artisti italiani sembrano estranei ad un dibattito politico e di utopia che il cyberspazio connettivo ha notevolmente ampliato. L’arte italiana, a parte alcune esperienze degli anni 70’, è accusata di formalismo. Questo dovrebbe spingerci a ribadire che il momento dell’opera è formazione e non informazione..

C.C. - C'è un modo oggi di fare discorso e didascalia che schiaccia completamente il lavoro. Quante volte dobbiamo approcciare le mostre dovendo prima leggere testi infiniti.. Ma siamo nell'ambito dell'arte o dell'informazione? Queste stesse notizie possiamo desumerle dai giornali, da internet: la creazione di un'opera avviene in maniera così preordinata?
Credo al contrario si tratti sempre di qualcosa di misterioso, di inafferrabile. Richiede contemplazione, perché in essa forma e contenuto sono inestricabili. E non si esaurisce avendola vista, o meglio compresa, una sola volta.
È come un luogo in cui vogliamo tornare.



Dialogo tratto dalla conversazione tra Chiara Camoni e Alberto Salvatori STARTpoint, a cura di Massimo Orsini, Marco Raffaele, Vincenzo Ventimiglia, Accademia di Belle Arti di Firenze


 
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