Alfredo Pirrri  
 “Crocifissioni e altri paesaggi primaverili” 2012.
 Galleria Tucci Russo, Torre Pelice Torino. Vista della mostra personale
Alfredo Pirri / Stefano Velotti
Arte e Stato
 
 


Alrte e Stato
Appunti per un convegno Da tenersi a Roma
   

 


La politica - quella che governa - ogni tanto si ricorda dell'arte, che è stata, permanendo, la sua lingua fondamentale. La pratica, privata e collettiva, che ha generato lo Stato (quello attuale, ipotetico o futuro). Un’idea di Stato non da intendersi brutalmente come somma delle istituzioni politiche più i cittadini che ne abitano i confini geografici, ma azione dinamica che prende forma grazie all’interrogazione permanente che l’arte in primis ha saputo mettere in opera, affidandosi il compito di rendere plasticamente visibile il concetto, altrimenti astratto di Democrazia. Ultimamente questo rapporto oscilla tra due poli, entrambi schiacciati sull’immagine del solo profitto economico: “con la cultura non si mangia”, da un lato, “la cultura è il petrolio italiano”, dall’altro.

Una discussione seria sul rapporto tra lo Stato e quel che chiamiamo 'arte contemporanea' (che della cultura è solo un aspetto ma imprescindibile ed esemplare) deve partire dal rifiuto di questo piano del discorso. Un piano che ignora del tutto il ruolo fondativo che l’arte ha nella nostra civiltà, sia a proposito del linguaggio comune, sia alla simbolizzazione della libertà personale. Oggi, infatti, si è diffusa nel senso comune la sensazione che occorra quasi scusarsi se si parla di arte e cultura, salvo che non si aggiunga subito che "la 'cosa' avrà una ricaduta economica", come se solo con questa clausola si saprebbe di cosa si starebbe parlando. Al contrario, il profitto (inteso sia in senso economico, sia politico) è estraneo alla sfera dell'arte e della cultura – proprio com’è e deve essere estraneo a quello dell'amministrazione della giustizia o della tutela della salute -, né è necessariamente il fine ultimo delle esistenze individuali di ciascuno, di una nazione o di una comunità, europea o di altro genere. L’arte opera, al contrario, in equilibrio sempre dinamico e provvisorio sul crinale fra rappresentazione e critica dell’esistente. Non è questo medesimo equilibrio, in fondo, a essere servito da modello alla cosiddetta “rappresentanza politica”? Trattare l’arte in una prospettiva di ritorno (o non-ritorno) economico, non è forse rimuovere la questione centrale della rappresentanza, negando al tempo stesso l’elemento perturbante e scompaginatore della realtà che è proprio dell’arte?

Bisogna avere il coraggio di passare per ingenui o arroganti, di fronte ai sorrisi di sufficienza o alle pacche istituzionali sulle spalle di chi crede di saperla lunga e di essere 'realista', ma che invece non sa semplicemente di cosa parla. Certo: il pane per tutti! Ma neppure il riconoscimento di questo primato del pane sarà possibile in una società che accetta come dato di senso comune il primato totalizzante del mercato, la colonizzazione economica di tutte le sfere della vita, e la riduzione della sfera artistica e culturale a intrattenimento di lusso, o a 'evento' per le masse, o ad attrazione turistica, o a 'risorsa da valorizzare'.

Se l’istituzione principale (lo Stato) permane in questa logica, si allontana pericolosamente dal patto popolare su cui esso stesso si fonda: "La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione" (art. 9 della Costituzione Italiana.) Di conseguenza, gli uomini e le donne che primariamente rappresentano lo Stato, ponendosi fuori da questo patto, fanno sì che ogni vincolo di rappresentanza rischi di sciogliersi come neve al sole e insieme alla rappresentanza si sciolga anche ogni dibattito o pratica culturale e sociale finalizzata ad analizzare la crisi della democrazia e della sua probabile fine imminente. Vincolare l'attività artistica al profitto sarebbe come vincolarvi l'amministrazione della giustizia: in entrambi i casi è evidente che si produrrebbe solo corruzione il rapporto tra lo Stato e l'arte non può essere un rapporto fondato sulla corruzione (delle persone e del linguaggio).


Se le cose stanno così, questo convegno sarà l'occasione di far valere la nostra sovranità di cittadini (art. 1 della Costituzione) e di esigere dalle istituzioni che non generino e non sostengano la corruzione.

Nel convegno si potranno affrontare dunque questioni di principio, che sgombrino il campo dai luoghi comuni più triti e degradanti, entrati ormai nel senso comune e anche questioni concrete, come la situazione dei Musei d’arte contemporanea, la loro gestione e il loro ruolo, ricordandoci sempre che l'arte e la cultura non nascono a comando (e se nascono così, nascono molto male), ma necessitano però di condizioni che ne rendano possibile lo sviluppo: luoghi d'incontro, luoghi pubblici o aperti a tutti in cui sia possibile ritrovarsi, discutere, darsi tempo.


Parlare del rapporto tra Stato e Arte significa allora parlare anche della riappropriazione delle nostre piazze, dei luoghi e degli edifici in cui ritrovarsi, sedersi, passeggiare, conversare, progettare. Le nostre piazze sono diventate invece infrequentabili, mangiatoie per turisti 24 ore su 24. Questi luoghi sono parte della nostra eredità culturale, delle nostre forme di vita e della nostra prassi, e devono essere riqualificate e rii-modellizzate. Vogliamo degli spazi in cui sia possibile imparare dai nostri migliori artisti, curatori, critici, filosofi, storici, scrittori, registi, almeno da quelli che vorranno mettersi in gioco, uscendo ogni tanto dall'asfittico "sistemino dell'arte".


Ogni proposta che ambisca a costruire o ricostruire un tessuto culturale e artistico ormai consunto e calpestato, è benvenuta. Tali proposte possono situarsi a livelli diversi: politico, amministrativo, urbanistico, edilizio, etc. Possono riguardare una molteplicità di casi o un caso singolo, un sistema o un suo elemento. Abbiamo il diritto e il dovere di ridare ossigeno, piacere di vivere e ricchezza immateriale alla nostra città, a noi stessi e a tutti quelli che lo vorranno, e di mettere in croce chi ha accettato ruoli istituzionali per ricostruire e custodire questo prezioso tessuto.


Alfredo Pirri e Stefano Velotti



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